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Scheda del film (187 Kb)
Little Sister - Scheda del film

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE  S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Giovedì 9 marzo 2017 – Scheda n. 19 (994)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Little Sister

 

 

 

Titolo originale: Unimachi Diary

 

Regia: Hirokazu Kore-Eda

 

Sceneggiatura: Hirokazu Kore-Eda, tratto dal graphic novel Umimachi Diary di Akimi Yoshida.

Fotografia: Mikiya Takimoto. Musica: Yoko Kanno.

Montaggio: Hirokazu Kore-Eda.

 

Interpreti: Haruka Ayase (Sachi Koda), Masami Nagasawa (Yoshino Koda),

Kaho (Chika Koda), Suzu Hirose (Suzu Asano),

Shinobu Otake (Miyako Sasaki), Shinichi Tsutsumi (Dott. Kazuya Shiina),

Ryô Kase (Minami Sakashita), Jun Fubuki (Sachiko Ninomiya),

Lily Franky (Senichi Fukuda), Oshiro Maeda (Futa Ozaki).

 

Produzione: Toho Company. Distribuzione: BIM.

Durata: 128’. Origine: Giappone, 2015.

 

 

Hirokazu Kore-Eda

 

 

Nato a Tokyo nel 1962, Kore-Eda, dopo l’università, ha deciso di fare lo scrittore. Non ha avuto successo ed è passato al cinema come documentarista per una tv, occupandosi di problemi sociali in Shikashi (However, 1991), su un caso di suicidio di un funzionario governativo, Eiga ga jidai o utsusutoki - Hou Hsiao-hsien to Edward Yang (1993) su due tra i più importanti registi taiwanesi, e Kare no inai hachigatsu ga (August with Him, 1994) su un malato di AIDS. Debutta nel film narrativo con Maboroshi no hikari (1995), sul tema del suicidio, seguito da Wandafuru raifu (Afterlife), film sull’aldilà, dove i trapassati devono fare un film sulla loro vita per potere essere ammessi in paradiso... Del 2001 è Distance sul suicidio di massa degli adepti di un culto religioso. Nessuno lo sa (2004) racconta di quattro fratelli tenuti nascosti e poi abbandonati dalla madre. Nel 2006 esce Hana yori mo naho, un film in costume. Still Walking (2008) è un dramma familiare. Originale e divertente è la trasposizione di un manga (fumetto) Kûki ningyô (Air Doll), storia di una bambola gonfiabile e viva. Del 2011 è Kiseki (I Wish). È Father and Son (2013) a portare Kore-Eda al successo internazionale con il premio il Premio della Giuria a Cannes. Del 2014 è il film di stasera, Little Sister. Il più recente film di Kore-Eda è After the Storm (2016), presentato anch’esso al Cannes.

Sentiamo Kore-Eda: «Il titolo del romanzo a fumetti originale, Umimachi Diary (Diario di una città di mare), da cui è tratto il film, può aiutarci. I personaggi principali sono quattro sorelle, anche se la storia si concentra soprattutto sulla più piccola, Suzu, che deve affermare la propria identità, e sulla più grande, Sachi, che ha difficoltà ad accettare i suoi genitori. Ma non c’è solo questo. È anche la storia di una città e dello scorrere del tempo, giorno dopo giorno. Come l’alternarsi delle maree sulle sue spiagge, la città resta essenzialmente immutabile, nonostante il flusso di arrivi e partenze, come Suzu, per esempio, la signora Ninomiya o il fidanzato di Sachi. Un giorno, in futuro, quando tutti i personaggi della storia saranno morti, altri arriveranno in città per trascorrervi una parte della loro vita. Forse il senso profondo di questa vicenda è che un essere umano è solo una piccola cosa, un granello di sabbia sulla spiaggia...

Il personaggio principale del film è forse il tempo, che ingloba il passato e il futuro. Pensando questo, mi sono reso conto che concentrarmi sui rapporti difficili tra i personaggi non era l’approccio giusto per realizzare il film. Quello che mi interessa non è solo la bellezza dei paesaggi di Kamakura – e delle quattro sorelle – ma anche l’atteggiamento di accettazione di questa cittadina di mare, che accoglie e abbraccia tutto e tutti. È la bellezza che nasce dalla consapevolezza – sincera ma non dolorosa – che siamo solo granelli di sabbia che formano una parte del tutto, e che la città e il tempo che la attraversa continueranno ad esserci anche quando noi non ci saremo più. Ecco la prospettiva che ho scelto per dirigere il film...

Ho cercato di aggiungere qualcosa di mio ai dialoghi e al modo di esprimersi dei personaggi. Mentre dirigevo il film, il confine si è fatto sempre più indistinto, tanto che mi capitava di chiedermi: “Ma questa scena c’era, nell’originale? O l’ho aggiunta io?”. E questa è la prova, credo, che ero riuscito a fare mio l’originale...

La postura eretta dei personaggi del film ricorda i film di Ozu. Le quattro sorelle hanno un aspetto e un portamento solenne. Ho pensato che fosse meglio riprenderle come parte del paesaggio, anziché in uno stile documentaristico...

Il film è anche la storia del padre delle sorelle, della madre di Suzu, della nonna – di persone che non ci sono più. È stato difficile rappresentarle attraverso il comportamento e i dialoghi delle protagoniste – o cose come il toast di acciughe – anziché usare i flashback, mostrando come hanno influenzato la vita delle sorelle. Ho incluso la scena della frittura di sgombro perché volevo mostrare come certe cose si tramandino anche dopo la morte. È un elemento importante del film che lascia intravedere un futuro possibile».

 

 

La critica

 

 

Un film bello: «Sono contento di riconoscere la bellezza quando è qui». Sincero: «La sincerità è quello che conta». Intenso: «Devo proteggere questo luogo». Minimalista e rincuorante: «Le unghie dei piedi ben colorate tirano su il morale». E due gridi, quello della sorella maggiore: «Papà è un imbecille!» e quello della sorella minore: «Mamma è un’imbecille!», con l’aggiunta: «Avrei voluto passare più tempo con lei...».

Ci sono tre sorelle grandi che vivono in una cittadina ai bordi del mare. Il titolo originale è Umimachi Diary, Diario da una città sulla riva del mare. Il padre muore, lontano: le ha lasciate da tanto tempo per farsi un’altra famiglia. Le tre sorelle decidono di andare alla cerimonia funebre e trovano la mai conosciuta sorella piccola, figlia della seconda moglie del padre. Quando le sorelle grandi tornano a casa, la sorella adolescente va a vivere con loro. Comincia per tutte una nuova vita, bella sincera intensa, nella quale si riconoscono tutte e quattro figlie di uno stesso padre e tre di loro di una stessa madre, che le ha lasciate da tanto e che rientra in scena, svirgolona, frizzantina, dolce. Il film è un adattamento da un manga, una storia a fumetti intitolata Our Little Sister e sembra un film di Ozu, trasportato nell’oggi. Qui le sorelle, di cognome fanno Koda. Ozu ha girato, nel 1941, uno dei suoi tanti film intitolato Fratelli e sorelle della famiglia Toda, anche quello un film familiare con genitori e 5 figli, con la morte del padre, con le frizioni tra tutti, comprese nuore e parenti. Koda e Toda. Kore-eda e Ozu: una parentela stretta. Ci sono tanti fiori di ciliegio, tanti pasti da preparare, tanto cibo da gustare, un ristorantino con una padrona gentilissima, belle fritture di bianchetti piccolissimi. C’è soprattutto quella atmosfera di Ozu che i giapponesi chiamano mono no aware (物の哀れ) e che indica l’essere coscienti della precarietà e della impermanenza delle cose, il leggero ma ben presente senso di dispiacere per il loro svanire, il godere di un momento e sapere che se ne andrà. Come se Ozu e Kore-eda dicessero insieme: «Si può, ancora, vivere così, con leggerezza, nell’impermanenza». Ozu, vivesse oggi, potrebbe anche girare, lui così discreto, l’immagine di una delle sorelle che esce dal bagno con l’asciugamano addosso, va verso il giardino, si ferma sul rialzo, accende il ventilatore, apre l’asciugamano bello largo e sta lì a prendersi l’arietta. Kore-eda rinfresca Ozu.

BBruno Fornara, facebook, 3 gennaio 2016

 

Little Sister comincia con un funerale: quello del padre di tre sorelle – Sachi, Yoshino e Chika – che vivono insieme in una grande casa a Kamakura. Le ragazze, che non hanno avuto più notizie del genitore da quando questi, quindici anni prima, ha lasciato la famiglia per un’altra donna, vanno alla cerimonia funebre soltanto per dovere. Qui, però, incontrano la quarta figlia, la tredicenne Suzu, e decidono d’invitare la sorellastra ad andare a vivere con loro. (...)

Kore-Eda non ha scordato la lezione dei maestri; né, in particolare, quella di Ozu. Anche se le storie di famiglia che racconta sono atipiche, il cineasta conosce l’importanza della cura reciproca e la sa rappresentare attraverso piccoli gesti, momenti di intimità fatti di sguardi e di silenzi, apparentemente insignificanti e che – invece – diventano significativi grazie alla macchina da presa. Qualcuno potrà vederci dei ‘tempi morti’, ma si tratta piuttosto di un andamento dolcemente languido, non senza momenti di sottile humour. A differenza del maestro Ozu, però, Kore-Eda non oppone tradizione e modernità. Anche se le tre sorelle maggiori vivono in una città, e la ‘sorellina’ viene da un mondo campestre e antico, i giochi sono ormai fatti. Però l’individualismo che rode il mondo della modernità può essere esorcizzato, caso per caso, attraverso l’accudimento e il reciproco aiuto: quelli di cui è capace solo la famiglia, anche se in una variante riveduta e aggiornata. Così Sachi, la sorella maggiore (che pure ha una relazione con un uomo sposato) diventa una madre sostitutiva per Suzu, come in fondo già lo era per le altre due.

Affettuosamente malinconico, Little Sister è una bella variazione sul tema familiare priva di clamore e furia, ma non di profondità, nonché alieno dalle semplificazioni e dalle soluzioni lacrimose. Le inquadrature del direttore della fotografia Mikiya Takimoto sono composte con estrema cura per accogliere quattro personaggi femminili, diversi e complementari, ciascuno dei quali ha diritto a un proprio sviluppo e a una propria individuale personalità, interpretate da quattro attrici brave e amabili. Quanto agli spettatori non ancora sazi dei rapporti tra film e cibo, sappiano che Kore-Eda custodisce un’altra tradizione consolidata del cinema giapponese: quella di riunire i personaggi intorno ai riti della cucina.

RRoberto Nepoti, La Repubblica, 24 dicembre 2015

 

 

 

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Femmina folle

 

di John M. Stahl

 

 

Da qualche anno sono ritornati in sala i capolavori del passato.  Tanti soci ci chiedono di programmare film della storia del cinema. L’abbiamo già fatto e continueremo a farlo.

Questo film è stupefacente. Data 1945. Regia di John M. Stahl. Uno dei grandi mélo, con passioni sfrenate e ossessioni perturbanti. Da seguire sbalorditi: ma chi è questa donna? È una Femmina folle e il titolo originale dice “lasciamola andare in cielo”, Leave Her to Heaven.

Una storia infuocata. (In un orecchio: come interpretate voi la scena in cui lei a cavallo, intorno a una cavità rocciosa, sparge le ceneri del padre muovendo ritmicamente l’urna appoggiata in grembo?). Con la bellissima Gene Tierney, Cornel Wilde e Vincent Price (che non fa il vampiro).

Durata: 110’.

 

 

 

 

Giovedì 16 marzo, ore 21

Cinema Sociale - Omegna

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