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Scheda del film (230 Kb)
Ritratto di famiglia con tempesta - Scheda del film

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE  S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Mercoledì 13 dicembre 2017 – Scheda n. 10  (1012)

 

 

 

 

Ritratto di famiglia con tempesta

 

 

 

Titolo originale: Umi yori mo mada fukaku

 

Regia e sceneggiatura: Hirokazu Kore-Eda

 

Fotografia: Yukata Yamazaki. Musica: Haneregumi.

 

Interpreti: Abe Iroshi (Shinoda Ryota), Maki Yoko (Shiraishi Kyoko),

Yoshizawa Taiyo (Shiraishi Shingo), Kiki Kilin (Shinoda Yoshiko).

 

Produzione: Aoi Promotion Inc. Distribuzione: Tucker Film.

Durata: 117’. Origine: Giappone, 2016.

 

 

Hirokazu Kore-Eda

 

 

Nato a Tokyo nel 1962, Hirokazu Kore-Eda (是枝 裕和) è uno degli esponenti più interessanti e più seguiti del lontano Oriente. Ha già girato molti film ma soltanto gli ultimi sono arrivati nelle sale italiane. Centrale nel suo cinema è il tema dei legami personali, soprattutto di quelli familiari. Kore-Eda ha studiato all’Università Waseda, ha lavorato come documentarista alla TV Man Union: hanno fatto scalpore in Giappone il suo doc Shikashi (1991) sul caso di cronaca del suicidio di un funzionario governativo e, fra i cinefili, un altro doc, Eiga ga jidai o utsusutoki - Hou Hsiao-hsien to Edward Yang (1993) dedicato a due grandi registi taiwanesi, Hou Hsiao-hsien ed Edward Yang. Ha esordito nel lungometraggio di finzione con Maborosi (1995), presentato e premiato alla Mostra di Venezia. Con il film successivo, Wandāfuru raifu, vincitore di molti premi in festival in tutto il mondo (tra i quali il premio Holden per la migliore sceneggiatura al Torino Film Festival), raggiunge la notorietà internazionale. Distance, in concorso a Cannes 2001, mette in scena il suicidio di massa degli adepti di un culto religioso. Nessuno lo sa (Daremo shiranai), presentato ancora a Cannes nel 2004, si basa su un altro tragico fatto di cronaca. Hana yori mo naho (2006) è un film in costume, un film di samurai, genere per eccellenza del cinema giapponese, il jidai-geki. Dopo il dramma familiare Aruitemo aruitemo (2008), Kore-Eda affronta, come succede sempre a un regista nipponico, la trasposizione cinematografica di un manga (fumetto), con Kūki ningyō (2009). Arrivano quindi i film che lo impongono definitivamente all’attenzione di tutto il mondo, compresi i frequentatori del nostro cineforum: Father and Son (2013) e Little Sister (2015). Questo Ritratto di famiglia con tempesta (2016) è stato presentato al festival di Cannes. Il più recente film di Kore-Eda, Il terzo omicidio (2017), è passato in concorso all’ultima Mostra di Venezia.

Sentiamo il regista: «Il protagonista del film, Ryota, cui presta irresistibile e spavalda goffaggine l’attore Abe Hiroshi, è un loser, un perdente, che sembra uscito dalla penna di Svevo: promessa (non mantenuta) della letteratura, giocatore d’azzardo, investigatore privato per tenersi a galla, ex marito di un’ex moglie che ha esaurito le ingentissime scorte di fiducia, padre maldestro di un bambino che conosce poco, figlio fragile di un’anziana madre amorevolmente rassegnata (Kiki Kilin). Basterà una lunga notte di tempesta, con i quattro personaggi obbligati a condividere gli stessi metri quadrati fino all’alba, per attutire gli spigoli del presente e, soprattutto, del futuro?...

La scintilla da cui ha preso vita Ritratto di famiglia con tempesta è scattata nel 2001, quando mia madre, rimasta sola, ha deciso di cambiare casa e di trasferirsi in un complesso residenziale. Un giorno sono andato a trovarla e ho subito pensato che fosse la location perfetta per girarci un film. La prima scena che mi è venuta in mente? Una passeggiata in mezzo ai palazzi, di mattina, con l’erba luccicante di pioggia. La città è bellissima dopo una tempesta! Molti anni più tardi, nell’estate del 2013, ho iniziato a scrivere la sceneggiatura, annotandomi queste parole: «Non tutti diventano quello che volevano essere». Così è nato Ryota, personaggio per cui ho immediatamente pensato ad Abe Hiroshi, un improbabile investigatore privato che avrebbe tanto voluto essere un romanziere. Come sul lavoro, tra l’altro, anche nel contesto familiare non combina niente di buono, perché non sa rinunciare al vizio del gioco. Un uomo così riuscirà mai a conquistare un po’ di pace? Tutti noi ci misuriamo, nel corso della nostra vita, con la stessa difficile aspirazione: diventare gli adulti che, da bambini, avevamo sognato di diventare. Qualcuno ce la fa, qualcuno si arrende, qualcuno non ce la fa, come Ryota, ma lotta ugualmente: continua a cercare una via per la felicità, anche se lontana dal futuro che aveva immaginato».

 

 

La critica

 

 

Tre generazioni: un uomo, sua madre, suo figlio. E poi il presente, il passato, il futuro. La vita come la volevi, e come non è stata, e la rassegnazione, il rimpianto, la testardaggine di continuare a provarci. C’è tutto questo, e anche di più dentro al nuovo film di Hirokazu Kore-eda, uno di quelli giapponesi fino al midollo, capaci di raccontare storie con semplicità cristallina ed essenzialità monacale, ma che quella semplicità lì la fa esplodere dentro di te fino a farti perdere il conto delle sfumature e dei livelli di quelli che sullo schermo sembrano i gesti e le parole più naturali del mondo. E allora eccoli lì sullo schermo, un uomo cialtrone che non si rassegna al suo fallimento come scrittore né alla fine del suo matrimonio, una madre anziana rimasta senza marito e con due figli che più che amarla la sfruttano per cucinare e come baby sitter, e le rubano i soldi, e un figlio giovane, un ragazzino che è l’unico ad aver accettato le cose come stanno, e che forse ha smesso troppo presto di aspettarsi di più e di meglio, dalla vita. Kore-eda li racconta, li ascolta, li segue e li ama, con tutti i loro pregi e difetti, e ne racconta la quotidianità con un racconto talmente limpido e pulito da abbagliarti. Li racconta, li ascolta e li segue perché anche tu possa imparare ad amarli, cialtroni o meno, e a vedere in loro pezzettini di te, della tua vita, delle persone che conosci. Anche se la mossa di Kore-eda di chiudere in casa - in una casa piccola e piena come un uovo come solo in Giappone - i protagonisti del suo film, mentre fuori infuria il tifone, è una chiara manipolazione a scopi narrativi e metaforici, l’incanto dell’immacolato naturalismo del film non si spezza: solo gli ingenui posso pensare che raccontare la realtà sia assenza di artifici e non un’operazione di creazione e manipolazione. Lì, in quella casa angusta, gomito a gomito l’uno con l’altra, gli uomini e le donne, gli adulti e i bambini di questo film avranno di che imparare gli uni dagli altri, troveranno il modo di accettare sé stessi e quel che la vita gli ha dato. Riusciranno, anche, a far pace con ciò da cui erano sempre fuggiti, dai confronti scomodi, dai panni di certi altri che sono sempre anche i nostri, ci piaccia o meno. Non c’è amarezza, in Ritratto di famiglia con tempesta o nei suoi esiti, nei destini segnati dei suoi personaggi. Non quella vera, almeno. Perché se per un verso Kore-eda gioca sempre, per tutto il film, a mettere al dramma la maschera della commedia, bilanciando i toni all’insegna del soave, c’è un senso di pace e serenità tutto orientale, tutto buddista, nel vedere che alla fine i pezzi vanno tutti dove dovevano andare. Che la vita un po’ la si fa, un po’ la si accetta. Accettando i limiti degli altri, e i nostri.

FFederico Gironi, Coming Soon, 17 maggio 2017

 

Ecco un altro dei bellissimi racconti famigliari a cui il regista ha dedicato i suoi ultimi lavori. Dopo il mondo femminile di Little Sister, al cuore della storia è un personaggio maschile. Non un uomo inflessibile - con gli altri e con se stesso - come il padre di Father and Son, ma un uomo spezzato, deluso di sé, e che ha deluso chi gli sta intorno. Kore-Eda mette in scena una delicatissima coreografia dei personaggi, dei dialoghi e dei sentimenti; in cui, dalle macerie di cose preziose perdute per sempre, dalla malinconica accettazione di quanto certi sogni siano irrealizzabili, dall’amarezza dei rimpianti, sboccia il senso di una realtà nuova, più profonda - degli affetti e delle identità. Quando, il mattino dopo – e dopo la tempesta – i personaggi escono alla luce del sole, nessuno è cambiato. Però è tutto diverso.

GGiulia D’Agnolo Vallan, Il Manifesto, 1 giugno 2017

 

Antica quanto la settima arte, negli ultimi anni la cinematografia giapponese non ha espresso personalità a livello del suo glorioso passato. Tra le più interessanti c’è quella di Hirokazu Kore-Eda, autore a pieno titolo dalla poetica ben riconoscibile: centrata, soprattutto nelle ultime opere (Father and Son, Little Sister), sulla famiglia, il rapporto tra presente e passato, i sentimenti individuali nel piano tematico, la sobrietà di regia in quello formale. Frequentatore abituale di Cannes, l’anno scorso il cineasta nipponico ci aveva portato Ritratto di famiglia con tempesta. (...)

L’ultima parte del film, che si svolge all’interno della casa, è una seduta a porte chiuse condotta con un senso dell’intimità – e insieme del pudore – visto di rado nel cinema più recente. Ne era maestro il grande Yasujiro Ozu: inarrivabile, certo, ma del quale Kore-Eda è un po’ il discepolo inconfessato. Simile la capacità di rendere significanti i gesti di ogni giorno, di suggerire le tempeste interiori senza ricorrere a sovrattoni, di caricare simbolicamente gli oggetti più banali (qui i biglietti della lotteria che il ragazzino, ben più ‘adulto’ del padre, vorrebbe vincere per riunire i genitori). Ma la sottigliezza del regista si apprezza in particolare nel modo in cui ci spinge a percepire i suoi personaggi. Quello del protagonista, soprattutto. Inaffidabile, geloso, bugiardo e non troppo onesto, Ryota avrebbe tutto per risultarci antipatico; e invece, nella sua immaturità puerile, ma unita a un sincero desiderio di riscatto, finisce poco a poco per aggiudicarsi la nostra solidarietà.

RRoberto Nepoti, La Repubblica, 25 maggio 2017

 

 

 

 

 

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Il piacere

 

di Max Ophuls

 

 

Un capolavoro sbuca fuori dagli archivi e torna – evviva! – in un’edizione restaurata.

Il piacere del grande Max Ophuls è tratto da tre racconti di Guy de Maupassant. Il piacere è confrontato con la vecchiaia (La maschera), con la purezza (La casa Tellier, uno dei più bei racconti di Maupassant) e con il matrimonio (La modella).

Battuta finale: «La felicità? La felicità non è allegra».

Film memorabile, raffinatissimo, ineguagliato.

Durata 97’.

 

Come tutti gli anni, giovedì prossimo, serata natalizia, ci sarà la piacevolissima estrazione di premi e delizie!

 

 

Giovedì 21 dicembre, ore 21

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