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Scheda del film (219 Kb)
L'altro volto della speranza - Scheda del film

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE  S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Giovedì 30 novembre 2017 – Scheda n. 8 (1010)

 

 

 

 

 

L’altro volto della speranza

 

 

 

Titolo originale: Toivon tuolla puolen

 

Regia e sceneggiatura: Aki Kaurismäki

 

Fotografia: Timo Salminen.

 

Interpreti: Sherwan Haji (Khaled), Sakari Kuosmanen (Wikström),

Ilkka Koivula (Calamnius), Janne Hyytiäinen (Nyrhinen),

Nuppu Koivu (Mirja).

 

Produzione: Sputnik Oy. Distribuzione: Cinema De Paolis.

Durata: 98’. Origine: Finlandia, 2017.

 

 

Aki Kaurismäki

 

 

Eccolo di nuovo. Torna un regista che ci piace e che abbiamo seguito, qui al Cineforum, fin dai suoi primi film. Nato a Orimattila, in Finlandia, nel 1957, Aki Kaurismäki coltiva con il fratello Mika la passione per il cinema, frequenta i cineclub e la cineteca a Helsinki, fa anche il critico cinematografico. I due fondano una casa di produzione, la Villealfa, che realizza a budget ridottissimo i loro primi film in uno stile laconico ed essenziale. Debuttano insieme nel 1981 con La sindrome del lago Saimaa, documentario sulla musica rock finlandese. Poi le strade si dividono: Mika fa soltanto qualche altro film, Aki diventa un regista importante fin dal suo secondo lavoro, Delitto e castigo, tratto da Dostoevskij (1983). Poi vengono Calamari Union, Ombre nel paradiso e Amleto si mette in affari (1987), rilettura anticapitalista della tragedia shakespeariana. Del 1988 è Ariel e del 1989 La fiammiferaia, il film che gli dà risonanza internazionale, storia di un’operaia e della sua vita di fabbrica. Una delle passioni di Aki è la musica, sia il rock che il tango (che lui sostiene sia nato in Finlandia): ecco Leningrad Cowboys Go America (1989), seguito da Total Balalaika Show (1992) con i Leningrad Cowboys in concerto con l’orchestra e il coro dell’amata Armata Rossa, e da Leningrad Cowboys Meet Moses (1994). Kaurismäki ha sempre lavorato con costanza, in media un film ogni due anni. Del 1990 è Ho affittato un killer, che ha per protagonista l’attore feticcio di Truffaut, Jean-Pierre Léaud. Il successivo Vita da bohème (1992) deriva dal romanzo di Henri Murger (1851) e Aki, nel film, mette le musiche non di Puccini ma di Mozart più molti valzer francesi. Tatjana (1994) è un film essenziale, quasi senza parlato.  Due anni dopo è la volta di uno dei suoi film più belli, Nuvole in viaggio, commedia sulla disoccupazione. Del 1999 è Juha, in bianco e nero nello stile di un film muto. Magnifico è L’uomo senza passato (2002), seguito da Le luci della sera e da un altro capolavoro, Miracolo a Le Havre. Infine ecco L’altro volto della speranza, vincitore dell’Orso d’Argento per la Miglior Regia al Festival di Berlino.

Sentiamo Kaurismäki: «Con questo film, cerco di fare del mio meglio per mandare in frantumi l’atteggiamento europeo di considerare i profughi o come delle vittime che meritano compassione o come degli arroganti immigrati clandestini a scopo economico che invadono le nostre società con il mero intento di rubarci il lavoro, la moglie, la casa e l’automobile. Nella storia del continente europeo, la creazione e l’applicazione di pregiudizi stereotipati contiene un eco sinistro. Ammetto serenamente che L’altro volto della speranza è per certi versi un cosiddetto film di tendenza che tenta senza alcuno scrupolo di influenzare le visioni e le opinioni dei suoi spettatori, cercando al tempo stesso di manipolare le loro emozioni al fine di raggiungere questo scopo. Dal momento che tali sforzi falliranno immancabilmente, quello che ne resterà è, mi auguro, una storia onesta e venata di malinconia trainata dal senso dell’umorismo, ma per altri aspetti anche un film quasi realistico sui destini di certi esseri umani qui, oggi, in questo nostro mondo...

Negli ultimi anni il tema dell’immigrazione è molto presente sui media e molti film hanno affrontato l’argomento. Ma non è facile perché le persone sono sempre meno sensibili, non hanno più cuore. È per questo che ho scelto di usare la chiave dell’umorismo. Che è sempre stata la chiave del grande Chaplin. L’Europa è molto cambiata rispetto all’immigrazione. Il numero dei rifugiati non è tanto diverso da sessant’anni fa, prima li accoglievamo, ora dobbiamo considerarli nemici? Che fine ha fatto la nostra umanità? In Finlandia siamo sei milioni, i rifugiati sono 20mila e c’è chi vive questo numero esiguo come fosse un’invasione. Non riesco a comprenderlo, ad accettarlo...  

Io considero il maltrattamento dei migranti e rifugiati un crimine contro l’umanità. Nei secoli passati l’Europa era il cuore della cultura dell’accoglienza, oggi è un covo di criminali che stanno distruggendo le democrazie. Non illudiamoci di essere ancora il centro del mondo: la nostra cultura - se si chiude su se stessa - vale un millimetro di polvere sul pianeta...

Cosa penso del mio mestiere di regista? Il grande Jean Renoir con La grande illusione voleva fermare la seconda guerra mondiale, ma il cinema non cambia il mondo e non ci è riuscito. Ma almeno ci ha provato. È il nostro dovere, non sarei un essere umano se non ci provassi. Se anche solo qualcuno vedrà il mio film e comprenderà la posizione dell’altro, di chi oggi è rifugiato come domani potremmo essere noi, allora va bene. Mi piace pensare che questo sia stato il mio ultimo film...

Ho anche i miei miti cinematografici. Lubitsch e naturalmente Chaplin, così moderno che le sue storie fanno piangere e ridere ancora oggi. Se guardi agli Stati Uniti ti accorgi quanto Chaplin con i suoi film fossero nel giusto».

 

 

La critica

 

 

L’altro volto della speranza è l’ultimo film di uno dei registi più generosi e simpatici che si conoscano, il laconico finlandese Aki Kaurismäki, che conferma le sue qualità e porta avanti il suo discorso, basato su una scelta radicale fatta una volta per tutte: stare dalla parte dei marginali, dei loser, di coloro che diffidano della società organizzata perché dominata dai potenti e dai loro servitori e nemica dei deboli. La sua scelta è da sempre quella di stare dalla loro parte e di raccontare le loro disgrazie ma anche le loro grazie, la loro ostinazione nel cercare un mondo più giusto e nel tentare di costruirlo pezzetto per pezzetto, pervicacemente. In questo percorso essi incontrano spesso i “normali” pur se delusi dal mondo così com’è, che in molti dei suoi film decidono improvvisamente di cambiare strada come il non giovane commerciante-venditore di questo film, che decide di cambiare vita e si dà al settore, più gratificante (anche se inflazionato), della ristorazione. Recupera un ristorante noioso e il suo personale, e insieme trasformano il locale in un ritrovo esotico e ballerino, che trova un pubblico nuovo e vivace. A questa storia s’intreccia quella di un immigrato clandestino dal Medio Oriente che ad Aleppo ha perduto parte della famiglia sotto i bombardamenti, e nella fuga ha perso le tracce di una sorella, sopravvissuta come lui ma finita chissà dove.

Le fatiche dei richiedenti asilo sono raccontate con la partecipazione di un autore che si considera un outsider, e dunque anche lui in qualche modo straniero, in quanto estraneo alle regole del gioco stabilite da chi comanda. Kaurismäki racconta con la consueta essenzialità e scansione, per immagini limpide e prediligendo una recitazione estraniata, antinaturalistica. Intende stabilire sempre una distanza tra il film e lo spettatore. Non intende commuovere, ma solo mostrare e dimostrare. Non ama la retorica e i comizi sentimentali della stragrande maggioranza dei registi che si dicono buoni. A volte, per esempio nel suo capolavoro L’uomo senza passato, parte da una storia esemplare e romanzesca, ed è allora che l’ala della poesia protegge il suo lavoro e lo rende quasi unico nel cinema contemporaneo. Dovessimo trovargli dei parenti, penseremmo in Italia a Franco Maresco, più disperato, o ad Alice Rohrwacher, più affettiva. Altre volte, come in quest’ultimo lavoro, si avverte una qualche fatica, una ripetizione, e la dimostrazione non ha il dono della semplicità e della poesia ma appare a tratti sforzata. Però quale altro regista di fiction ha saputo narrare con questa semplicità e immediatezza la vera, la prima tragedia dei nostri anni, che è quella dei migranti cacciati dalle loro patrie dalle guerre, dalle dittature, dalla fame, e infine dalla speranza di poter trovare una società non nemica? Kaurismäki, per sua scelta, non è uno di quegli ammortizzatori del disagio, addomesticato di possibili ribellioni. In genere, si resta irritati o indignati di fronte ai tantissimi film e documentari che affrontano, anche in Italia, temi simili secondo le vecchie modalità paratelevisive e giornalistiche di una denuncia insincera e del ricatto sentimentale (e questo vale anche per tanta letteratura). A scrivere e a filmare non sono degli outsiders ma degli insiders preoccupati in primo luogo del loro successo e della loro carriera, e che sono membri di quella vastissima parte dell’umanità di oggi che, chi più chi meno, vive e guadagna alle spalle di chi soffre, mediatori indispensabili dentro un sistema economico aberrante, ammortizzatori del disagio, addomesticatori di possibili ribellioni. Kaurismäki non è di questi, e non lo è anzitutto per la scelta del suo stile, per il modo in cui racconta, dettato dall’amore che porta ai suoi personaggi e dall’identificazione nelle loro pene. Non vuole commuovere, vuole capire e vuole aiutare a capire. Il finale di L’altro volto della speranza non è affatto consolatorio, non sappiamo se il protagonista sopravviverà alla coltellata del fascista. Non sappiamo cosa ne sarà delle migliaia e migliaia di persone come lui, in un’Europa decisamente frigida, decisamente egoista, con una sinistra molto ipocrita e molto di destra, e con una popolazione in cui abbondano i falsi buoni e quelli veri latitano, non agiscono.

GGoffredo Fofi, Internazionale, 7 aprile 2017

 

 

 

 

 

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Mister Universo

 

di Tizza Covi e Rainer Frimmel

 

 

Un film speciale. Un gioiellino nascosto. Nato sotto il tendone di un circo. Firmato dalla coppia Tizza Covi e Rainer Frimmel, registi del tenero La pivellina che abbiamo presentato al Cineforum qualche anno fa.

C’è ancora Tairo, un giovane domatore di leoni che sale da Roma a Milano e dintorni a cercare quel Mister Universo che un giorno gli piegò all’istante un ferro e glielo regalò come portafortuna. Il mondo del circo con parentesi allegre: lo zio ex cantante, gli animali e gli umani, il Mister Universo del 1957, l’Uomo Forte, il vero Arthur Robin, primo Mister Universo dalla pelle scura: dov’è finito?, risposta: da qualche parte, in Piemonte, vicino a noi.

Il favoloso nascosto dentro al mondo ordinario dal sapore un po’ demodé e antico del circo, con le roulotte, i pochi spettatori, la contorsionista con il mal di schiena, i clown e l’acqua che può scorrere verso l’alto! Uomini e donne singolari, come non se ne vedono più. Davvero un altro mondo.

Durata: 90’.

 

 

Giovedì 7 dicembre, ore 21

Cinema Sociale - Omegna

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