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CINEMA SOCIALE – S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna
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Giovedì 29 ottobre 2015 – Scheda n. 4 (952)
Turner
Titolo originale: Mr. Turner
Regia e sceneggiatura: Mike Leigh
Fotografia: Dick Pope. Montaggio: Jon Gregory. Musica: Gary Yershon.
Interpreti: Timothy Spall (Joseph Mallord William Turner),
Paul Jesson (William Turner), Marion Bailey (Sophia Booth),
Dorothy Atkinson (Hannah Danby), Lesley Manville (Mary Somerville),
Martin Savage (Benjamin Robert Haydon), Joshua McGuire (John Ruskin),
Karl Johnson (mr. Booth).
Produzione: Xofa Productions, Lypsinc Productions, Focus Features International.
Distribuzione: BIM. Durata: 149’. Origine: Gran Bretagna, 2014.
Mike Leigh
Nato a Manchester nel 1943, Mike Leigh è uno degli esponenti di maggior rilievo del cinema inglese. Il Cineforum ha seguito con costanza e passione la sua ormai lunga carriera composta da molti film quasi tutti dedicati a personaggi delle classi popolari, uomini e donne ‘invisibili’, nascosti nelle pieghe della società. Leigh ha studiato a Londra alla Royal Academy of Dramatic Arts e alla London Film School, ha fatto l’attore in teatro, ha esordito al cinema con Bleak Moments (1971), film sulle sofferenze e difficoltà di un gruppo di persone che vivono in un sobborgo londinese (premio della critica a Venezia). Poi ha lavorato in televisione, fino al 1988. Quando torna al cinema, gira una serie di grandi film: Belle speranze (1988), ritratto di coppie borghesi nell’Inghilterra tatcheriana, Dolce è la vita (1991), Naked (1993), una delle punte più alte toccate da Leigh, premiato a Cannes per la miglior regia e il miglior attore (David Thewlis), fino a Segreti e bugie (1996), Palma d’Oro a Cannes. Vengono poi Ragazze (1997), il felice e divertente film di ambiente teatrale Topsy-Turvy (1999) e ancora Tutto o niente (2002), Il segreto di Vera Drake (2004), Leone d’Oro a Venezia, La felicità porta fortuna, Happy Go Lucky (2008), Another Year (2000) e infine questo Turner, accolto con grandi elogi al festival di Cannes.
Ascoltiamo Leigh: «Ho ancora una volta girato la macchina da presa per puntarla su di noi – noi che cerchiamo di essere artisti, con tutta la fatica che questo comporta. Far ridere la gente è una cosa, toccarla nel profondo e farle cogliere la sublime bellezza e insieme la spaventosa tragedia dell’essere vivi a questo mondo, be’, è tutt’altra cosa. E per quanto possiamo provarci, pochi di noi ci riescono. Turner c’è riuscito, però. È stato un gigante tra gli artisti del suo tempo: risoluto e intransigente, straordinariamente prolifico, rivoluzionario nel suo approccio, abile nella tecnica, visionario e lungimirante. Eppure, l’uomo Turner era eccentrico, anarchico, vulnerabile, imperfetto, inaffidabile e a volte rozzo. Poteva essere falso, egoista e cattivo, ma anche generoso, appassionato e capace di slanci poetici...
Il mio film racconta sì la vita di un’artista, ma è soprattutto una riflessione sull’arte e sulla vita. Non è un vero e proprio biopic [un film biografico, ndr], non ha una costruzione narrativa causale, ma una serie di immagini che sommate fanno una vita ed è sicuramente una riflessione sull’arte e su quello che vuol dire essere un’artista. Non si vede il moto creativo perché è impossibile rappresentarlo, ma comunque nel film rifletto sulla figura dell’artista, un’occupazione che è anche fisicità, il sublime che si accompagna alla fatica: un aspetto che mi affascina...
Non cerco di imbellire fatti e personaggi. Credo che il successo del film sia dovuto anche a questo: quando si realizza un film sulla vita di un artista del genere ci si confronta con immagini stereotipate, con miti che si decide di sfidare. Non solo in Turner, ma anche in tutti gli altri miei film cerco sempre di mostrare persone e vite vere: il sesso, l’amore non sono belli come nei film. Fin da piccolo ho cercato la vita vera e ho sempre cercato di rimanere fedele a questa idea: all’epoca di Turner non si facevano mai la doccia, il grande artista non è una figura angelica, non lo si può rappresentare come se i suoi quadri fossero una proiezione della sua testa. Gli artisti si sporcano le mani...
Nel film c’è un esperimento sul magnetismo. Turner era affascinato dalla scienza, ha compiuto studi sui negativi e la fotografia, era affascinato dai treni, era curioso e intrigato dal progresso: credo che tutti i cambiamenti che ha vissuto lo abbiano formato come persona e abbiano contribuito alla sua sensibilità di artista. Tutti gli artisti si alimentano di quello che vedono...
L’allora famoso critico d’arte John Ruskin non era apprezzato da Turner che lo riteneva un cazzone. Turner apprezzava soprattutto la ricchezza di suo padre che comprò diversi suoi quadri, ma fondamentalmente lo considerava un fesso...
Ho raccontato la vita di Turner per episodi, ma per me non è frammentata perché credo sia importantissimo dare a un film una fluidità, un movimento, come nella musica. In realtà il film ha una sua sinuosità, un’architettura ben precisa. L’azione si sviluppa in 26 anni, quindi il modo di raccontare più adatto era questo...
Sono abituato a mostrare persone così come sono nella vita vera. Abbiamo trovato diverse testimonianze su Turner e pare che effettivamente grugnisse, facesse strani rumori, fosse caustico, rispondesse con monosillabi».
La critica
Un film gioiosamente vivo. La vita, attiva, e le opere, stupefacenti, di James Mallord William Turner (1775, Covent Garden, Londra – 1851, Chelsea, Londra). Mike Leigh racconta e si confronta, ritrae e ammira, inventa e fa suo il grandissimo pittore inglese. Le ultime parole di Turner sono “The sun is God” (Il sole è Dio) e la sua pittura è luce. Turner combatte con la luce, la stana, la sfarina, le dà colore e biancore. Combatte con la tela, ci soffia su il colore, la strofina con un panno, ci sputa sopra per sciogliere l’impasto, la colpisce e la pesta con i pennelli. Delle tele fa mari e cieli, disegna naufragi, dipinge navi treni rimorchiatori, nasconde nel quadro l’invisibile elefante di Annibale che passa le Alpi. Si comincia nei Paesi Bassi dei mulini a vento, dei canali e delle donne con quei cappelli con le ali: Turner è lì con il suo quaderno di schizzi. Poi i titoli di testa: magnifici, liquidi, svarianti. E subito una musica ardente e novecentesca, musica che farà da controcanto a tutte le scene del film, musica turneriana, antiaccademica, sciolta da vincoli. Poi due momenti paralleli, uno vicino all’altro, che indicano un percorso che si snoderà lungo tutto il film. La domestica di casa Turner compra una testa di maiale: i due Turner, padre e figlio, sono golosi di quella carne. Scena a: il maiale viene rasato per togliergli i pelacci dal muso. Scena b: anche Turner viene rasato come il maiale, come un maiale. E via via che il film va avanti Turner si fa sempre più maiale, grugnisce, perde quasi il linguaggio umano, si esprime a gorgoglii, bofonchia, il suo parlato fa la fine del reale sulla tela, si sbriciola. L’interprete, Timothy Spall, è un Turner fisico maialesco umanissimo ribelle ricercatore indomito grosso saporito donnaiolo ruminante gorgogliante. Il film ha momenti diremmo istituzionali in cui c’è il mondo artistico di allora: pittori di corte, pittori banali, pittori senza un penny, una principessa di casa reale che definisce un quadro di Turner “a dirty yellow mess” (uno sporco caos giallo). E quanto Turner apprezzi quel mondo è detto quando sfregia un quadro del mondano e ammirato Constable con una spatolata di rosso sul mare, macchia rossa che, con un secondo, saporito intervento, Turner trasforma in una boa! Accanto a queste zone con Turner che si muove dentro il mondo dell’ufficialità artistica per farsene beffe, il film si apre sempre di più a quell’altro mondo che è quello del Turner vivo e vegeto, fin troppo vivo, fin troppo vegeto. E soprattutto vicino al dolore di ognuno. Qui gli incontri sono tanti e memorabili. Quando Turner ascolta incantato la pianista che suona la “Patetica” di Beethoven. Quando canta con voce incerta e commossa un’aria di Purcell da “Dido and Aeneas”: “Remember me, but ah! forget my fate” (Ricordami, ma dimentica il mio fato). Quando incontra la signora Booth e il marito, ex capitano pentito e sgomento di una nave negriera. Quando vive l’amore infinito, un “uxorious love”!, con la vedova Booth che di profilo – dice lui – sembra Afrodite! Quando partecipa a un esperimento di fisica con la luce che passa nel prisma e diventa arcobaleno. Quando tiene una conferenza sulla teoria dei colori. Quando disegna la giovane prostituta sul letto e prova un infinito dolore che tenta – invano! – di riprodurre sulla tela. Quando via via scopre il dolore degli uomini e della storia e ne rimane inghiottito. Quando si fa legare alla testa dell’albero maestro in mezzo a una tempesta. Quando dipinge quadri di naufragi, senza spettatori, con i cadaveri degli schiavi buttati in mare. Quando si fa fotografare e il fotografo canticchia “Va’ pensiero”! Quando vede il primo treno passargli davanti e lui fa quel magnifico quadro con il treno che sbuffa e intorno tutto è cielo. Quando morente si alza dal letto e esce di casa per tentare di disegnare ancora una volta il dolore nel corpo di una ragazza annegata. Film senza macchia e senza paura, domestico ed epico, lirico e magico, carnale, tragico, comico. Film che ricorda e fa il paio con l’altra, ammirevole e poco ammirata, escursione di Leigh nel passato, quel Topsy-Turvy (1999) dedicato alla coppia di musicisti Gilbert e Sullivan. Film dickensiano con vedove e mogli e figlie abbandonate e giovani defunte e poveri artisti. Film eccentrico e vagabondo. Primitivo ed elegante. Triste come Turner piangente davanti alla giovane prostituta e a Didone. Allegro come Turner che sbeffeggia il quadro di Constable o mette in riga quel damerino di Ruskin. Tra così tanti regali, basterebbe a farne un gran film la scena di Turner e i suoi in barca che ammirano il “Fighting Temeraire”, la nave che combatté a Trafalgar, trascinata dal rimorchiatore per essere demolita. Un memorabile “marine piece” cinematografico e turneriano.
BBruno Fornara, “cinematografo.it”
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