in collaborazione con:
CINEMA SOCIALE – S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna
PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS
|
Giovedì 1 dicembre 2016 – Scheda n. 7 (982)
La isla mínima
Regia: Alberto Rodríguez
Sceneggiatura: Rafael Cobos Lòpez, Alberto Rodrìguez.
Fotografia: Alex Catalàn. Montaggio: José Manuel Garcìa Moyano.
Musica: Julio de la Rosa.
Interpreti: Raúl Arévalo (Pedro), Javier Gutiérrez (Juan),
Antonio de la Torre (Rodrigo), Nerea Barros (Rocío),
Salva Reina (Jesús).
Produzione: Atìpica Films. Distribuzione: Movies Inspired.
Durata: 105’. Origine: Spagna, 2014.
Alberto Rodríguez
Nato a Siviglia nel 1971, Alberto Rodríguez Librero ha esordito, in coregia con un amico, con la commedia Pilgrim Factor nel 2000, girato a Londra con una troupe ridotta e composta dalle persone con le quali lavora tutt’oggi. Al Festival di San Sebastian, il film vinse la menzione speciale della giuria. Il suo primo film da solista è El Traje (2002), una favola su come le persone non dovrebbero essere giudicate dalle apparenze. Con 7 Virgins (2005), Rodríguez viene riconosciuto come uno dei più interessanti giovani registi del cinema spagnolo. Nel 2009 dirige After, un ritratto di tre amici della “Generazione X”, intrappolati in un mondo che non li soddisfa. Grupo 7 (2012) viene nominato all’European Academy Awards come “miglior film”. La isla mínima è il suo sesto lungometraggio.
Sentiamo il regista: «La isla mínima nacque alcuni anni fa, in una mostra fotografica che ero andato a visitare con Alex Catalán, direttore della fotografia e mio amico. Atín Aya, il fotografo di Siviglia, si era dedicato a catturare le ultima vestigia di uno stile di vita che era esistito per secoli nelle paludi del fiume Guadalquivir. Molte delle fotografie erano ritratti di abitanti del posto e mostravano un misto di rassegnazione, diffidenza e durezza che erano parte di quei volti congelati nel passato e che, con la meccanizzazione del lavoro, molto probabilmente non avrebbero avuto un futuro duraturo. La mostra rifletteva la fine di un’era. Questo è stato il mio primo contatto con La Isla, un paesaggio crepuscolare, adatto a un western di fine secolo. Nel 2009, con Rafael Cobos abbiamo giocato con la possibilità di scrivere un “noir”, traendo ispirazione dal romanzo di Bolaño 2666 e da film come Memories of Murder, Chinatown, Giorno maledetto... Come fonte di ispirazione avevamo anche tutto quello che le paludi evocavano in noi, un magico e misterioso luogo in cui la ricchezza e il potere hanno vissuto spalla a spalla con il dolore e la tristezza di personaggi che sono il risultato di un passato politico e sociale. Così abbiamo iniziato a scrivere la storia. Abbiamo deciso di ambientarla nel 1980, anno di grandi tensioni politiche in Spagna, una tensione che doveva essere percepita in sottofondo, come un digrignare di denti...
Le paludi ci sono sempre apparse come un immenso, duro territorio; magnetico, ma davvero inospitale e crudele. E sono esattamente così. È stato un film difficile da fare, molto fisico per ciascuno dei membri della troupe. Il raccolto del riso ci ha costretto ad anticipare le riprese. Le temperature hanno toccato tutti gli estremi con massime di 42° in tarda estate e minime di -2° alla fine di novembre...
La isla mínima è una fiction dall’inizio alla fine. Il film ci parla della scomparsa di due ragazze. Trovare persone scomparse continua a essere uno dei lavori più comuni per gli investigatori della omicidi. Ancora oggi è uno dei loro compiti principali: cercare e trovare esseri umani che sono scomparsi, seguendo le tracce come se si trattasse di fantasmi. L’idea era quella di creare gli eventi del film basandosi sulla routine quotidiana dei poliziotti di quasi quarant’anni fa. Grazie ai consigli di due agenti ancora in servizio, abbiamo potuto studiare molti documenti di prima mano che poi ci sono serviti per costruire la trama. I metodi della polizia sono cambiati enormemente con gli anni: prima, le indagini erano molto meno scientifiche, i mezzi a disposizione erano inferiori o mancavano del tutto (molti poliziotti ci hanno detto – dopo aver letto lo script – che era strano che ogni agente avesse la propria stanza in motel, cosa che sarebbe stata considerata uno spreco di risorse...). Alla fine abbiamo ottenuto una trama forte ma avevamo bisogno di integrare maggiormente i personaggi, così abbiamo deciso di ispirarci a eventi reali che erano avvenuti in quegli anni. Nel caso del personaggio di Pedro abbiamo utilizzato la vera storia di un poliziotto che venne ammonito e si ritirò dall’incarico perché espresse la sua repulsione verso alcuni militari che erano a favore di un rovesciamento del governo. Non dimentichiamo che la storia si svolge appena dopo la caduta della dittatura di Franco. A conti fatti, La isla mínima è un film che rivela un tocco classico, per quanto riguarda le indagini e lo sviluppo dei personaggi, ma con uno sfondo che è torbido, fangoso, denso e impenetrabile, proprio come le paludi nelle quali è ambientato».
La critica
Un thriller poliziesco spagnolo dall’andatura forte, costruito con scrupolo e intelligenza. Che sia spagnolo lo fa anche essere sorprendente. Spagnolo del Sud della Spagna, della zona della foce piatta, paludosa e coltivata a risaie del Guadalquivir, nome che per gli arabi valeva “fiume grande”, fiume andaluso e atlantico, cantato dall’immaginifico poeta barocco Luis de Góngora (Cordova, 1561 – Cordova, 1627): «Oh gran río, gran rey de Andalucía, / de arenas nobles ya que no doradas!», dalle sabbie nobili anche se non dorate... Non ci sono dorature o abbellimenti neppure nel film. La isla mínima è un’indagine sulla scomparsa di due sorelle adolescenti, in un piccolo paese. Una coppia di poliziotti, venuti apposta da Madrid, conducono l’indagine, tra silenzi bugie complicità scoperte e sporcizie di ogni genere. Juan e Pedro capiscono presto che le ragazze sono state seviziate e uccise. C’è in giro un killer.
Nel 1980 la Spagna vive il barcollante passaggio dal franchismo residuale e resistente a una giovane e fragile democrazia: e i due poliziotti sono molto diversi l’uno dall’altro. Stanno su fronti opposti. Pedro, quello giovane, è onesto, occhi e mani pulite, apertamente per la nuova Spagna, è lui che all’arrivo nell’alberghetto del paese toglie dal muro un crocefisso contornato, alle intersezioni dei due bracci, dalle foto benauguranti di Franco, Salazar, Mussolini e Hitler. Juan, il più anziano, è franchista, nervoso, violento, ha uno sporco passato di torturatore, piscia sangue e del torturatore conserva modi e metodi. La coppia è come la Spagna, un piede volto all’indietro, l’altro ancora incerto. Intorno c’è l’incapacità della polizia locale, la corruzione della Guardia Civil, l’ambiguità, quando non l’omertà, di tutti. E c’è tutto quello spazio bruciato, brullo e desertico, con acquazzoni improvvisi e canali d’acqua sporca, strade sterrate e polverose, argini verso gli acquitrini. Un posto dove le giovani donne sono una merce come un’altra e tutte hanno “una cattiva reputazione”. Conta parecchio la geografia, la mappa spesso vista dall’alto in inquadrature zenitali di un territorio che è anche mentale: senza punti di orientamento. Mappa che riflette le viscere del piccolo paese e della Spagna di allora, viscere che ospitano fantasmi: da eliminare? da continuare a nascondere?
Nota. Facile notare che la coppia di poliziotti richiama quella di True Detective e le paludi spagnole fanno pensare a quelle della Louisiana. Nei film di genere gli scambi, i richiami, i prestiti sono voluti, obbligati e attesi. Ed è bene che sia così. Nei film polizieschi tutti i paesi sono il mondo.
bBruno Fornara, su facebook, 3 dicembre 2015
Spagna, 1980. Pochi si sono abituati alla democrazia, qualcuno rimpiange il franchismo, su certi crocifissi ancora campeggiano i santini di (in senso orario) Franco, Salazar, Hitler e Mussolini.
In una cittadina andalusa scompaiono due adolescenti inquiete, e Madrid manda un paio di poliziotti esperti e male assortiti. Uno, riottoso e progressista, vorrebbe essere altrove; dell’altro si intuisce un certo sardonico cinismo mascherato da ‘joie de vivre’, scosso da battute sul ‘si stava meglio quando si stava peggio’. Le ragazze intanto vengono trovate. Morte. Non è stato un incidente. Il regista del poliziesco Grupo 7 (2012), Alberto Rodríguez, torna con un giallo che per impianto e ambientazione ricorda un po’ True Detective (prima stagione): acqua, acquitrini, canali a perdita d’occhio, oggetti inquietanti a mo’ di feticci di morte, veggenti, superstizioni, oltre al cuore nero di sbirri dal grilletto facile. Ma La isla mínima è Europa, il continente che fatica a fare i conti con il proprio passato, ed è Spagna, con il suo grumo di riconciliazioni mancate e rimozioni persistenti. Il vero scenario del film, vincitore in patria di ben 10 Goya (gli Oscar iberici), è la storia con la s maiuscola, riflessa nei tic di una provincia remota e diversamente ‘interpretata’ dai due poliziotti protagonisti. Il fatto che il democratico sia antipatico e violento, e il fascista violento e simpatico, crea qualche ambiguità morale? Certamente: è un noir, signori miei, non giriamoci attorno, deve essere questa cosa qui. Rodríguez, anche sceneggiatore con Rafael Cobos, lo sa perfettamente e non cerca scorciatoie nel descrivere un piccolo mondo antico spaventato dal nuovo, i cui bravi abitanti nascondono carnefici in case abbandonate. Acqua e polvere: un contesto marziano dove un inseguimento notturno a fari spenti diventa astratto, e dove nelle fosse sono ricoperti, oltre ai cadaveri, indicibili segreti. Il cattolicesimo dovrebbe essere un mastice culturale e identitario, ma in La isla mínima di sensi di colpa non ne ha davvero nessuno. Come diceva il vecchio adagio: ‘Nous sommes tous des assassins’, siamo tutti assassini. Il successo di pubblico del film in Spagna è stato tale che le location andaluse sono diventate meta turistica.
MMauro Gervasini, FilmTv, dicembre 2015
Home page
Calendario delle proiezioni