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Scheda del film (181 Kb)
Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza - Scheda del film

 

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE  S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Giovedì 14 gennaio 2016 – Scheda n. 13 (961)

 

 

 

 

 

 

Un piccione seduto

 

 

su un ramo

 

 

riflette sull’esistenza

 

 

 

Titolo originale: En duva satt på en gren och funderade på tillvaron

 

Regia e sceneggiatura: Roy Andersson

 

Fotografia: István Borbás, Gergely Pálos. Musica: Hani Jazzar, Gorm Sundberg.

Scenografia: Ulf Jonsson, Julia Tegström, Nicklas Nilsson,

Sandra Parment, Isabel Sjöstrand. 

 

Interpreti: Holger Andersson (Jonathan), Nils Westblom (Sam),

Charlotta Larsson (Lotta la zoppa di Göteborg), Viktor Gyllenberg (Carlo XII),

Lotti Törnros (l’insegnante di flamenco).

 

Produzione: Roy Andersson Filmproduktion AB. Distribuzione: Lucky Red.

Durata: 101’. Origine: Svezia, 2014.

 

 

Roy Andersson

 

 

Il regista svedese Roy Andersson è nato a Göteborg, nel 1943.  Göteborg si scrive Göteborg ma si legge Iœtebori. Questo per dire subito che Roy Andersson viene da un altro mondo, mette nei suoi film altri mondi e fa cinema in altri modi.

Dopo qualche cortometraggio, Andersson dirige nel 1970 il suo primo lungometraggio, En kärlekshistoria (Una storia d’amore svedese), in una forma classicamente misurata. Così come è ancora classico il successivo Giliap (1975). Per un lungo periodo, Andersson si è poi dedicato alla pubblicità e si è inventato una sua particolare forma di narrazione per quadri successivi, ripresi a macchina fissa: modo di filmare che poi applicherà a tutti i suoi film. Del 1987, è il corto Something Happened (È successo qualcosa). Del 1991 è un altro corto, World of Glory (Mondo di gloria). Il ritorno al lungo è del 2000 con il magnifico Canzoni del secondo piano, premio della giuria a Cannes. Canzoni è il primo capitolo di una trilogia che mescola comico, fantastico e malinconico. Il secondo tassello è You, the Living (2007, presentato al Cineforum). Il terzo è questo Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza (2014), film premiato alla Mostra di Venezia 2014 con il Leone d’Oro.

Sentiamo Andersson: «Sono convinto che ogni mio film possa, e debba, essere visto sempre individualmente. All’interno di un solo film, ogni scena può essere vista separatamente. Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza ha 39 scene e la mia ambizione è che ognuna di esse possa apportare una diversa esperienza artistica al pubblico.

In generale la trilogia chiede agli spettatori di esaminare se stessi chiedendo loro “Cosa stiamo facendo? Dove siamo diretti?”, intende generare riflessione e contemplazione in merito alla nostra esistenza con una dose abbondante di tragicommedia, di lebenslust, ossia passione per la vita, e un rispetto fondamentale per l’esistenza umana. La trilogia mostra un’umanità potenzialmente diretta verso l’apocalisse, ma dice anche che il risultato è nelle nostre mani.

Canzoni dal secondo piano è intriso di Millenarismo, dalla scena del venditore che butta via i crocifissi, simboleggiando l’abbandono della compassione e dell’empatia, alla scena delle case che si muovono, che evoca la paura di crisi finanziarie cicliche, esse stesse apocalissi minori. I temi della colpa collettiva e della vulnerabilità umana sono centrali in questo film...

Prima, i miei personaggi commentavano i propri sogni. Oggi in Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza, le scene semplicemente assomigliano a sogni, senza alcuna ulteriore spiegazione. Questo film è anche più ironico rispetto agli altri due, e il tono preponderante è quello della passione per la vita, anche se i personaggi sono tristi e soffrono molto...

La mia regia si ispira molto ai pittori, soprattutto i due artisti tedeschi Otto Dix e Georg Scholz. Le loro visioni del mondo, incrinate dalla prima guerra mondiale, colpiscono in un modo che sento molto vicino, senza che io abbia mai preso parte a una guerra. Quando ero giovane, il realismo era l’unica cosa che mi interessava. Tutto il resto era semplicemente strano (o meglio, borghese), ma col tempo sono stato sempre più affascinato dall’arte astratta, a partire dal simbolismo, dall’espressionismo, e dalla Neue Sachlichkeit, la Nuova Oggettività. È molto più interessante di una pura rappresentazione naturalistica. È una specie di “super-realismo”, un obiettivo che ambisco a raggiungere con Un piccione, in cui l’astrazione è condensata, purificata e semplificata...

Considero i miei film come esempi di quello che io chiamo “trivialismo”. Si tratta della trivialità trasformata in un’esperienza più attraente. E questo si applica anche alla pittura in generale, tutta la storia dell’arte è piena di trivialità perché esse fanno parte delle nostre vite, delle nostre premesse nella vita. Adoro questa cosa, e un domani vorrei diventare anche più triviale di quanto non lo sia stato in questo film. Anche di più che nelle scene con il re svedese Carlo XII che torna al campo di battaglia di Poltava, dove appare inaspettatamente in situazioni molto triviali, prima quando gli viene sete e poi quando ha bisogno di andare in bagno. E nutro un forte rispetto per la bellezza della scena, specialmente quando il re all’improvviso si sente così legato al giovane barista. Ne sono molto soddisfatto. In fondo, in qualunque posizione si sia nella società, le persone sono sensibili e vulnerabili. Illustrare questo è fondamentalmente ciò che voglio ottenere con il mio lavoro».

 

 

La critica

 

 

Roy Andersson dice di molti suoi personaggi: «Beato chi è infelice e stupido». Anche nel Piccione, ci sono molti infelici e stupidi. Andersson vuole loro bene. La frase più ripetuta nel film viene detta al telefono: «Sono contento/a di sentire che state bene». (...)

Negli anni di silenzio cinematografico, che diventano 25 prima di arrivare a un altro lungometraggio, Andersson si occupa di pubblicità e matura la decisione di girare per immagini fisse, per quadri, senza montaggio interno. Fa pubblicità per una compagnia di assicurazioni, per il Lotto svedese e per il Partito Socialdemocratico che usa gli spot nelle campagne elettorali 1982 e 1985 e vince le elezioni. Questi spot politici di successo, sovversivi e popolari, vedevano alla fine il trionfo antisociale del forte sul debole ma terminavano con il contraccolpo democratico di una frase che ribaltava la situazione: «Perché mai dovremmo trattarci male l’un l’altro?».

È con questi spot che Andersson e il direttore della fotografia István Borbás mettono a punto la scelta di girare per quadri. I quadri vengono poi adottati in tutti i film, dal ricordato Something Happened a un altro corto, World of Glory (Mondo di gloria), del 1991, 15 minuti, 15 quadri, e nei 3 film lunghi, imparentati tra loro: Canzoni del secondo piano, 2000, 46 quadri; You the Living, 2007, unico film di Andersson uscito fugacemente in Italia, 52 quadri; e adesso il Piccione che di quadri ne ha 39 e ha vinto il Leone d’oro alla Mostra di quadri di Venezia.

Andersson, dal 1987, ha dipinto cinematograficamente 177 quadri. Si possono esporre tutti proiettando di seguito i 5 film corti e lunghi, togliendo titoli di testa e coda. (...)

Andersson fa suo il cinema a quadri fissi. Ama questa forma di composizione perché gli permette di mettere in forma il mondo e di costruire particolari forme di narrazione. Ogni suo quadro è riassuntivo di un mondo: la stanza in cui uno suona un gigantesco bombardone in You the Living, o nel Piccione l’osteria con Lotta la zoppa di Göteborg che si fa pagare a baci dai soldati, o una strada su cui passa un vecchietto come in You the Living. (...)

Alcuni quadri sono isolati dal resto del film, come all’inizio del Piccione i tre casi di decessi, tutti da ridere, uno in un self service su una nave. Altri quadri si raggruppano fino a costruire un minimo o più disteso racconto. I quadri possono presentare personaggi che ritornano come, nel Piccione, i tristi e infelici venditori di oggetti per far ridere, denti da vampiro, sacchetti da risata, maschere di zio Dentone, venditori e oggetti che ci fanno ridere perché non fanno ridere per niente. E i quadri di un film possono richiamare altri quadri e personaggi di film precedenti: quella dei 177 quadri di Roy Andersson è una esposizione per galleria cinematografica con rimandi tra quadri. (...)

I quadri hanno di norma colori leggeri, grigio pallido, marroncino chiaro, giallino sporco, verdi smorti, azzurri biancastri. Ogni quadro è di norma impostato secondo le regole della prospettiva rinascimentale. Nei molti interni, luoghi prediletti da Andersson, le linee dei pavimenti e dei soffitti corrono verso lontani e irraggiungibili punti di fuga. Sono interni privati, stanze cucine salotti camere da letto corridoi, e interni di luoghi pubblici, uffici aule scolastiche bar ristoranti chiese un vagone della metro dove si canta, in Canzoni, un inno celestiale. Meno frequenti ma fondamentali sono gli esterni. Negli esterni si svolgono cerimonie e si vede passare la storia.

Rappresentazione della storia e cerimonie hanno un posto speciale, anche nel Piccione. Cerimonia e storia coincidono. Le cerimonie stabiliscono ritualmente che siamo dentro la storia. La storia per essere certificata come tale ha bisogno di celebrazioni e cerimonie. Le cerimonie e la storia sono di norma cruente e disumane e vengono riassunte in quadri di infinita tristezza, di sontuosa celebrazione delle sconfitte, del trionfo del male, della colpa, della malvagità. Davanti alle cerimonie e agli avvenimenti storici noi ridiamo orripilati dalla pochezza umana. (...)

Nel Piccione, fuori da un bar di oggi con larghi finestroni passano i soldati e i cavalieri del re svedese Carlo XII che va alla battaglia di Poltava, giugno 1709, il re entra nel bar con i suoi aiutanti a bere dell’acqua e riparte per la guerra da dove torna sconfitto. Ancora nel Piccione, in epoca coloniale, “negri e negre” vengono fatti entrare in un gigantesco cilindro di rame con piccole e grandi trombe, sotto il cilindro ruotante si accende il fuoco, dalle trombe esce un suono morbidamente orribile, vecchi notabili incartapecoriti con le signore assistono alla cottura. In questi quadri storici non c’è distanza tra l’oggi e l’allora. La storia è qui e noi che viviamo nell’adesso siamo corresponsabili della atrocità di allora. Di ogni allora. Siamo il passato. Siamo infelici e stupidi. Andersson ci vuole bene. È contento di sapere che qui stiamo tutti bene.

BBruno Fornara, Cineforum, n. 543, aprile 2015

 

 

 

 

 

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Timbuktu

 

 

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Il film è un grido di allarme di un maestro del cinema africano.

Timbuktu, nel Mali, è una città affascinante. Popoloso centro di scambi, ridotto a una vita soffocata durante il periodo dell’occupazione da parte dei jihadisti.

Un film sull’invasione del potere, sulla distruzione delle tradizioni, su un genocidio anche culturale. Sulla contrapposizione tra l’Islam pacifico e tollerante e quello aggressivo e cupo degli integralisti. Tutto è vietato, i divieti si moltiplicano. Anche la vita di una famiglia che vive sotto una tenda nel deserto cambia radicalmente.

Durata: 97 minuti.

 

Giovedì 21 gennaio

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