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CINEMA SOCIALE
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Giovedì 25 ottobre 2018 – Scheda n. 3 (1032)
L’insulto
Titolo originale: L’insulte
Regia: Ziad Doueiri
Sceneggiatura: Ziad Doueiri, Jöelle Touma. Fotografia: Tommaso Fiorilli.
Musica: Éric Neveux.
Interpreti: Adel Karam (Toni), Rita Hayek (Shirine),
Kamel El Basha (Yasser), Christine Choueiri (Manal),
Camille Salameh (Wajdi Wehbe).
Produzione: Ezekiel Films. Distribuzione: Lucky Red.
Durata: 113’. Origine: Libano, 2017.
Ziad Doueiri
Nato a Beirut nel 1963, Ziad Doueiri (in arabo: زياد دويري) cresce durante la guerra civile e lascia il Libano a vent’anni, per studiare negli Stati Uniti. Si diploma alla San Diego State University con una laurea in cinema e lavora come assistente e cameraman a Los Angeles. Nel 1998, scrive e dirige il suo primo lungometraggio, West Beirut, presentato a Cannes e premiato in molti altri festival. Da allora, i suoi film sono stati selezionati in tutto il mondo: Lila says (2004), The Attack (2012), fino a questo suo più recente film L’insulto, che è stato presentato in prima mondiale, in concorso, alla Mostra di Venezia, dove uno dei due protagonisti, Kamel El Basha che fa il palestinese Yasser, ha vinto la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile. Ha anche diretto delle serie televisive, Sleeper Cell (2006) e Baron Noir (2016).
Sentiamo Doueiri: «Un litigio nato da un banale incidente porta in tribunale Toni e Yasser. La semplice questione privata tra i due si trasforma in un conflitto di proporzioni incredibili, diventando poco a poco un caso nazionale, un regolamento di conti tra culture e religioni diverse con colpi di scena inaspettati. Toni, infatti, è un libanese cristiano e Yasser un palestinese. Al processo, oltre agli avvocati e ai familiari, si schierano due fazioni opposte di un paese che riscopre in quell’occasione ferite mai curate e rivelazioni scioccanti, facendo riaffiorare così un passato che è sempre presente...
La premessa per il film era qualcosa che è accaduta a me molti anni fa a Beirut. Ebbi una discussione con un idraulico, una cosa molto banale, ma i temperamenti sono andati scaldandosi velocemente, e praticamente dissi le stesse parole che sono nel film. L’incidente avrebbe potuto anche essere irrilevante, ma non i sentimenti subcoscienti. Quando ti escono parole simili, è perché sono stati toccati sentimenti ed emozioni molto personali. Joëlle Touma, mia co-sceneggiatrice nel film, quel giorno era presente. Mi convinse ad andare da lui per chiedere scusa. Finii per andare dal suo capo a presentare le mie scuse. Quando il suo capo usò questa, e altre ragioni, per licenziare quell’uomo, presi immediatamente le sue difese. Successivamente mi resi conto che questo era del buon materiale per una sceneggiatura. Avevo in mano tutte le dinamiche per dare vita ad una storia costruita su un evento che va fuori controllo. Inizio sempre i miei film con una tensione, un incidente. Cerco di vedere la serie di fatti che ne derivano. Inizio con i miei personaggi, descrivo chi sono all’inizio e chi diventano alla fine del film. In questo caso non avevo uno, bensì due personaggi principali: Toni e Yasser. Tutti e due hanno delle colpe, i loro passati sono pervasi da una serie di ostacoli interni. Come se non bastasse, si trovano in un ambiente esterno molto carico, elettrico...
Il personaggio di Toni ha un segreto, gli è successo qualcosa. Nessuno vuole parlarne perché è un tabù, e sente che questa è un’ingiustizia enorme. Anche Yasser ha delle difficoltà. L’esperienza gli ha insegnato a non fidarsi del sistema giuridico...
Volevo pormi la domanda sulla società libanese trent'anni dopo la fine della guerra civile. Ci si riesce a muovere al di là dei dissensi che le avevano motivate durante quella guerra civile durata dal 1975 fino al 1990? La guerra finì senza vinti né vincitori. Tutti vennero assolti. L’amnistia generale si trasformò in amnesia generale. Abbiamo nascosto la sporcizia sotto il tappeto, per così dire. Ma non può esserci una guarigione della nazione sino a quando i problemi non vengono affrontati...
I drammi giudiziari forniscono agli sceneggiatori un luogo in cui mettere a confronto due antagonisti. Puoi riprendere il loro confronto faccia a faccia. È una specie di versione moderna del western, ambientato però in un ambiente chiuso. Questo è quello che ho cercato di ottenere dato che questo film descrive una sorta di duello tra Toni e Yasser...
Il nostro passato in maniera inconscia ci aiuta a costruire una storia, non c’è dubbio. Per me la giustizia è sempre stata molto importante. Provengo da una famiglia di giudici e avvocati. Mia madre è avvocato ed è stata il consulente legale del film. Abbiamo avuto molte conversazioni intense durante la fase di scrittura del film. È molto abile! Mia madre ha fatto molta pressione per far assolvere il palestinese nel film...
La mia cosceneggiatrice Joëlle ed io siamo entrambi molto preparati sulla storia della guerra civile libanese, e conosciamo il prezzo pagato da entrambe le parti. Proveniamo entrambi da famiglie con profonde convinzioni politiche. Joëlle viene da una famiglia cristiana falangista mentre io da una famiglia sannita che ha difeso la causa palestinese, in modo alquanto virulento. Poi, da giovani adulti, abbiamo entrambi cercato, nel corso degli anni, di comprendere il punto di vista dell’altro. Ognuno di noi ha compiuto un passo, trovato un equilibrio, una forma di giustizia, in questa storia libanese – in cui nulla è bianco o nero, dove è impossibile dire “questi sono i buoni e questi i cattivi...
Se dovessi riassumere questo film, lo definirei una ricerca della dignità. Entrambi i protagonisti sono stati colpiti nell’onore e nella dignità. Ognuno colpevolizza l’altro ritenendolo responsabile dei loro problemi. L’insulto è sicuramente ottimista e umano. Mostra il percorso che si può intraprendere per raggiungere la pace...
Considero il film anche da un’altra angolazione: il punto di vista delle donne. Hanno un approccio completamente differente. Le donne hanno più sfumature. Posseggono l’intelligenza che permette di raggiungere un equilibrio. Questo è un film in cui le donne prendono il controllo della situazione per fare da moderatrici, per fare in modo di superare questa situazione. Se lo immagina se un giorno le donne governassero il mondo arabo?...
Ho cercato di pensare il film in una dimensione non solo libanese ma universale. Yasser e Toni potrebbero avere qualunque altra nazionalità, essere di qualunque altra nazione. Ancora una volta, questo film è completamente ottimista e umano. Mostra un’alternativa ai conflitti prendendo una strada che ammette la giustizia e il perdono».
La critica
Il presidente libanese accoglie nel suo palazzo due uomini appartenenti alle grandi comunità storicamente in lotta nello stato mediorientale: da una parte un iscritto al partito cristiano di destra, erede diretto delle Falangi di Bashir Gemayel complici degli israeliani durante la guerra civile iniziata nel 1975 e culminata con l’invasione del 1982 delle forze dello stato ebraico guidate dal ministro della difesa Ariel Sharon; dall’altra un musulmano palestinese, profugo in uno dei tanti campi. Due uomini comuni, eredi e segnati dalla guerra civile, per cui solo formalmente i combattimenti sono conclusi, ma proseguono nella vita quotidiana anche oggi: attraverso l’attenzione per l’accento, lo studio dei tratti somatici, il radicamento di tanti luoghi comuni. Il presidente cerca di conciliare un piccolo caso di litigio per una grondaia non funzionante diventato occasione dell’ennesimo scontro nazionale, come quando Beirut era divisa fra un ovest musulmano e un est cristiano (maronita). “Se me lo chiedete la parola stabilità viene prima di quella verità”, dice. Una frase che sintetizza a perfezione l’equilibrio miracoloso con cui così tante diverse comunità convivono in una delle rare democrazie di quella parte del mondo. Un castello di carte sempre in bilico e pronto a crollare sotto il peso dell’ultima crisi in ordine di tempo. Il regista di Beirut Ziad Doueri, cresciuto durante la guerra civile e trasferitosi a 20 anni negli Stati Uniti per studiare cinema, dopo aver affrontato quegli anni centrali nel premiato West Beyrouth, racconta gli strascichi ancora incandescenti nella quotidianità di un Paese sospeso fra modernità e un passato doloroso che riaffiora. Scritto dal regista con l’ex moglie e collaboratrice abituale, anche loro divisi dalla provenienza, L’insulto è un legal drama ben congegnato, con tanto di udienze che aprono scenari inattesi nel passato dei due sfidanti, e una sorprendente sfida in famiglia fra i rispettivi avvocati, ma diventa chiaramente un ritratto del Libano che non chiude con il proprio passato, non riuscendo a elaborarne le ferite. Proprio le udienze infinite costringono i due - entrambi pieni di dignità e buona fede, oltre che convinti di trovarsi nella ragione - a superare ritrosie ataviche nel mettere a nudo il proprio passato, che spesso guida le azioni del presente. Un necessario percorso di (ri)lettura dei fatti, di ascolto dell’altro e di superamento delle incomprensioni non solo attraverso una vittoria, ma anche, se non soprattutto, attraverso il superamento di una sconfitta, rendendosi conto dell’enorme valore di chiedere talvolta scusa. Una faida maschile in cui le donne fungono da fattore calmante, intervenendo con la ragionevolezza che i compagni sembrano aver smarrito. ‘Le parole cambiano tutto’, dice la frase di lancio del film, così come il recupero della memoria nella condivisione delle ferite, senza la pretesa del monopolio della sofferenza. L’insulto ha il merito di appassionare con una struttura di genere impeccabile e di far riflettere senza facili scorciatoie sul passato e su come lo si debba leggere per trarne lezioni per il futuro. Una seduta psicanalitica collettiva: sul lettino sia chi visse la guerra che i più giovani. Ottime le interpretazioni di tutto il cast, su tutti i due protagonisti: Adel Karam e Kamel El Basta. Nel frattempo Doueiri si fa valere in Francia per una delle serie politiche più convincenti del vecchio continente: Baron Noir, con Kad Merad, di cui è in arrivo la seconda stagione.
MMauro Donzelli, www.comingsoon.it, 31 agosto 2017
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