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Scheda del film (247 Kb)
Il cliente - Scheda del film

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE  S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Giovedì 19 aprile 2018 – Scheda n. 26 (1028)

 

 

 

 

Il cliente

 

 

 

 

Titolo originale: Forushande

 

Regia e sceneggiatura: Asghar Farhadi

 

Fotografia: Hossein Jafarian. Musiche: Sattar  Oraki.

 

Interpreti: Shahab Hosseini (Emad), Taraneh Alidoosti (Rana),

Babak Karimi (Babak), Farid Sajjadihosseini (Il cliente),

Mina Sadati (Sanam).

 

Produzione: Memento Film Production. Distribuzione: Lucky Red.

Durata: 125’. Origine: Iran, 2016.

 

 

Asghar Faradi

 

 

È uno dei più importanti registi iraniani di oggi. Asghar Farhadi è nato nel 1972 a Khomeyni Shahr, capoluogo dello shahrestān, ossia la provincia di Khomeynishahr, nella regione di Esfahan. La città dove è nato Farhadi è stata chiamata così in onore dell’ayatollah Khomeyni. Anticamente si chiamava Sedeh. Farhadi si è laureato in regia nel 1998 all’università di Teheran. Dopo aver diretto alcune serie televisive, ha esordito nel cinema nel 2003 con Dancing in the Dust, nel 2004 ha diretto The Beautiful City e nel 2006 Chaharshanbe Suri. Questi primi tre film non sono stati distribuiti in Italia. Si è fatto conoscere a tutti con About Elly che ha vinto l’Orso d’argento a Berlino 2009 e che abbiamo presentato al cineforum. Del 2011 è Una separazione, Orso d’Oro a Berlino, Golden Globe e Oscar come miglior film straniero (visto al cineforum). Del 2013 è Il passato (visto al cineforum). Del 2017 è il film di stasera, Il cliente, Oscar come miglior film straniero. A causa dell’ordine esecutivo del 27 gennaio 2017 di Donald Trump, l’iraniano Farhadi non avrebbe potuto recarsi alla cerimonia degli Oscar. Quando l’ordine è stato poi revocato, Farhadi ha in ogni caso deciso di non essere presente alla cerimonia, in aperta protesta contro le misure restrittive. Farhadi ha affidato a una lettera la sua dichiarazione, letta sul palco degli Oscar: «È un grande onore per me ricevere questo prezioso premio per la seconda volta, ringrazio i membri dell’Academy, la troupe, il produttore Amazon e gli altri candidati nella stessa categoria. Mi dispiace non essere con voi ma la mia assenza è dovuta al rispetto per i miei concittadini e per i cittadini delle altre sei nazioni che hanno subìto una mancanza di rispetto a causa di una legge disumana che ha impedito l’ingresso negli Stati Uniti agli stranieri. Dividere il mondo fra noi e gli altri, i “nemici”, crea paure e crea una giustificazione ingannevole per l’aggressione e la guerra e questo impedisce lo sviluppo della democrazia e dei diritti umani in paesi che a loro volta sono stati vittime di aggressioni. Il cinema può catturare le qualità umane e abbattere gli stereotipi e creare quell’empatia che oggi ci serve più che mai».

Sentiamo Farhadi sul suo film: «Dopo II passato, girato in Francia e in francese, avevo cominciato a lavorare a una storia che si svolge in Spagna. Avevamo fatto i sopralluoghi e avevo scritto una sceneggiatura completa. Ci sarebbe voluto almeno un altro anno prima di cominciare le riprese. Si è presentata così l’occasione di girare un film in Iran, con mia grande gioia. Così mi sono rituffato negli appunti sparpagliati su Il cliente, appunti presi nel corso di diversi anni. Tra l’altro ho sempre desiderato girare un film ambientato nel mondo del teatro. Quando ero più giovane, anch’io ho fatto teatro e il teatro ha sempre contato molto nella mia vita. Questa storia aveva il potenziale giusto per potersi svolgere in quell’ambiente. Così ho cominciato a sviluppare la sceneggiatura attorno a dei personaggi che recitano in un teatro...

È difficile per me definire o riassumere Il cliente, o perfino spiegare cosa significhi la storia. Tutto dipende dalle preoccupazioni e dallo sguardo degli spettatori. Per chi lo vedrà come un film sociale, gli elementi relativi a questo aspetto saranno i più importanti. Per altri il punto di vista più importante potrebbe essere quello morale, o qualcosa di ancora diverso. Quello che mi sento di dire è che, ancora una volta, questo film affronta la complessità delle relazioni umane, soprattutto all’interno di una famiglia o di una coppia...

Emad e Rana sono una coppia borghese iraniana. Non si può dire che rappresentino la maggior parte delle coppie di questo ceto, sia nella loro relazione che come individui. Semplicemente, i personaggi sono stati creati in modo tale che lo spettatore non abbia la sensazione di avere a che fare con una coppia fuori dall’ordinario. Si tratta di due persone normali che stanno insieme, ma con delle specificità. Entrambi lavorano nel settore della cultura e recitano in teatro. Ma vengono a trovarsi in una situazione che rivelerà alcuni aspetti inattesi delle loro personalità...

A teatro, i due protagonisti mettono in scena Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller. Quel dramma mi ha segnato profondamente, fin da quando ero studente, certamente per ciò che dice sulle relazioni umane. È un’opera molto ricca, che si presta a molteplici livelli di lettura. La sua dimensione principale è quella della critica sociale di un periodo della storia americana, in cui l’improvvisa trasformazione urbana ha causato la rovina di una certa classe sociale. Una categoria di persone non è riuscita ad adattarsi a quella rapida modernizzazione e ne è rimasta schiacciata. Da questo punto di vista la pièce ha molto a che vedere con l’attuale situazione nel mio Paese. Le cose stanno cambiando molto in fretta e coloro che non riescono a star dietro a questa corsa sfrenata vengono sacrificati. La critica sociale al centro dell’opera di Miller resta valida per l’Iran di oggi. Un altro aspetto importante è quello della complessità delle relazioni umane interne a una famiglia, in particolare per la coppia che si forma tra il commesso viaggiatore e Linda. Il dramma ha una forte intensità affettiva che, pur essendo commovente, fa riflettere gli spettatori su questioni molto sofisticate. Quando ho deciso che i personaggi principali del film avrebbero fatto parte di una compagnia teatrale, l’opera di Miller mi è sembrata molto interessante, nella misura in cui mi avrebbe permesso di stabilire un parallelismo con la vita personale della coppia, attorno alla quale si costruisce il film. In scena Emad e Rana interpretano i ruoli del commesso viaggiatore e di sua moglie. E nella loro vita privata, senza rendersene conto, si troveranno di fronte a un vero commerciante e alla sua famiglia, di cui saranno chiamati a decidere le sorti».

 

 

La critica

 

 

Emad e la moglie Rana – attore e insegnante di letteratura lui, attrice e bibliotecaria lei  –scendono precipitosamente le scale del loro condominio, minacciato e violentato dai colpi di una grande ruspa. Inizia così, Il cliente, scritto e girato da Asghar Farhadi. Rimasti senza casa, Emad e Rana si rivolgono a Babak, un attore con cui stanno per mettere in scena Morte di un commesso viaggiatore. Babak ha un piccolo appartamento, appena liberato da una misteriosa inquilina, forse una prostituta. Così sussurra chi abita nel palazzo, senza che nessuno lo dica ad alta voce. Una notte, qualcuno penetra nella nuova casa e sorprende Rana da sola. Emad però non vuole che i vicini sappiano dell’aggressione, né che la moglie la denunci alla polizia. Sarà lui a cercare il colpevole fra i clienti della vecchia inquilina. (...)

Nel film di Farhadi si intrecciano due vicende, quella personale e privata dei due protagonisti e quella teatrale di Arthur Miller. La seconda, scritta alla fine degli anni ’40, racconta del sogno americano e del sessantenne Willy Loman, che ne è vittima. La prima corre nella realtà di un Paese che cambia troppo in fretta e nel quale, sostiene il regista iraniano, chi non riesce a tenere il passo viene sacrificato. In questo senso, al commesso viaggiatore di Miller si può accostare Naser, l’anziano e malato venditore questo significa il titolo originale Forushande, venditore – su cui finisce per riversarsi tutto il peso della paura e dell’angoscia che gravano sul film fin dalla prima sequenza. Verrebbe da dire che, mentre la vicenda teatrale è finta, quella di Emad e Rana sia vera. Ma lo stesso Emad ce ne metterebbe in guardia. Così, del resto, fa con un suo giovane allievo che gli domanda dell’opera di un certo scrittore iraniano, e della verità delle sue storie. Quelle storie, gli risponde, sono realistiche. E questo, spiega, significa non che siano vere, ma che potrebbero esserlo. Così è Il cliente, realistico nel senso che narra sentimenti oggi vissuti e sofferti dagli iraniani, sentimenti che si potrebbero ritrovare in molte storie vere e in molti film, se il cinema fosse libero di raccontarle. Questa distinzione all’apparenza fin troppo sottile tra vero e realistico a noi pare un implicito avvertimento per gli spettatori. E qualcosa di simile vale per una battuta detta da Rana durante le prove teatrali: questa sera Emad deve incontrare i funzionari della censura, altrimenti non possiamo andare in scena. A che cosa allude Farhadi, se non alla fatica di raccontare un grande popolo, senza poterne raccontare le storie? Derubato dal regime di questa libertà, il suo realismo riduce più che può la ‘verità’ delle storie, e così tenta di sfuggire allo scempio del censore. Che cosa racconta, dunque, Il cliente? Qual è la storia vera che potrebbe raccontare? In primo luogo, a noi pare racconti che niente accade a Teheran che possa dirsi pubblico in senso forte. I suoi personaggi, di primo e di secondo piano, sono isolati gli uni dagli altri. La loro vita è privata, ma nel senso di priva d’ogni relazione, svuotata. Anche le dicerie sull’inquilina misteriosa di Babak sono trattenute, nascoste, come se nel palazzo temessero di prendere posizione, di esporsi. Nell’Iran di Farhadi non c’è società, e tanto meno Stato, a parte quello che si esprime nell’apparato negatore e censorio che sta sullo sfondo, e che rimanda alla prepotenza di un regime.

Questa spiega il comportamento di Emad, con il suo rifiuto di rivolgersi alla polizia, o almeno alla solidarietà dei vicini. Non c’è opinione condivisa cui possa guardare, né autorità pubblica. L’odio è la sola possibilità che gli sia data, insieme con la violenza contro i più deboli, come il vecchio Naser. Che il realismo di Farhadi a questo alluda, a una ruspa ‘morale’ che minaccia di sbancare e violentare il terreno su cui poggia un’intera società?

RRoberto Escobar, Il Sole 24 Ore, 8 gennaio 2017

 

 

 

 

 

 

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Civiltà perduta

 

di Asghar Farhadi

 

 

 

Ultimo film di questa stagione. Ispirato a una storia vera.

Inizio XX secolo. Avventure di un militare inglese, Percy Fawcett, archeologo ed esploratore, nelle foreste amazzoniche. Vuole trovare una misteriosa città che chiamò Zeta, sede di una civiltà evoluta ed antichissima.

Un’immersione nella natura. Quel che si dice un filmone in stile classico. Storia affascinante.

Durata: 140’.

Arrivederci verso la metà di ottobre. Per la 55ª volta!

 

Giovedì 26 aprile, ore 21

Cinema Sociale - Omegna

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