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Scheda del film (180 Kb)
Steve Jobs - Scheda del film

 

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE  S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Giovedì 16 febbraio 2017 – Scheda n. 16 (991)

 

 

 

 

Steve Jobs

 

 

 

Regia: Danny Boyle

 

Soggetto: tratto dalla biografia “Steve Jobs” di Walter Isaacson

Sceneggiatura: Aaron Sorkin. Fotografia: Alwin Küchler.

Musica: Daniel Pemberton. Montaggio: Elliot Graham.

 

Interpreti: Michael Fassbender (Steve Jobs), Kate Winslet (Joanna Hoffman),

Seth Rogen (Steve ‘Woz’ Wozniak), Jeff Daniels (John Sculley),

Michael Stuhlbarg (Andy Hertzfeld), Katherine Waterston (Chrisann Brennan),

Perla Haney-Jardine (Lisa Brennan a 19 anni), Ripley Sobo (Lisa Brennan a 9 anni),

Makenzie Moss (Lisa Brennan a 5 anni)

 

Produzione: Scott Rudin Productions. Distribuzione: Universal Pictures International Italy.

Durata: 122’. Origine: Usa, 2015.

 

 

Danny Boyle

 

 

Nato a Manchester, la patria del pop inglese, nel 1956, Danny Boyle è regista, sceneggiatore e produttore. Famiglia proletaria, cattolica, con radici irlandesi. Ha nel sangue la passione per il cinema, comincia con il teatro, va a Londra e diventa direttore artistico della London’s Royal Court Theatre. Lavora in tv e gira Scout, The Hen House e la miniserie Mr. Wroe’s Virgins. Nel 1994, debutta al cinema con la commedia nera Piccoli omicidi tra amici: tre ragazzi, un cadavere e una valigia piena di soldi. Il botto arriva con Trainspotting: uno strambo tossicomane in giro per Edimburgo. Il film diventa un fenomeno internazionale. Nel 1997 Doyle gira negli Usa Una vita esagerata e The Beach. Del 2002 è il thriller apocalittico 28 giorni seguito da Sunshine e, nel 2004, da Millions. Il successivo The Millionaire (2008) viene inondato di premi. È la storia di un giovane facchino indiano che vince tutto il montepremi al quiz tv Chi vuol esser milionario?. Il film vince 8 Oscar, 4 Golden Globes, 2 European Film Awards, 1 David di Donatello e 1 Nastro d’Argento. Del 2010 è 127 Ore, poi In Trance (2012) e infine questo Steve Jobs (2015) con Michael Fassbender e Kate Winslet.

Sentiamo Doyle: «Ho letto la sceneggiatura e ho pensato che sarei stato un pazzo a non fare il film. Mi ha lasciato senza fiato. Ho pensato che non avevo mai fatto nulla di simile prima. Le sfide che presentava la sceneggiatura – il suo essere completa e autosufficiente, il suo meraviglioso esercizio linguistico – mi intrigavano immensamente. Anche il personaggio di Steve Jobs che il mio sceneggiatore Aaron Sorkin aveva creato – lo Steve che esiste nel copione che, per certi versi, combacia con quello storico e per altri no – mi affascinava enormemente. È un personaggio di proporzioni shakespeariane. È ipnotizzante, violento e divertente. Ho visto nella sceneggiatura di Sorkin molte persone orbitanti intorno a questo pianeta straordinario, che è il personaggio di Steve Jobs. Nella vita esistono persone come lui intorno alle quali finiamo per orbitare; le nostre vite sono vissute per certi versi nel loro riflesso e spesso siamo incapaci di staccarci da loro...

Sorkin descrive il film come un “ritratto impressionista”. Ci sono idee che vengono chiaramente dalla vita reale, ma il film è un’astrazione. Prende gli eventi – alcuni veri, altri immaginati – e li comprime all’interno di tre atti, strutturati intorno ai lanci del Macintosh nel 1984, del NeXTcube nel 1988 e dell’iMac nel 1998. Per tre volte compaiono sei personaggi, 40 minuti prima che ogni prodotto venga lanciato, e parlano semplicemente tra loro. Questa non è vita vera; è una versione amplificata della vita vera. Il copione di Sorkin parla di molto più che di Steve Jobs come persona. Lui ha cambiato una delle cose più preziose e vitali delle nostre vite, che è il modo in cui comunichiamo, in cui interagiamo gli uni con gli altri, eppure molti dei suoi rapporti erano profondamente disfunzionali. Il film parla anche di team, e con questo voglio dire che parla di una persona che è stata capace di spingere gruppi e individui a creare. Nel nostro personaggio di Steve c’è ingegno e umorismo, e una comprensione di quanto le persone amino trovare qualcuno che le incoraggi a sforzarsi. Jobs era quasi maniacale nella sua determinazione a trasformare le persone...

Una delle cose straordinarie della lingua di Aaron è il ritmo, la sua propulsione. Non vedevo l’ora di vedere gli attori parlare quella lingua ma sapevo anche che sarebbe stato molto impegnativo per loro. Visto che ci sono tre lanci, ci siamo concentrati su una parte per volta, provando e poi filmando ogni atto separatamente e in sequenza. Questo ha permesso agli attori di fermarsi e di fare il punto della situazione. Gli attori sono sempre in movimento, durante tutto il corso di ognuno di questi atti. Questo succede in parte, ovviamente, perché queste persone si trovano nel bel mezzo dei preparativi finali per un lancio e ci sono cose dell’ultimo minuto di cui occuparsi, ma è anche molto intenzionale perché fa parte della filosofia di Jobs. Lui camminava e parlava. Non voleva sedersi e fare meeting o riunioni noiose. Voleva sempre camminare e parlare perché questo dava un certo slancio all’iniziativa, qualsiasi essa fosse».

 

 

La critica

 

 

È vero che la critica ama compiacersi delle recensioni tortuose, però i film complessi esistono davvero. Prendiamo Steve Jobs e le sue innegabili asperità: si potrebbe tagliare la testa al toro assicurando che è un titolo da Oscar, facendo però torto all’ardita struttura in bilico tra delirio egocentrico, studio di carattere e testimonianza sulle nuove sfide del capitalismo congegnata per mettere a fuoco la personalità di un genio controverso. Non ci si poteva aspettare altro, peraltro, considerando che Danny Boyle (Trainspotting, The Millionaire) lo ha diretto in sinergia con Aaron Sorkin, il più talentuoso, elitario, ambizioso ed eterodosso sceneggiatore degli ultimi decenni di cinema, teatro e tv statunitensi (la serie West Wing, il film The Social Network). Diciamo subito ai lettori cosa debbono aspettarsi: niente biopic tradizionale, nessun cliché sull’ascesa e la caduta dell’eroe, nessuna informazione sulla giovinezza o la morte e soprattutto nessuna diversione dall’impianto fortemente teatrale. Assisteranno, piuttosto, a una sorta di oratorio laico in tre atti, corrispondenti ad altrettanti eventi pubblici che si fondono - sta qui l’impronta sorkiniana - con alcuni ambigui snodi privati: la presentazione del pionieristico Macintosh 128k (1984), il lancio in proprio del NeXT Computer (1988) e la messa sul mercato dell’iMac (1998). Del tutto indifferente ai canoni del cinema illustrativo o psicologico, il film punta a dissezionare i tratti caratteristici del protagonista letteralmente inseguendolo nei corridoi, gli stanzini, le quinte delle sale dove parla in continuazione interagendo con se stesso, i collaboratori, gli stagisti, i concorrenti e il pubblico degli addetti o degli invitati. Il ritmo compulsivo sin dalla prima inquadratura dei dialoghi, con le battute colte spesso con la macchina a mano, risponde a una strategia non facile da assorbire, ma formidabile per come utilizza le recitazioni, la fotografia, la musica, le scenografie e persino i suoni (per esempio i bip che cambiano con l’evoluzione dell’hardware) per indagare su quest’uomo algido, enigmatico, seduttivo, certamente ‘affamato’ e ‘folle’ come raccomandò agli adepti in un celebre discorso. Grazie all’inquietante immedesimazione di Fassbender (che non cerca affatto, ovviamente, di scimmiottare il vero Jobs) e di tutto il cast che gli tiene testa, non c’è alcun margine né per l’aureola agiografica né per la denigrazione ideologica. Boyle e Sorkin si muovono come in un thrilling esplorando i progressi per forza di cose ambivalenti di quella tecnologia che rende possibile fare cose prima impossibili, però solo se ha osato immaginarle un Prometeo moderno.

VValerio Caprara, Il Mattino, 24 gennaio 2016

 

Chi fu Steve Jobs? Un genio che, pur privo di vera competenza scientifica, rivoluzionò lo scenario tecnologico globale? Un perfezionista maniacale? Un uomo dall’ego sconfinato, indifferente a qualsiasi sollecitazione affettiva? Per portare sullo schermo una figura così complessa ci voleva giusto uno sceneggiatore del livello di Aaron Sorkin che, vagamente ispirandosi alla monumentale biografia di Walter Isaacson, ne condensa il ritratto in un copione di struttura teatrale. Una sorta di dramma in tre atti, ognuno dei quali racconta il dietro le quinte di altrettanti momenti clou della carriera di Jobs: il trionfalistico lancio, nel gennaio 1984 a Cupertino, del McIntosh ‘Lisa’, le cui vendite risultarono deludenti; la presentazione, nel 1988 a San Francisco, dell’elegantissimo NeXT ‘Black Cube’, troppo caro per ottenere successo di mercato; e infine nel 1998 – quando i tempi erano infine maturi per dare concretezza alla sua innovativa visione di computer – l’annuncio vincente di iMac, cui seguiranno i vari iPod, iPhone e iPad. Nella frenetica oretta che precede i meeting, un dispotico, isterizzato Jobs tira fuori il peggio di sé maltrattando chiunque gli capiti a tiro, nonostante la presenza mediatrice del direttore marketing Joanne Hoffman, amica fidata e l’unica in grado di farsi (talvolta) ascoltare. Sorkin utilizza questi frammenti di vita sotto pressione per far emergere del personaggio le tante sfaccettature, l’ambizione sconfinata e la natura assertiva, la mancanza di pietà e la motivazione profonda, la paranoica diffidenza e l’amore per la bellezza; mentre il regista Danny Boyle si incarica di imprimere immediatezza drammatica al racconto con un ben controllato stile di cinema verità. Al centro di un ottimo cast, e citiamo almeno Kate Winslet, nominata all’Oscar nel ruolo secondario di Joanne che in realtà è principalissimo, svetta magnifico Michael Fassbender, temibile concorrente di DiCaprio nella cinquina miglior protagonista. Pur spingendo senza paura sui lati oscuri, l’attore riesce a conferire all’insopportabile antieroe una dolente nota umana, che, quando è in scena la figlia Lisa, si colora persino di tenerezza.

AAlessandra Levantesi Kezich, La Stampa, 21 gennaio 2016

 

 

 

 

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Giovedì prossimo è carnevale e il film è intonato alla esuberante ricorrenza.

Un film caciarone, simpatico e divertente con uno scassinatore che decide di fare il suo ultimo colpo e nella cassaforte non trova soldi ma una tuta! Se la mette e diventa... Sorpresa! Il film è della Marvel, la casa dei fumetti e dei film con i supereroi. Solo che qui il supereroe è tutto il contrario di un supereroe.

In apertura c’è la Cucaracha. In chiusura un trenino gigante. E tutti gli schemi sono ribaltati. È la giubiascia... Allegri...

Durata: 117’.

 

 

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23 febbraio, ore 21

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