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Giovedì 6 aprile 2017 – Scheda n. 23 (998)
Life
Regia: Anton Corbijn
Sceneggiatura: Luke Davies. Fotografia: Charlotte Bruus Christensen.
Musica: Owen Pallett. Montaggio: Nick Fenton.
Interpreti: Robert Pattinson (Dennis Stock), Dane DeHaan (James Dean),
Joel Edgerton (John Morris), Alessandra Mastronardi (Pier Angeli),
Ben Kingsley (Jack Warner), Stella Schnabel (Norma),
Kristen Hager (Veronica), Kelly McCreary (Eartha Kitt),
Michael Therriault (Elia Kazan), Kristian Bruun (Roger Love).
Produzione: See-Saw Films. Distribuzione: BIM.
Durata: 111’. Origine: UK, 2015.
Anton Corbijn
Nato nel 1955 a Strijen, in Olanda, Anton Corbijn comincia la sua carriera nel 1972: si fa prestare la macchina fotografica dal padre, pastore protestante, va al concerto dei Solution e fotografa la band. Affascinato dal mondo musicale, si trasferisce a Londra, frequenta la scena post-punk, collabora con il maggiore settimanale di musica inglese New Musical Express, le sue foto finiscono su Vogue e Rolling Stone. Lo stile di Corbijn influenza gli U2 e i Depeche Mode: è lui che inventa il loro look. Dirige i primi clip musicali. Vince l’MTV Music Award per Heart Shaped Box dei Nirvana; guadagna una nomination ai Grammy per Devotional dei Depeche Mode. Il suo corto Some YoYo Stuff (1993) è su Don Van Vliet, alias Captain Beefheart, uno dei più grandi e irraggiungibili esponenti del rock, ritiratosi nel 1982. Nel 2007 esordisce nel cinema con Control su vita e morte di Ian Curtis, il cantante dei Joy Division. Il secondo film è The American, con George Clooney. Il terzo è La spia - A Most Wanted Man, da Le Carré, con lo scomparso Philip Seymour Hoffman. Poi è arrivato questo Life.
Sentiamo Corbijn: «Dennis Stock era un fotografo come lo sono io. Fotografava persone interessanti e artisti famosi: che è un po’ quello che facevo anch’io. Mi identificavo in quel giovane fotografo che segue un artista che di colpo arriva al successo. In quel periodo stavo girando il mio film La spia. Così, per la prima volta ho girato due film uno di seguito all’altro: credo di essermela cavata...
Secondo me, la forza del film non sta solo nel personaggio di James Dean. In realtà, il protagonista è Dennis Stock. La storia è raccontata attraverso i suoi occhi e il suo modo di vivere l’amicizia con Dean. Il fotografo e l’attore si dividono la scena. Jimmy e Dennis imparano l’uno dall’altro. Dennis impara a vedere in una chiave diversa il suo rapporto col figlio, e James Dean scopre l’importanza di avere un amico che ha le sue opinioni e non ti dà sempre ragione...
Non mi interessava tanto realizzare un biopic (film biografico) convenzionale per celebrare o confutare il mito di James Dean, quanto piuttosto raccontare la storia di un’amicizia e di un cambiamento culturale. È la storia dell’incontro di due giovani artisti: uno è un fotografo affermato, l’altro un attore ribelle a un passo dal successo e dalla tragedia. Dal loro rapporto tormentato nasce un’amicizia che racconta l’avvento di una nuova generazione di giovani irrequieti e di un nuovo volto del divismo...
A un certo punto abbiamo avuto l’idea giusta: costruire il film in tre atti. Atto I: Los Angeles. Atto II: New York. Atto III: Indiana. E il ritorno in Indiana è come un viaggio nel passato di Jimmy: l’Indiana rappresenta l’America tradizionale dell’epoca. È lì che si avvertono le tensioni tra il mondo rurale e quello della fama, è questo uno straordinario momento di svolta nello zeitgeist, nello spirito del tempo americano, quel tempo da cui sono nate le rivoluzioni degli anni Sessanta. Gli adolescenti del ’55 che guardavano Gioventù bruciata con James Dean si riconoscevano nei suoi protagonisti e nei grandi cambiamenti culturali che si profilavano all’orizzonte e che loro stessi avevano contribuito a innescare...
Per quanto riguarda il titolo, è stata una scelta istantanea. Non c’è mai stato un altro titolo. Dennis Stock lavorava per la rivista Life, e il tema del film sono le scelte di vita. A un livello più profondo, il film parla di come il nostro essere mortali dovrebbe influenzare il modo in cui scegliamo di vivere, qui e ora. Quindi è una celebrazione della vita e un’elegia della morte di James Dean».
La critica
Elegia per un’epoca perduta. Due uomini, quasi due ragazzi. Due Americhe anzi tre, Los Angeles, New York, poi le terre selvagge dell’Indiana. Due destini che per un momento si sfiorano dando vita a qualcosa che entrerà nella leggenda. Per molti anni a venire. Uno è un fotografo, un fabbricante di immagini, un giovane di sicuro talento che per ora si adatta a fare la spola tra New York e Hollywood realizzando servizi sul set dei film in lavorazione, ma collabora anche a riviste prestigiose come Life. L’altro è un attore alle prime armi, un ragazzo di campagna che un’immagine ancora non ce l’ha e forse non vuole nemmeno averla, ma presto diventerà un mito perché mentre i giornali parlano del suo flirt con Anna Maria Pierangeli, l’italiana che per qualche anno fu una diva a Hollywood, lui ha appena fatto un film con un certo Elia Kazan. Il suo nome è Dean, James Dean, ma per ora nessuno sa chi sia. Nemmeno alla Magnum hanno sentito parlare di lui. Anzi sono sicuri che Dennis Stock (un sorprendente Robert Pattinson) perda il suo tempo a correre dietro a quel ragazzo dalla voce strascicata che si nega, sfugge agli appuntamenti, dice cose sconnesse, fa di tutto per sabotare la sua carriera sul nascere.
Eppure Dennis non sbaglia e lo sa. In quel giovanotto insicuro e tracotante insieme, vede qualcosa che presto affascinerà l’America intera. Qualcosa che verrà rivelato e perduto quasi nello stesso momento, anche se per ora naturalmente nessuno può saperlo. Qualcosa che gli americani chiamano con troppa disinvoltura ‘innocenza’ e ha a che fare con gli spazi sconfinati di un paese che esiste solo sulle carte ma ha affidato al cinema il compito di costruire la sua identità collettiva. Un misto di ribellione e fatalismo. Un attaccamento quasi cieco alla tradizione che può tradursi all’improvviso in rotture clamorose e irreversibili. Una passione dolorosa per la propria terra che il protagonista di Life esprime nei versi rustici e struggenti di James Whitcomb Riley, recitati da James Dean quando finalmente lui e il suo fotografo partono per l’Indiana. Ma che il film stesso, firmato dall’olandese Anton Corbijn, a lungo fotografo specializzato in rockstar, affida a immagini sapienti e calibratissime, punteggiate dai ricorrenti passaggi in camera oscura del fotografo. E ai ritmi lenti di una sceneggiatura che punta senza mai sottolinearlo sui parallelismi tra quei due protagonisti così diversi. Ma intanto ci porta con naturalezza all’Actors Studio, nella camera da letto della Pierangeli (perfetta Alessandra Mastronardi), negli uffici del tirannico Jack Warner (maestoso Ben Kingsley), poi finalmente nel paesino natale dell’attore, sotto la neve. In un lungo epilogo poetico e così ispirato che riesce quasi a farci dimenticare quanto sia improbabile lo scialbo e manierato Dane DeHaan nel ruolo del divo.
FFabio Ferzetti, Il Messaggero, 8 ottobre 2015
Singolare biopic fuori dai canoni, Life segna il ritorno del regista Anton Corbijn, dopo The American e La spia, alla sua antica passione per la fotografia. New York 1955. Due giovani accomunati dall’ambizione e dall’ansia di successo, entrambi di carattere sensibile e scontroso, si incontrano e simpatizzano. Nasce così l’amicizia tra il fotografo Dennis Stock e il promettente giovane attore James Dean che lo invita all’anteprima di La valle dell’Eden, il suo primo film da protagonista. Stock coglie nel suo sguardo una luce particolare e ne intuisce il potenziale divistico. Decide di dedicargli un servizio fotografico che propone alla rivista ‘Life’. L’attore, distratto e sfuggente, si comporterà poi in maniera esasperante. Ma il travagliato percorso sarà premiante. E le foto di Dean a New York, a partire da quella mitica sullo sfondo di Times Square, all’Actors Studio o nei locali dove si fa l’alba, e poi nella fattoria di Fairmount nell’Indiana dove era nato e cresciuto, circondato dall’affetto di amici e familiari, furono pubblicate sul numero di ‘Life’ del 7 marzo 1955, fra le pagine 125 e 128, ma senza la copertina. Il titolo era ‘A moody new star’ (‘Una star malinconica’). Il servizio segnò una svolta decisiva nella carriera del fotografo e consegnò alla storia il ritratto autentico, in controtendenza con lo star system che detestava, di un ribelle dalla singolare personalità, ricca di complesse sfumature, che sarebbe morto di lì a poco in un incidente d’auto, a soli 24 anni. Il film si segnala innanzi tutto per l’ottima prova di Robert Pattinson (Dennis Stock) e ancor più del ventottenne Dane DeHaan (James Dean), uno dei più talentuosi attori della sua generazione. (Ma merita una menzione anche la nostra brava Alessandra Mastronardi, nel ruolo di Pier Angeli, l’attrice italiana con cui James Dean visse un’intensa storia d’amore). Entrambi gli interpreti recitano per sottrazione, trattenendo sentimenti ed emozioni, ingenerando così una sensazione di freddezza. Ma è proprio questo il fascino particolare del film che schiva volutamente il coinvolgimento emotivo del biopic tradizionale, curando molto la ricostruzione di ambienti ed atmosfere dell’America anni ’50, percorsa da quel ribellismo giovanile, destinato di lì a poco a coinvolgere l’intera società americana, di cui James Dean rimarrà per sempre icona a causa della sua tragica morte. Il film è anche un’interessante riflessione sul rapporto fra immagine fotografica e immagine cinematografica, e sul valore della fotogenia, dote essenziale per vincere la sfida di un mondo dove ‘apparire’ è più importante che ‘essere’.
EEliana Lo Castro Napoli, Il Giornale di Sicilia 11 ottobre 2015
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