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CINEMA SOCIALE

S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna


PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO

Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS
 

 

 

Giovedì 10 gennaio 2019 – Scheda n. 11 (1040)

 

 

 

The Square

 

 

 

Regia e sceneggiatura: Ruben Östlund

 

Fotografia: Fredrik Wenzel. Musica: Jonas Rudels.

 

Interpreti: Claes Bang (Christian), Elisabeth Moss (Anne),

Dominic West (Julian), Terry Notary (Oleg),

Christopher Laessø (Michael).

 

Produzione: Plattform Produktion. Distribuzione: Teodora Film.

Durata: 145’. Origine: Svezia, 2017.

 

 

Ruben Östlund

 

 

Nato nel 1974 nella piccola isola di Styrsö, in Svezia, Ruben Östlund studia cinema all’Università di Göteborg (si legge Iœtebori...), dove incontra il produttore Erik Hemmendorff con cui fonderà la loro casa di produzione, la Plattform. Il suo primo cortometraggio, 6882 ur mitt liv (Autobiographical Scene Number 6882) vince un premio a Edimburgo che lo porta al debutto nel lungometraggio, Gitarrmongot (2004), premio FIPRESCI al Festival di Mosca. Il suo secondo film, De ofrivilliga (2008, Involontario) è presentato a Cannes nella sezione Un Certain Regard. Vince l’Orso d’Oro a Berlino per il corto Händelse vid bank (2010). Vince con Play (2011) il premio Coup de Coeur alla Quinzaine des Réalisateurs a Cannes. La definitiva consacrazione arriva nel 2014 con Forza maggiore, vincitore del premio della giuria nella sezione Un Certain Regard a Cannes. Questo The Square ha conquistato la Palma d’Oro a Cannes nel 2017.

Sentiamo Östlund: «Sull’installazione che è il quadrato di The Square c’è un’iscrizione che invita all’altruismo e alla condivisione. Ma fuori da quei minimi confini dello “square” com'è il mondo?...

Nel 2008 è stata creata per la prima volta in Svezia un’area residenziale privata e chiusa all’esterno, a cui soltanto i proprietari possono accedere. È uno dei molti segnali del fatto che le società europee stanno diventando sempre più individualistiche, via via che il debito pubblico cresce, la spesa sociale diminuisce e le differenze tra ricchi e poveri si allargano sempre di più. Anche in Svezia, un tempo considerata la società più egualitaria al mondo, la crescente disoccupazione e la paura del futuro hanno spinto le persone a diffidare degli altri e della società stessa...

Quando mio padre era ragazzo, negli anni ’50, le società occidentali dovevano ancora avere un senso di responsabilità condivisa. I suoi genitori lo lasciavano andare da solo a giocare al centro di Stoccolma all’età di sei anni, mettendogli una targhetta con l’indirizzo intorno al collo nel caso si fosse perso. Questo ci ricorda che all’epoca gli altri adulti erano visti come membri degni di fiducia all’interno di una comunità, capaci di aiutare un bambino nei guai. Il clima sociale di oggi non sembra aumentare la coesione di gruppo, né la nostra fiducia in generale nella società, al punto che tendiamo a vedere negli altri adulti una minaccia verso i nostri bambini. È con questi pensieri in mente che alcuni anni fa, insieme a Kalle Boman, produttore e professore di cinema all’università di Göteborg, ho sviluppato l’idea di The Square come progetto artistico orientato sul tema della fiducia all’interno della società e del bisogno di riconsiderare alcuni valori attuali...

Il titolo del film è preso proprio da questo progetto, la cui prima esibizione risale all’autunno 2014 al Vandalorum Museum di Värnamo, città nel sud della Svezia. L’installazione è poi diventata permanente al centro della piazza della città: se qualcuno si trova al centro del quadrato illuminato a led, ha il dovere di agire se qualcun altro ha bisogno di aiuto. Anche la nostra mostra allestita a Värnamo, poi ripresa nel film, ruota intorno all’idea che l’armonia sociale dipende da scelte semplici che ognuno di noi compie ogni giorno: i visitatori del museo dovevano scegliere tra due porte, una con scritto “I trust people”, l’altra con “I mistrust people” (mi fido/non mi fido delle persone). La maggior parte del pubblico sceglieva la prima, ma poi aveva i sudori freddi quando gli veniva chiesto di lasciare cellulare e portafoglio sul pavimento del museo. Questa contraddizione illustra quanto sia difficile comportarsi seguendo i propri principi...

In The Square ci troviamo di fronte alla debolezza della natura umana: quando proviamo a fare la cosa giusta, la parte più difficile non è essere d’accordo su dei valori comuni, ma comportarsi davvero secondo quest’ultimi. Ad esempio, come dovrei pormi verso i mendicanti se voglio promuovere una società più giusta e egualitaria dove la distanza tra ricchi e poveri scompaia? Dovrei mantenere uno stile di vita privilegiato che mi permette di dar loro qualcosa ogni giorno o dovrei cambiarlo radicalmente in modo di ristabilire un equilibrio maggiore tra me e loro?...

Anche il protagonista del film, Christian, è un personaggio con vari aspetti contraddittori: è insieme idealista in quello che dice e cinico in quello che fa, è un uomo di potere ma anche un debole e via dicendo. Come me, è un padre divorziato con due figlie, come me lavora nel campo della cultura ed è sensibile alle domande sociali e esistenziali poste dall’installazione “The Square”. È convinto che quest’ultima sia un’idea eccezionale e spera davvero che l’arte possa cambiare il modo di pensare delle persone, ma al tempo stesso è un camaleonte sociale che sa bene come interpretare il suo ruolo di alto profilo nelle istituzioni, districandosi tra le aspettative di sponsor, artisti, visitatori, ecc. Christian affronta interrogativi che tutti affrontiamo, circa il prendersi delle responsabilità, il fidarsi del prossimo e l’essere degno di fiducia, sul fatto di comportarsi moralmente. E quando si trova di fronte a un dilemma, le sue azioni entrano in conflitto con i principi per cui si batte: Christian appare allora come una contraddizione vivente, come molti di noi...

Con il suo approccio satirico, The Square porta alle estreme conseguenze le peggiori tendenze dei nostri tempi, come il modo in cui i media ignorano le proprie responsabilità nell’amplificare i problemi di cui parlano. Nel film, gli esperti di pubbliche relazioni assunti dal museo sostengono che l’idea alla base dell’installazione “The Square” sia troppo “perbene” e nessuno sarebbe interessato: per spingere i giornalisti a scriverne occorre una controversia e il progetto secondo loro sembra mancare di un aspetto conflittuale. Anni fa, il codice etico della stampa avrebbe impedito a un giornale o a un’emittente televisiva di mostrare immagini scioccanti, di dubbia provenienza o manipolate. Ma da quando le spese e i posti di lavoro sono stati tagliati nella maggior parte delle testate e i giornalisti sono rimasti sopraffatti di lavoro, i media si sono affidati a un crescente sensazionalismo, diventato ormai la norma: finché una foto o un video hanno un contenuto esplosivo, non importa di quale contenuto si tratti e i social media ne rilanciano la diffusione in tutto il mondo...

The Square prova ad affrontare tali questioni attraverso l’ironia e usando spesso una comicità dell’assurdo. La clip ovviamente falsa creata da quelli delle pubbliche relazioni del museo per promuovere la mostra esemplifica il ruolo dei media nel modo in cui noi guardiamo alla realtà e la fraintendiamo. Credo sia essenziale analizzare questo ruolo, perché le immagini in movimento restano il più potente mezzo d’espressione che abbiamo mai avuto, nonché il più pericoloso che mai».

 

 

La critica

 

 

Il quadrato è un santuario di fiducia e di amore, entro i cui confini tutti abbiamo gli stessi diritti e doveri”: è questo il motto che l’artista argentina che l’ha concepita, ha scelto come indicazione per gli spettatori della sua opera d’arte intitolata “The Square” (il quadrato, da cui il titolo del film), un “intervento urbano concettuale” ricavato nella piazza antistante il museo di arte contemporanea di Stoccolma per il quale è stato organizzato. Un quadrato ritagliato nel porfido della piazza e il cui profilo è stato riempito da una canalina luminescente che sottolinea la delimitazione dello spazio costruendo, appunto, quel quadrato che dovrebbe rappresentare “un santuario di fiducia e di amore”. Voluta fortemente da Christian, giovane e dinamico curatore del museo (vanesio il giusto, un po’ narciso, forse più preoccupato di rimettersi a posto il ciuffo ribelle che dell’esito delle proprie azioni), l’opera d’arte che, come dicevamo, dà il titolo anche al film del regista svedese Ruben Östlund (già autore del notevole Forza maggiore), vincitore della Palma d’oro al Festival di Cannes 2017, diviene lo spazio sia propriamente fisico, ma soprattutto mentale, di tutta l’operazione. Operazione, quella del film, che è complessa e semplice insieme: semplice nel suo essere lo specchio di una società, quella borghese, ricca, acculturata (o presunta tale), occidentale, complessa perché quella superficie riflettente deforma, in realtà, i contorni del portato narrativo filmico sbattendo in faccia allo spettatore la mostruosa e grottesca rappresentazione di che cosa sia diventato, invece, quel mondo. Il nostro mondo. Ma attenzione, non si tratta semplicemente di sbeffeggiare l’arte contemporanea, esercizio da bar che può essere praticato da qualsiasi cretino e che pure il film si permette di fare, almeno in alcuni momenti anche piuttosto divertenti, ma di cogliere come l’aspetto politico dell’arte (contemporanea in questo caso) venga completamente disatteso proprio nel momento in cui vorrebbe assurgere, abbattuti i vecchi monumenti (come nella sequenza iniziale), a monito per gli spettatori. In scena, in fondo, si assiste allo scontro grottesco, a tratti veramente agghiacciante, tra le buone intenzioni professionali (di Christian, in questo caso) e i comportamenti personali, alla dittatura del ‘politicamente corretto’, alla manipolatoria e arrogante logica del marketing che, applicata all’arte, darà effetti nefasti (i due rampanti pubblicitari che girano un video-shock solo per guadagnare popolarità su Youtube). O, ancora, la performance di Oleg che finisce per smascherare la falsa coscienza dei finanziatori del museo. Resta la cornice: un quadrato che contiene il vuoto. Il nostro.

AAndrea Framborosi, L’Eco di Bergamo, 11 novembre 2017

 

 

 

 

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 di Jonas Carpignano

 

Gioia Tauro, Calabria. Il regista Jonas Carpignano, italiano di educazione e newyorkese di vita, costruisce il film dopo essere rimasto con i rom per mesi. E con gli immigrati africani. E con le presenze mafiose. E con la gente di Gioia Tauro.

Pio Amato è un adolescente rom, ribelle, tenero e sfrontato: è lui che ci porta in questa realtà.

Un pezzo d'Italia guardata dal vivo e dal vero. Una immersione per conoscere quello che non ci viene mai mostrato. Una scossa potente.

Durata: 120’.

 

 

Giovedì 10 gennaio, ore 21

 

Cinema Sociale di Omegna

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