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Giovedì 10 marzo 2016 – Scheda n. 21 (969)
Sils Maria
Titolo originale: Clouds of Sils Maria
Regia e sceneggiatura: Olivier Assayas
Fotografia: Yorick Le Saux. Montaggio: Marion Monnier.
Scenografia: François-Renaud Labarthe. Costumi: Jürgen Doering.
Interpreti: Juliette Binoche (Maria Enders), Kristen Stewart (Valentine),
Chloë Grace Moretz (Jo-Ann Ellis), Lars Eldinger (Klaus Diesterweg),
Johnny Flynn (Christopher Giles), Angela Winkler (Rosa Melchior),
Hanns Zischler (Henryk Wald),
Nora von Waldstätten (l’attrice nel film di fantascienza).
Produzione: CG Cinéma, Pallas Film, CAB Productions, Vortex Sutra,
arte France Cinéma, ZDF Arte, Radio Télévision Suisse. Distribuzione: Good Films.
Durata: 124’. Origine: Francia, Svizzera, Germania, 2014.
Olivier Assayas
Parigino del quindicesimo arrondissement, nato nel 1955, Olivier Assayas è regista, sceneggiatore e critico cinematografico. Figlio di uno sceneggiatore di famiglia greca e di una stilista ungherese, eredita dal padre la passione per il cinema: «Il mio gusto per il cinema è associato a una sorta di mitologia familiare perché mio padre è stato assistente di alcuni grandi cineasti dell’epoca: Ophuls, Pabst, L’Herbier. Fin dall’infanzia avevo ben chiaro in mente che volevo fare dei film, anche se non avevo la minima idea di come sarei arrivato a farli». Comincia a collaborare con il papà, poi fa l’assistente alla regia per produzioni americane girate in Francia (Il principe e il povero di Fleischer e Superman di Donner). Dopo il corto Copyright (1979) il grande critico Serge Daney gli propone di collaborare ai Cahiers du cinéma. Appassionato di musica rock scrive anche per Rock & Folk. Nel 1986 debutta alla regia con Désordre. E da allora si snoda una lunga lista di film, alcuni visti anche al Cineforum: Il bambino d’inverno (1989), Contro il destino (1991), Une nouvelle vie (1993), L’eau froide (1994), Irma Vep (1996), Fin août, début septembre (1998), Les Destinées sentimentales (2000), Demonlover (2002), Clean (2004), Boarding Gate (2007), L’Heure d’été (2008), Carlos (2010), Qualcosa nell’aria (2012), fino a Sils Maria.
Sentiamo Assayas: «Questo film ha a che fare col passato, con le relazioni che abbiamo avuto in passato. Scrivere è come seguire un sentiero, e questa storia in particolare si trova alle altezze vertiginose del tempo sospeso tra le origini e il divenire. Non sorprende che abbia ispirato in me immagini di paesaggi montani e di strade scoscese. Dovevano esserci la luce primaverile e le nebbie del passato, quelle del vecchio film di Arnold Fanck Das Wolkenphänomen von Maloja (Il fenomeno delle nuvole del Maloja)...
Maria Enders assieme alla sua assistente, Valentine, esplorano la ricchezza e la complessità dei personaggi creati dall’autore del testo teatrale, Wilhelm Melchior, personaggi che devono ancora svelare tutti i loro segreti, anche a distanza di vent’anni. La questione non è tanto il teatro e le sue illusioni, né la tortuosità del racconto; ma piuttosto il tema è l’Umano, più semplice e intimo...
In questo senso, la Maria Enders di Juliette Binoche è ciascuno di noi attraverso la necessità di rivisitare il passato, non per spiegarlo, ma per trovare le chiavi della nostra identità; ciò che ci ha reso quello che siamo e continua a spingerci avanti. Lei guarda nel vuoto e osserva la giovane donna che era a vent’anni. Nel suo cuore è sempre la stessa, ma il mondo è cambiato attorno a lei e la sua giovinezza è volata via (giovinezza nel senso di verginità, di scoperta del mondo). Che non torna più indietro. D’altro canto, non dimentichiamo mai ciò che la giovinezza ci ha insegnato: quella costante reinvenzione del mondo, il decifrare la realtà e il prezzo che si deve pagare per farne parte. Conferendo a ogni nuova volta l’urgenza e il pericolo di una prima volta...
Il confronto tra il passato e il presente di un paesaggio mi sembra l’ambientazione ideale per una commedia (o per un dramma, a seconda della prospettiva che si sceglie) su un’attrice che si tuffa nell’abisso del tempo, sia per ragioni professionali che morali, ma non per suo personale desiderio. È questa l’immagine alla base di Sils Maria. Maria Enders si vede riflessa in migliaia di forme che riecheggiano nel mondo virtuale della fama – e nell’avversione – dei moderni media. È qui che il confine tra lo spazio intimo, quello più pateticamente banale, e quello pubblico si fa più labile. Maria Enders è ancora la giovane donna interprete del ruolo di Sigfrid, nella pièce di Wilhelm Melchior? Oppure è l’adulta, la donna matura come la vedono le altre persone? O forse è ancora uno dei personaggi che ha interpretato, o uno dei volti che appaiono quando si scrive il suo nome su Google-Immagini o su YouTube? C’è ancora qualcosa alla quale possa aggrapparsi, a parte la segretezza della sua privacy, l’unico posto dove può solo fluire come le nuvole del Maloja?
Il paesaggio è inspiegabilmente inciso nel tempo, ha assistito alle vite di tutti gli esseri viventi che l’hanno popolato, che si sono fusi con esso, in ogni epoca; e che hanno fatto esperienza delle sue altezze vertiginose. Nel 1924, agli albori del cinema, Arnold Fanck, uno dei pionieri della fotografia di montagna, girò il singolare Das Wolkenphänomen von Maloja (Il fenomeno delle nuvole del Maloja), in cui le cime delle montagne, le nuvole e il vento si mescolano assieme in maniera astratta, evocando la pittura cinese classica. Girò in bianco e nero, e oggi quel film esiste solo sotto forma di una copia logora e graffiata. In una parola, un ricordo di quello che sarebbe potuto essere e su cui il tempo ha inciso se stesso. È inquietante avvertire una verità intima e misteriosa in questi spazi, nonostante (o grazie a) i filtri che ci separano da essi. Essi rivelano se stessi attraverso una remota soggettività, con quasi un secolo a separarci da loro. Non è forse questo il processo stesso dell’arte? Che riproduce il mondo attraverso un singolo colpo d’occhio, che toglie e allo stesso tempo rivela, portando indifferentemente alla luce l’invisibile e il visibile?».
La critica
A vedere questo bel film di Assayas vengono in mente altri suoi film: Les Destinées sentimentales (2001), Carlos (2010) e Qualcosa nell’aria (Après mai, 2012). Film diversi fra loro, ma tutti uniti dalla comune decisione di costruire dei grandi film, grandi nel senso che vogliono contenere e mostrare qualcosa che ha la forza di andare al di là della narrazione e anche della messinscena. Vale a dire che Assayas non si accontenta né di raccontare una vicenda e neppure di metterla in scena: vuole che il film si situi più in là di quel che è e di dove è. Non è facile spiegare questa sensazione che mi viene quando vedo film come questi, anche come quest’ultimo Sils Maria, o Clouds of Sils Maria. Forse è perché Assayas è capace, con un’apparente facilità, di combinare profondità e limpidezza, chiarezza e pensiero.
Sils Maria è un paese svizzero in Engadina, poco lontano da St. Moritz e dal confine con l’Italia, cui si arriva attraverso il passo del Maloja che scende verso Chiavenna, in provincia di Sondrio. A Sils Maria ha soggiornato spesso Friedrich Nietzsche, mai nominato nel film. È qui che vengono a vivere e a nascondersi Maria Enders (Juliette Binoche, molto brava), attrice dalla lunga carriera, e la sua giovane assistente Valentine (Kristen Stewart, molto brava, e viene da Twilight). Terzo personaggio e terza presenza femminile è una giovane e spregiudicata star hollywoodiana, protagonista di un film di super-eroine, Jo-Ann Ellis (Chloë Grace Moretz, brava anche lei). A Maria viene chiesto di interpretare di nuovo uno dei personaggi di una pièce teatrale che vent’anni prima aveva già portato in palcoscenico. Non però il personaggio giovane e fascinoso di Sigfrid, come era stato allora, ma l’altro, quello della matura Helena, che Sigfrid spinge al suicidio. Sigfrid sarebbe stavolta interpretata da Jo-Ann. Maria e Valentine passano l’estate a provare il testo: possiedono un magnifico talento naturale per lo humour, così la loro vita e la loro amicizia entrano ed escono dal testo, e loro si sentono attratte e non sanno se resistere all’attrazione, se cedervi, se allontanarsene, provano non nascosti frisson di calmo erotismo, si trattengono, non urlano, non esplodono (oh, finalmente un film dove nessuno urla, dove nessuno dà fuori di testa...).
Il testo teatrale si intitola “Maloja Snake”, il serpente del Maloja. Il riferimento è a un fenomeno atmosferico che si verifica in particolari condizioni quando un lungo corteo di nuvole, un serpente bianco e grigio, scende giù dal Maloja e si snoda nella valle. Nel film si vedono delle magnifiche immagini del ‘serpente’ prese da un film del 1924 di Arnold Fanck, regista tedesco, pioniere del cinema di montagna (il suo film più famoso è La tragedia di Pizzo Palù, 1929). Film sull’essere attrice, sul vivere il teatro, vivere tra teatro e vita, sul passare del tempo, sul non essere più giovane, sul farsi da parte, sullo sfiorare un amore per una giovane donna. Film che mette in scena la vita per come passa, per come resta (per quel che ne resta), per quello che è stato e quello che non sarà. Il tutto quasi senza darlo a vedere. Dando a vedere che sia un film sullo scontro di generazioni (è anche questo), o su uno scontro tra attrici (e infatti ricorda Eva contro Eva di Joseph L. Mankiewicz, 1950).
Sembrerebbe un accumulo di troppe riflessioni e troppe ‘problematiche’. Non è così. Assyas ne fa un film chiaro: un sinuoso serpente avvolgente che non ha veleno, le cui spire sono scene di dialogo e di parole, che scorre come le nuvole dal passo, accompagnate dal canone di Pachelbel. Un film un po’ terso e un po’ nuvoloso. Non sempre sereno, sempre accogliente.
BBruno Fornara, facebook, dal festival di Cannes, maggio 2014
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