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CINEMA SOCIALE – S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna
PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
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Giovedì 8 febbraio 2018 – Scheda n. 16 (1018)
Liberami
Regia: Federica Di Giacomo
Fotografia: Greta De Lazzaris. Montaggio: Aline Hervé, Edoardo Morabito.
Suono in presa diretta: Mariano Blanco, Mirko Cangiamila, Danilo Romancino.
Produzione: Mir Cinematografica con Rai Cinema. Distribuzione: I Wonder Pictures.
Durata: 89’. Origine: Italia, 2016.
Federica Di Giacomo
Un nome nuovo e femminile per il cinema italiano, Federica Di Giacomo. Nata a La Spezia, laureata in antropologia a Firenze, si forma a Dresda, torna in Italia, fonda il collettivo teatrale Tutti, frequenta il master europeo di documentario a Barcellona, nel 2000 gira il doc Los colores de la trance, realizza documentari per Raisat Cinema, dirige i corti Close Up e Suicidio perfetto. È produttrice e regista de Il lato grottesco della vita (2006), premiato al festival di Torino. Dirige insieme ad Antonella Gaeta Housing (2009), presentato a Locarno, Torino, Rotterdam, Toronto, Thessaloniki... Sbarca a Palermo e realizza questo Liberami, primo premio della sezione Orizzonti alla Mostra di Venezia del 2106.
Sentiamo la regista: «All’inizio cercavo storie per un film sulle ossessioni in tempo di crisi, un viaggio fra le dipendenze mentali. Non mi aspettavo però di imbattermi in una notizia ancora più folle delle mie più folli aspettative. Un corso di formazione per preti esorcisti organizzato dalla Chiesa cattolica. E la Sicilia con i suoi 20 esorcisti era la regione più all’avanguardia insieme alla Lombardia. Da qui è partito un lungo lavoro di ricerca, abbiamo partecipato a moltissime messe di liberazione, a cadenza settimanale, che durano almeno tre ore in cui viene invocata una collettiva liberazione dal maligno. Nella mia mente iniziava a comporsi uno strano puzzle postmoderno in cui la Chiesa cattolica riproponeva il rituale antico ed estremo dell’esorcismo come una nuova forma di assistenza sociale a disagi assolutamente contemporanei, tanto da formare i preti attraverso lezioni sulla psichiatria, le mode giovanili, sulle sette sataniche fino ai tipi di droghe utilizzate nelle discoteche o nelle messe nere. L’esorcista come nuovo guaritore moderno, spesso l’ultima spiaggia dopo una via crucis di maghi, psichiatri, medici vari e rimedi alternativi, metafora di una società in cui la ricerca di senso diventa spasmodica come la ricerca di una cura, rapida, efficace e risolutoria. Anche a costo di consegnarsi a qualcuno che ci chiama Satana. Mi sono resa conto che questa realtà così distante da me era una chiave d’accesso straordinaria per raccontare uno stato incendiario in cui i confini fra lucidità e dissociazione sono sempre più labili. La domanda fondamentale non è tanto se Satana esista o no, ma piuttosto come sia possibile che la pratica dell’esorcismo diventi un appuntamento settimanale, una ritualità precisa, con aspetti inquietanti, integrabile da ognuno con le proprie strategie, nella vita di tutti i giorni. La struttura del film si organizza intorno ad una successione di stati fra il quotidiano e l’anomalo come in una giornata interminabile con apici grotteschi che si generano naturalmente, mantenendo, ritengo, un pudore, un rispetto, su cose che rimangono ignote e su chi coglie la presenza del divino nel mondo. Ho scelto di raccontare questa storia dal punto di vista di chi la vive ogni giorno. Cioè i preti che vestono i panni di questo incarico, che non scelgono di essere esorcisti ma vengono nominati dai vescovi e la loro vita si trasforma completamente, assediati giorno e notte. Padre Cataldo è il simbolo di una dedizione assoluta unita a una spontaneità e schiettezza disarmanti. E poi i cosiddetti posseduti che non sono fanatici ipercattolici ma persone comuni che si avvicinano alla Chiesa in un momento particolarmente difficile della loro vita. La loro esperienza si emancipa, quindi, dall’immaginario horror e acquista un’inedita complessità fatta di dubbi, inciampi, sbagli di interpretazione ma anche di un’inesauribile autoironia...
Abbiamo saputo di una chiesa di Palermo dove si svolgono messe particolarmente forti. Nelle cerimonie transitavano tantissimi fedeli in cerca di sollievo, in cerca di liberazione, con una varietà di sintomi che andavano da disagi sociali, come la disoccupazione o la disgregazione delle loro famiglie, fino a sintomi fisici e spirituali più gravi. L’idea fondamentale è stata quella di strutturare il film sulla pratica dell’esorcismo metabolizzata nel quotidiano e, quindi, di filmare persone che, dopo la possessione, tornavano nella vita normale con grande tranquillità. Attraverso di loro, volevo sottolineare la particolarità della pratica esorcistica in questo periodo storico contemporaneo, dove si può entrare e uscire dallo stato di possessione in modo piuttosto rapido...
Io sono arrivata al documentario attraverso un master che ho fatto in Spagna. Il mio primo insegnante è stato un grande maestro del documentarismo, Frederick Wiseman. Io vengo dal teatro quindi ero completamente ignorante di documentario. Mi ha colpito subito la libertà totale nella sperimentazione del linguaggio. Il mio approccio iniziale è stato il documentario cinematografico e sono arrivato a sceglierlo perché mi permette di fare cinema indipendente con una libertà espressiva che lascia molte possibilità di sperimentazione. Ogni storia che si sceglie può essere raccontata in modo diverso...
Il documentario italiano, oggi, è fortissimo. I primi film di Rosi, il regista di Fuocoammare, sono dei capolavori e ci sono altri grandi artisti come Leonardo Di Costanzo o Alessandro Rossetto. In Italia, c’è più bisogno di realtà che di finzione. Abbiamo un estremo bisogno di guardare la realtà con occhi diversi. Siamo stati ipnotizzati, per anni, dal linguaggio televisivo. Il fermento, quindi, c’è già. Il problema è distributivo: dobbiamo abbattere la distinzione fra realtà e finzione, dando ai documentari di avere la possibilità di accedere a più fondi e al pubblico...
Per il finale ho usato un brano dei Dead Man’s Bone, Lose Your Soul. Mi erano state proposte varie canzoni per il finale. Ad un certo punto, il fratello del montatore mi ha fatto ascoltare questo disco che l’attore Ryan Gosling ha realizzato pensando di usarlo per un suo film horror da regista. La canzone mi è sembrata subito perfetta, con il coro di bambini che incalza. Una musica ossessiva quanto il film. Finire con una canzone consolatoria o malinconica non era coerente con il senso di un’opera che non vuole lasciarti tregua».
La critica
Liberami, che alla Mostra di Venezia ha vinto il Premio Orizzonti per il miglior film, è una di quelle opere che mette insieme, nel solo momento della visione, agnostici e credenti. Ancora una volta, ognuno ritrova le proprie convinzioni. Dalla fede in Dio, costellata da dubbi ed esitazioni, al totale distacco e allontanamento da quest’ultima e dalla Chiesa che lo “rappresenta”. Federica Di Giacomo sceglie di immergersi nella pratica degli esorcismi, ormai in costante aumento, in particolare in una diocesi del palermitano. Parla di fede occasionale o di circostanza, del rapporto particolareggiato che ciascuno, credente o no, intrattiene con l’istituzione Chiesa, dove sacro e profano sono mescolati. Il suo è uno sguardo senza (pre)giudizio, osserva e restituisce il quotidiano di due donne, Gloria e Anna, e di due giovani, Enrico e Giulia. Non ferrei credenti, ma persone che si avvicinano alla Chiesa nel momento in cui le loro esistenze sono preda di una forte crisi esistenziale. Una volta a settimana l’appuntamento fisso è con le lunghe messe di liberazione, quasi tre ore, tenute da padre Cataldo, prete esorcista tra i più richiesti in Sicilia e non solo. Lui, l’esorcista, accoglie tutti coloro che vengono a chiedere udienza, generando le critiche della perpetua poco paziente alle continue richieste dei disperati di turno. Quello di padre Cataldo è un amore puro e generoso nei confronti dell’umanità in difficoltà; crede sino in fondo nell’esercizio della sua pratica, offre ascolto e comprensione a chi è colpito dal maligno. Le sue competenze d’esorcista a volte sconfinano in quelle del terapeuta, dell’assistente sociale o di un caro amico che non si tira mai indietro. Le numerose scene di esorcismo collettivo e privato mantengono un forte senso di pudore e rispetto nei confronti di chi coglie la presenza del divino nel mondo. Sono filmate quasi sempre da dietro, con il volto dei posseduti nascosto, o si soffermano di volta in volta sulle gambe che tremano, sui movimenti spasmodici dei corpi, sulle mani in tensione o i piedi che scalciano. Tutti dettagli che rimandano ai particolari degli affreschi e dei dipinti che riempiono le pareti delle chiese. In alcune scene involontariamente esilaranti, padre Cataldo si mostra un uomo combattivo e dotato di un sottile senso dell’umorismo. La sua instancabile e indispensabile lotta contro il satanico, che va estirpato con pazienza e devozione, lo porta a concedere ai casi più difficili esorcismi telefonici, con auguri natalizi annessi a fine chiamata. Oppure si reca a liberare case infestate dal demonio, con spargimento di acqua e sale su mobili, oggetti preziosi o su un dipinto raffigurante una madonna con bambino. Chi lo avvicina è invece spinto da una disperazione profonda e senza nome; trova in lui una guida, una consolazione. Per molti dei presenti, queste messe sono momenti di autosuggestione collettiva. Ma il loro male è forse solamente il frutto di una società in crisi, che scambia e confonde il disagio per possessione. Il giovane Enrico, che ha precedenti penali, in un dialogo con la fidanzata, sintetizza l’essenza del film: se la società non è in grado di curare una persona e trovare risposte al disagio, si cerca rifugio in un luogo che riconosca quel male.
AAndrea La Bozzetta, cineforum.it, 29 settembre 2016
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