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Giovedì 7 aprile 2016 – Scheda n. 25 (973)
Nightcrawler
Lo sciacallo
Regia e sceneggiatura: Dan Gilroy
Fotografia: Robert Elswit. Montaggio: John Gilroy.
Musica: James Newton Howard. Scenografia: Kevin Kavanaugh.
Interpreti: Jake Gillenhaal (Lou Bloom), Rene Russo (Nina Romina),
Bill Paxton (Joe Loder), Riz Ahmed (Rick),
Kevin Rahm (Frank Kruse), Ann Cusack (Linda),
Kathleen York (Jackie), James Huang (Marcus),
Viviana Chavez (Desirée), Dig Wayne (Rufus), Carolyn Gilroy (Jenny).
Produzione: Bold Films. Distribuzione: Notorious Pictures.
Durata: 117’. Origine: USA, 2014.
Dan Gilroy
Nato a Santa Monica, in California, nel 1959, Dan Gilroy è figlio di una scultrice e scrittrice, Ruth Dorothy Gaydos, e di Frank, drammaturgo, vincitore del Premio Pulitzer. Comincia come sceneggiatore di Freejack - In fuga nel futuro (1992), Una bionda sotto scorta (1994), Rischio a due (2005), The Fall (2006), Real Steel (2011). La sua sceneggiatura più conosciuta, scritta con il fratello Tony, è quella per il film The Bourne Legacy (2012). Lo sciacallo è il suo esordio come regista. Del film ha scritto anche la sceneggiatura che ha avuto una nomination agli Oscar 2015.
Sentiamo il regista: «La sottocultura notturna del cacciatore reietto di notizie è il mondo perfetto in cui gettare il protagonista Lou Bloom. Incarnazione di una giovane generazione alienata, Lou ha di fronte a sé un futuro in cui gli stage ed il salario minimo hanno rimpiazzato la promessa di un lavoro a tempo pieno e di una carriera. Cosa sono l’assunzione e le possibilità di fare carriera per la generazione di Lou quando le opportunità sono svanite a causa della globalizzazione del salario minimo? Questo è l’ambiente in cui è nato il personaggio di Lou. Vive in un mondo di crescente disparità economica. Porte chiuse. Praticantati che creano servitori per necessità. Questa è la realtà del lavoro per Lou e altre milioni di persone. Lou è una persona che cambia il mondo intorno a sé: piuttosto lo manipola. L’ho visto come un’opportunità di creare un personaggio che fa da specchio alla società. L’ascesa di Lou nel mondo del giornalismo televisivo è una classica storia di successo all’americana. Con una svolta dark. Inizia cercando lavoro e finisce per essere il proprietario di un business in espansione. È un happy ending per il nostro eroe ma una conclusione da incubo per la società. E il vero orrore non è Lou, è il mondo che lo ha creato e che lo premia...
La bibbia di Lou sono le linee guida delle multinazionali scaricate da internet, in cui crede profondamente. Lou è sempre ricettivo, impara e assorbe le cose come una spugna. Queste sono qualità umane con cui ci si può identificare, così come la sua impresa di arrampicamento. Crea empatia per la sua causa dato che è in cerca di un lavoro e di una relazione. Queste qualità, combinate con la sua solitudine, rendono Lou umano...
Insieme a Lou c’è Nina [l’attrice Rene Russo è la moglie del regista, ndr]. Dopo trent’anni di lavoro è una veterana in quel sanguinoso sport che è il giornalismo televisivo. È una bellezza cinquantenne logorata e troppo imbellettata che ha cominciato davanti alla telecamera ed ora, solo con la sua tenacia, è diventata la direttrice della rete. Le regole giornalistiche che Nina infrange con Lou diventano più estreme, ma non ha fatto che infrangere regole per anni. Alla fine del film, come Lou, viene premiata per le sue scelte. Le donne nella sua posizione spesso si scelgono un look e lo mantengono. Il suo look è femminile con una punta di potenza dato che sta ancora cercando di scalare le gerarchie nella difficoltosa redazione. Abbiamo dato anche un accenno sexy al suo guardaroba, che è assai diffuso tra le giornaliste televisive di Los Angeles. Sotto la facciata di glamour, Nina lotta per tenere il passo con un mondo connesso su internet in cui gli smartphone forniscono informazione ed intrattenimento 24 ore su 24. Nina è entrata a far parte di una razza in via d’estinzione sul punto di diventare un dinosauro dei vecchi media. Per essere competitiva, forza i limiti etici fino al punto di rottura e spinge Lou a portarle video rivoltanti. La disperazione di Nina emerge dalla sua descrizione della stazione televisiva: “Pensa al nostro programma come a una donna urlante che corre per strada con la gola tagliata”...
Nonostante la diminuzione dei tassi di criminalità, la televisione locale crea e perpetua il mito della criminalità urbana che minaccia i sobborghi. Le storie della televisione locale sono affascinate dai moniti. I crimini vengono falsamente ricollegati a degli schemi, dando l’idea di una serie crescente e pericolosa di minacce. Le notizie vengono confezionate in un prodotto che serve a vendere pubblicità. Lo sciacallo ritrae Lou come parte di un sistema di offerta e domanda in cui le televisioni locali esagerano i reportage sui crimini per aumentare gli ascolti. È l’idea di vendere paura per tenere alti i tassi di pubblicità. Detto questo, Lo sciacallo resiste alla tentazione di giudicare. Abbiamo sempre cercato di rimanere cinematograficamente neutrali. Non sottolineiamo mai nessun giudizio morale. Auspicabilmente il film comunicherà cose diverse a diverse persone. Lo scopo è che gli spettatori vedano delle parti di se stessi in Lou e nel mondo in cui si muove».
La critica
Opera prima di Dan Gilroy, ex sceneggiatore di “The Bourne Legacy” (regia del fratello Tony Gilroy, 2012). Il nightcrawler del titolo originale è il lombrico, verme che striscia sottoterra, nell’oscurità. All’inizio, Lou campa rubando nei cantieri edili e rivendendo il bottino. Ha la faccia di Jake Gyllenhaal, faccia da ladro, faccia tosta da sbruffone, di uno che impara, mossa dopo mossa, a sgomitare nell’oscurità. Poi la smette con i furti, si inventa un nuovo mestiere, se lo costruisce e ne va fiero: filma delitti, incidenti stradali, li riprende con la telecamera e rivende il filmato a una stazione televisiva scandalistica. Il verme-sciacallo Lou si nutre di morti ammazzati, cadaveri e sangue. Siccome sa bene che di questo vivono anche tanti altri che fanno dei lavori alla luce del sole – i giornalisti televisivi, nel caso specifico – lui non si vergogna più del suo essere verme. Gira in macchina di notte, ascolta la radio della polizia, arriva sul posto della sparatoria o dell’incidente e fa quel che deve fare. Certe volte arriva anche prima della polizia. Poi va a trattare con la direttrice del tg e le chiede i soldi. Man mano che si perfeziona nel mestiere i soldi aumentano.
Lou è un personaggio di un noir di una serie B attuale, aggiornata alla normale amoralità della società dello spettacolo. Marginale, parecchio schifoso, senza impicci e impacci. Se così fan tutti nel sanguinolento mondo dell’informazione deformata, perché non dovrei farlo anch’io? Film sporco, senza fronzoli, senza prediche. Il verme sta bene nel marciume. Ingrassa, si fa spavaldo sia con quelli della tv che con i poliziotti. Gilroy non ha bisogno né di giustificarlo, né di glorificarlo per farne un’eroe infernale, neppure di compatirlo facendone un reietto. Lo segue e vede in lui un efficace arrampicatore sociale che fa buon uso della pornografia del sangue e della morte. Il bisness è redditizio, la merce è richiesta, l’audience cresce, Lou veste meglio e vive meglio. Jake Gyllenhaal gira per il film con i suoi occhioni rotondi, dapprima sorpresi, poi meravigliati, infine soddisfatti. Non è arrivato in cima al mondo, come capitava ai gangster dei film degli anni venti e trenta. Meglio così: quelli finivano per cadere giù rovinosamente. Lui, soddisfatto vermiciattolo, è contento del suo morbido strisciare (nel senso italiano di morbido e nel senso inglese di morbid, morboso). Striscia insieme a tanti altri.
La regia di Gilroy è traslucida e precisa, senza ombre, senza chiaroscuri. Non c’è, anche nelle immagini, nessun trasalimento dubbio incertezza, come invece succedeva negli ombrosi e tenebrosi noir classici. Qui basta guardare.
BBruno Fornara, facebook, 26 novembre 2014
Il protagonista è Lou Bloom, quel che si dice uno con il pelo sullo stomaco. Cinico, disincantato, incapace di provare ed esprimere emozioni. Disposto a tutto pur di arrivare nella vita. Affamato. Di una fame smisurata che nasce dall’indigenza e dal bisogno, non si placa mai, vuole sempre di più. Jake Gyllenhaal, dimagrito di oltre dieci chili per interpretare il ruolo e anche coproduttore del film, è bravo nel rendere la spietata rapacità del personaggio che nasce come ladruncolo di rame per pochi spiccioli. In cerca di un’opportunità lavorativa che tutti gli negano senza appello, s’inventa la sua futura professione assistendo per caso a un incidente stradale e osservando l’arrivo di una troupe che sopraggiunge per filmare la scena sgomitando tra i poliziotti e i soccorsi. Bloom si procura una telecamera e un’apparecchiatura sintonizzata sulle frequenze radio della polizia e parte all’inseguimento di eventi tragici. In una sconfinata Los Angeles notturna, avvoltoio tra gli avvoltoi, è certamente il più famelico e ha la capacità di imparare da solo, assimilando da internet come una spugna.
Gilroy dice di aver scritto la sceneggiatura pensando a un bambino con carenze affettive, solitario, cresciuto abbandonato a se stesso navigando da un sito all’altro e che più tardi, da adulto, fa del capitalismo la sua religione. Arrivato per primo sulla scena di un efferato delitto, invece di prestare soccorso ai feriti, Bloom si preoccupa di riprenderli dal punto di vista migliore, con perizia di dettagli macabri, per rivendere il servizio a lauto prezzo ai telegiornali delle emittenti locali. (...)
In svariate interviste, Gilroy dichiara di essersi ispirato anche a Blow Up di Michelangelo Antonioni e a Da morire di Gus Van Sant, film dove l’immaginario visivo è parte integrante della storia e dove i personaggi, eleganti e affettati, si comportano con algida spregiudicatezza.
TTina Porcelli, Cineforum, n. 540, dicembre 2014
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