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Giovedì 22 ottobre 2015 – Scheda n. 3 (951)
Birdman
Titolo originale: Birdman: or (The Unexpected Virtue of Ignorance)
Regia: Alejandro González Iñárritu
Sceneggiatura: Alejandro González Iñárritu, Nicolás Giacobone, Alexander Dinelaris, Armando Bo.
Fotografia: Emmanuel Lubezki. Montaggio: Douglas Crise, Stephen Mirrione.
Musica: Kevin Thompson.
Interpreti: Michael Keaton (Riggan Thomson), Emma Stone (Sam),
Zach Galifianakis (Jake), Naomi Watts (Lesley),
Andrea Riseborough (Laura), Edward Norton (Mike Shiner),
Amy Ryan (Sylvia).
Produzione: New Regency Pictures, M Prods, Le Grisbi Productions.
Distribuzione: 20th Century Fox. Durata: 119’. Origine: USA, 2014.
Alejandro González Iñárritu
Nato a Città del Messico nel 1963, Alejandro González Iñárritu insieme con Alfonso Cuarón e Guillermo del Toro rappresenta il terzetto di registi messicani che hanno sgominato la mecca hollywoodiana e imposto un tipo di cinema che l’industria americana non si sognava di fare.
Il padre di Iñárritu era un ricco banchiere che, quando il figlioletto era bambino, fece bancarotta, perse tutto e diventò fruttivendolo. Adolescente, Iñárritu fa il mozzo su una nave da carico, gira per l’Europa e l’Africa, si appassiona alla letteratura, studia comunicazione all’università, lavora in una radio, nel 1986 ne diventa direttore, firma colonne sonore per il cinema, fa il regista teatrale, produce cortometraggi, programmi tv e film. Gira lui stesso dei corti, Detrás del dinero (1995) e El timbre (1996). Incontra lo scrittore e sceneggiatore Guillermo Arriaga. Il primo risultato del loro lavoro è il film Amores Perros (2000, visto al Cineforum), thriller sanguinoso che vince il Premio della Critica Internazionale a Cannes. Nel 2002, partecipa al film corale 11 settembre 2011 e nel 2007 replica l’esperienza con un altro film collettivo, A ciascuno il suo cinema. Viene chiamato a Hollywood e chiede come attore Sean Penn per 21 grammi, un melodramma molto discutibile. Il successivo Babel (2006), premiato a Cannes per la miglior regia, mette insieme quattro storie diverse, mescolate fra loro. Durante le riprese del film, Iñárritu e Arriaga litigano di brutto e si separano definitivamente. Il primo film senza Arriaga è Biutiful (2010). Quattro anni di attesa e Iñárritu ricompare nel 2014 con Birdman, film d’apertura a Venezia e grande successo mondiale.
Sentiamo Iñárritu: «Mi interessava esplorare la lotta contro il proprio io interiore e l’idea che il successo, a prescindere da quanta ricchezza e celebrità porti con sé, è sempre fugace. Quando cerchi qualcosa, dai agli altri il potere di legittimarti, e quando lo ottieni ti accorgi che la gioia è provvisoria. Riggan è profondamente umano. Lo vedo come una sorta di Don Chisciotte, con l’umorismo che nasce dalla discrepanza permanente tra le sue ambizioni grandiose e la realtà mediocre che lo circonda. Fondamentalmente, è la storia di tutti noi. Amo i personaggi imperfetti, insicuri, guidati da dubbi e contraddizioni: vale a dire tutti coloro che conosco. Le scelte passate di Riggan sono state poco felici e quest’ultima coinvolge tutte le persone che lo circondano. Riggan ha sempre confuso l’amore con l’ammirazione e solo quando capisce l’irrilevanza di quest’ultima può iniziare a imparare, non senza difficoltà, ad amare se stesso e gli altri. Riggan intraprende un viaggio di legittimazione. È un viaggio interiore, è il viaggio dell’io. E mentre combatte contro la mediocrità, il suo io - fedele amico e persecutore - ripete i modelli che Riggan vorrebbe lasciarsi alle spalle e lo mette di fronte ai suoi molteplici limiti e alla sua megalomania. C’è qualcosa di tragico, qualcosa di divertente e qualcosa di molto reale, ma anche qualcosa di surreale in tutto ciò...
Ho sempre pensato che, una volta arrivati ai quarant’anni, valga la pena affrontare soltanto quello che fa veramente paura. E questo film mi spaventava, ma in modo positivo, perché era un territorio nuovo e io mi trovavo decisamente al di fuori dei miei confini. È un film basato sui personaggi, drammatico, ma con alcuni elementi tipici della commedia. Per me è un nuovo genere di film...
Ho solo cercato di narrare in modo divertente i disastri della natura umana che dobbiamo riconciliare, se non con le nostre carenze e gli errori del mondo, almeno con il modo in cui li affrontiamo e li viviamo...
Fin dall’adolescenza sono stato un grande fan di Raymond Carver e questa storia è un classico. L’ho scelta perché era davvero una cattiva idea. Cerco sempre di mettermi nella testa dei personaggi e, per un tipo come Riggan, che non appartiene al teatro, allestire una commedia tratta da un racconto di Raymond Carver, Di cosa parliamo quando parliamo d’amore, è una sfida estremamente difficile e quasi assurda. Avevo bisogno di una commedia e c’era un’incredibile coincidenza tra i temi trattati in questo racconto e Riggan che vuole essere amato e cerca di capire da dove provenga l’amore. Volevo giocare con l’idea di Riggan che prova a proiettare alcuni elementi della commedia nella sua vita newyorkese e, poco per volta, si trasforma nel personaggio che interpreta: l’uomo disperato che va nella stanza di un motel e chiede di essere amato. Sono stato molto fortunato perché Tess Gallagher, la vedova di Carver, è stata tanto generosa da fidarsi di me e cedermi i diritti sul racconto. Le sono molto grato».
La critica
Riggan Thompson è una star che ha raggiunto il successo planetario nel ruolo di Birdman, supereroe alato e mascherato. Ma la celebrità non gli basta, Riggan vuole dimostrare di essere anche un bravo attore. Decide allora di lanciarsi in una folle impresa: scrivere l’adattamento del racconto di Raymond Carver Di cosa parliamo quando parliamo d’amore, e dirigerlo e interpretarlo in uno storico teatro di Broadway. Nell’impresa vengono coinvolti la figlia ribelle Sam, appena uscita dal centro di disintossicazione, l’amante Laura, l’amico produttore Jake, un’attrice il cui sogno di bambina era calcare il palcoscenico a Broadway, un attore di grande talento ma di pessimo carattere. Riuscirà Riggan a portare a termine la sua donchisciottesca avventura?
Dopo il tuffo negli abissi della disperazione di Biutiful, capolavoro poco apprezzato dal grande pubblico, il regista messicano Alejandro González Iñárritu si cimenta con la commedia, benché agrodolce e in alcuni tratti quasi nera. Temi principali sono l’ego, in particolare quello maschile, e l’incapacità di distinguere l’amore degli altri dalla loro approvazione. Chi meglio di un attore molto amato ma poco apprezzato per rappresentarlo? Iñárritu scandaglia l’animo di Riggan usando la cinepresa come mai aveva fatto prima, ovvero cimentandosi in una serie praticamente infinita di piani sequenza all’interno dei quali gli attori recitano senza interruzioni come su un palcoscenico teatrale, entrando e uscendo continuamente dal teatro in cui si svolge prevalentemente l’azione alla strada, e dentro e fuori i camerini, i corridoi, il backstage del teatro stesso. In un gioco continuo di immagini rifratte attraverso specchi e spiragli. Il paragone con Robert Altman è inevitabile: i piani sequenza (come quello iniziale de I protagonisti), l’adattamento da Carver (come in America Oggi), la messa in ridicolo corale del mondo dello spettacolo (Nashville, I protagonisti, Radio America). Come è altmaniana la visione da insider della Hollywood contemporanea, in particolare quella dei franchise dedicati ai supereroi, “pornografia apocalittica” responsabile dell’infantilizzazione irreversibile del pubblico.
Birdman è anche un capolavoro di metacinema: il protagonista è quel Michael Keaton che deve la sua celebrità all’interpretazione di Batman (ma che è anche un grande attore, come dimostra appieno nel film di Iñárritu); è più volte citato The Avengers, il film cui Edward Norton, che in Birdman ha il ruolo del prim’attore, ha rifiutato di partecipare nei panni di Hulk, dopo aver litigato con la produzione del film sul gigante verde. E c’è una scena in cui Iñárritu fa ciò che Hollywood vorrebbe da ogni regista, dopo aver fatto per tutto il resto del film ciò che Hollywood detesta (tranne la notte degli Oscar): infiniti virtuosismi registici, dialoghi interminabili, mancanza di un eroe immediatamente identificabile.
Birdman è apparentemente privo di montaggio (o meglio: il montaggio è molto attento a “non interrompere un’emozione”) il cui ritmo è dato da una pianificazione meticolosa, una inarrestabile agilità nei movimenti di macchina, una recitazione rocambolesca, un incalzante rullo di batteria che accompagna tutte le azioni che coinvolgono Riggan. Ed è un esperimento in linguaggio cinematografico coraggioso e spaccone, reboante e ridondante, eccessivo ma funzionale alla storia che narra.
Iñárritu racconta l’uomo (e in particolare il maschio) nella sua fragilità e contraddizione, nei suoi sogni di gloria e le sue delusioni di vita. Racconta la presunzione, ma anche la vulnerabilità, di ogni artista, o anche di chi crede di esserlo ed è costretto a confrontarsi con l’evidenza contraria. Attraverso lo sguardo di Riggan, il regista commenta su tutta la società contemporanea, sul “genocidio culturale” in corso e sulla prevalenza fagocitante dei social media, creatori di una nuova forma di ambizione, quella di diventare virale, e una nuova forma di delusione, quella di credere che milioni di contatti equivalgano ad un singolo attestato di stima. Il risultato è un film magmatico (e in questo senso perfettamente “altmaniano”) che è un piacere per gli spettatori, gioiosamente ridondante e tracimante vita ed ambizione. Nella sua bulimia creativa Iñárritu inanella troppi finali, ma è difficile biasimarlo per la volontà di dire troppo invece che tutto, ricordando che chi rischia cammina sempre sull’orlo dell’abisso.
PPaola Casella, my movies, febbraio 2015
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