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Giovedì 21 febbraio 2019 – Scheda n. 19 (1048)
L’ora più buia
Titolo originale: Darkest Hour
Regia: Joe Wright
Sceneggiatura: Anthony McCarten. Fotografia: Bruno Delbonnel.
Musica: Dario Marianelli.
Interpreti: Gary Oldman (Winston Churchill), Kristin Scott Thomas (Clementine Churchill),
Lily James (Elizabeth Layton), Stephen Dillane (Conte di Halifax),
Ronald Pickup (Neville Chamberlain).
Produzione: Working Title Films. Distribuzione: Universal.
Durata: 125’. Origine: Gran Bretagna, 2017.
Joe Wright
Nato nel 1972 a Londra, Joe Wright è figlio di burattinai fondatori del Little Angel Theatre di Islington. Comincia a girare film in Super8. Dislessico, lascia la scuola e fa anche lui il burattinaio. Poi frequenta una scuola di teatro e gira un corto per la BBC, Crocodile Snap (1997) che ottiene un buon successo. Gira un altro corto, The End (1998). Fa lo sceneggiatore per parecchie serie tv e telefilm sempre della BBC. La MGM gli produce il film d’esordio, Orgoglio e pregiudizio (2005), dal romanzo di Jane Austen, con l’attrice Keira Knightley. Nel 2007 apre la Mostra di Venezia con Espiazione (2007), ancora con la Knightley, dall’omonimo romanzo di Ian McEwan. Del 2009 è Il solista seguito da Hanna (2011) e da Anna Karenina (2012), ancora con la Knightley. Nel 2015 esce Peter Pan - Viaggio sull’isola che non c’è. Infine arriva questo L’ora più buia con Gary Oldman nei panni di Winston Churchill.
Sentiamo Joe Wright: «Ho costruito questo film in una prospettiva universale, non esclusivamente per il pubblico britannico. Abbiamo visto molti film dedicati a personaggi dal grande carisma. A livello di tema, L’ora più buia affronta le difficoltà che scaturiscono da una crisi di fiducia...
Quando ho sentito girare la frase “Gary Oldman nei panni di Winston Churchill”, ho pensato che la sua sarebbe stata una di quelle interpretazioni che non avrei voluto perdere...
Durante le riprese tutto mi appariva totalmente reale. Sono arrivato a dimenticarmi che Gary stesse indossando costumi, protesi e trucco. I discorsi di L’ora più buia pronunciati da Winston Churchill fra maggio e giugno del 1940 non hanno mai perso la loro forza né la capacità di ispirare. Con i suoi discorsi ha mobilizzato una nazione che continua a citare, riproporre e adattare le sue frasi. Le parole usate vanno oltre il tempo e i luoghi, ormai anche sulla rete: visitando ogni sito di aforismi è chiaro che Winston Churchill è tra i più citati. Spesso non si ricorda che Winston iniziò la propria carriera come giornalista. La scrittura è stato il suo primo grande talento, quello in cui è riuscito sempre meglio...
Con Gary Oldman, prima di cominciare le riprese, abbiamo iniziato una corrispondenza per valutare le prime registrazioni. Mi trovavo in Inghilterra mentre Gary era a Los Angeles. Ha iniziato a registrarsi mentre interpretava uno dei discorsi, nel corridoio di casa, così da trovare un’acustica funzionale. Ho avuto da subito la sensazione di ascoltare Churchill. Non era ancora una completa interpretazione. Gary ha lavorato per arrivare a ogni sfumatura espressa nelle parole di Winston. Fondamentale per la costruzione del personaggio è stato lavorare con i costumi. È un aspetto personale che aiuta molto l’attore a entrare nel personaggio...
Come si dice spesso, dietro a un grande uomo c’è una donna ancora più grande. La donna più importante nella vita di Winston Churchill durante quelle quattro intense settimane nella primavera del 1940 fu sua moglie Clementine, conosciuta come Clemmie, e al suo fianco già da 31 anni. Sposarla, come disse lui stesso, è stato il suo maggior successo nella vita. Confidente, compagna, coscienza critica, Clemmie era in assoluto la persona di cui Winston si fidava più di tutti. Clemmie era al fianco di Churchill tanto nella vita domestica quando nell’attività politica. Aveva posizioni molto più liberali di Churchill e molto spesso discutevano sulle questioni. A volte le dava ascolto, ma non sempre. Rimaneva comunque fondamentale nel suo processo di scelta...
Eravamo convinti che il pubblico dovesse venire a contatto con le questioni in ballo e valutarle... Più di una volta nel film viene presentato questo approccio. Nelle scene allestite mi auguro che il pubblico possa dare ascolto alle parole di Halifax e considerare attentamente la sua diversa posizione: se la Gran Bretagna non avesse vinto la guerra, gli avremmo dato ragione? In quel caso Churchill avrebbe perso i galloni da eroe? La storia ha provato che le scelte di Churchill fossero corrette e vale la pena celebrarle. Ma si deve pensare che nel maggio 1940 c’erano comunque le condizioni per valutare l’opportunità di un negoziato di pace, anche solo per le condizioni in cui si trovava l’esercito britannico; l’armata di terra era intrappolata a Dunkirk, dall’altro lato del Canale, con il serio rischio di rimanere bloccata e indifesa».
La critica
Maggio 1940. Mentre le armate di Hitler dilagano per l’Europa, in Gran Bretagna si dimette il primo ministro Chamberlain, che si è mantenuto su una linea di attendismo e diplomazia. Viene eletto Winston Churchill, poco amato dai compagni di partito e dalla monarchia. Alle sue spalle c’è una serie di fallimenti, a cominciare dalla disfatta dei Dardanelli nella I Guerra Mondiale, e ora si trova a fronteggiare una catastrofe. Churchill insiste sulla linea della guerra senza quartiere alla Germania, ma le pressioni per negoziare crescono. La vicenda si svolge nelle settimane della ritirata di Dunkerque, narrate di recente nel film di Christopher Nolan, ma L’ora più buia è ovviamente meno ambizioso. Più che cercare l’epos, illustra didatticamente il contesto, ed è concepito come occasione per un virtuosistico Gary Oldman che biascica e caracolla irresistibilmente, circondato da attori tutti bravissimi. A parte eventuali letture in chiave anti-Brexit (Churchill ragiona sempre in termini di Europa), si notano le attenzioni, tipicamente inglesi, alle differenze di classe ma soprattutto il tema centrale del film: l’oratoria politica. Come Il discorso del re, questo film affronta l’importanza della parola, della retorica come vero strumento per agire nella Storia. «Ha mobilitato la lingua inglese e l’ha spedita in battaglia»: queste le ultime battute, che spiegano la morale del film. Il regista Wright è un illustratore con qualche guizzo di modernismo: ha fatto Anna Karenina e Orgoglio e pregiudizio, e anche stavolta si affida a uno sceneggiatore di nome, Anthony McCarten (autore di La teoria del tutto, il biopic su Stephen Hawking). La sua regia è solida, elegante, vecchio stile, come in fondo era vecchio stile, ottocentesca, la retorica di Churchill. Più e più volte, a concludere le scene, la macchina da presa si alza improvvisamente, a piombo sui personaggi, facendoli diventare, da individui, pedine. Curiosamente, in questo film super-britannico sono di grande aiuto due italiani: il montatore Valerio Bonelli e l’autore delle musiche Dario Marianelli, con un melodico pezzo per piano e orchestra che sembra un’aria d’opera ottocentesca. Del resto Isaiah Berlin, in un saggio memorabile sull’oratoria di Churchill, paragonava il suo stile, fitto di arcaismi e artifici, a un melodramma tragico in cui si alternano arie e recitativi.
EEmiliano Morreale, La Repubblica, 18 gennaio 2018
Corpo e parola. Winston Churchill era sostanzialmente questo, e da tale binomio un buon film sulla sua figura non poteva prescindere. Così accade che L’ora più buia di Joe Wright trovi il suo senso d’esistere nella potente performance ‘corporale e verbale’ - la migliore a oggi - di un grande attore come Gary Oldman. In estrema sintesi, lui è il film. In una mimesi da brivido (5 ore di trucco quotidiane) Oldman e Churchill arrivano a fondersi senza però smarrire le distinte identità, ovvero la più alta ambizione di un artista della recitazione affrontando personaggi così iconici. (...)
E se Churchill fu un individuo a dir poco ‘ingombrante’, a quanto pare rimane tuttora un eroe persistente nell’immaginario patrio, tanto da indurre lo stesso Oldman a pronunciare pubblicamente un “Thank you, Sir Winston Churchill” ricevendo il Golden Globe. Un gesto, questo, bizzarro ma sintomatico del bisogno dei cittadini di Sua Maestà di rievocare il più grande statista nazionale di sempre per riempire, almeno psicologicamente, l’horror vacui attuale, tra fragilità politica e crisi identitaria. In tal senso diviene emblematico che il film di Wright arrivi nelle sale pochi mesi dopo il film di Chris Nolan, Dunkirk: raccontando gli stessi giorni tra fine maggio e inizi giugno del 1940, i due testi - per quanto cinematograficamente non comunicanti - sono l’uno il controcampo dell’altro. Lontano dalle spiagge visionarie di Nolan, L’ora più buia ci porta nei labirinti del potere, nei claustrofobici corridoi del War Cabinet ove il 65enne Churchill riottosamente rinominato primo ministro da Giorgio VI si tormenta cercando ‘la soluzione’ alla II Guerra Mondiale. Ma soprattutto, si diceva, il settimo film di Wright si traduce nel corpo voluminoso e nei discorsi indimenticabili ripresi dagli originali e che Oldman definisce ‘uno dei momenti più alti della lingua inglese’ - di Sir Winston, maestro di retorica bigger than life, che incuteva timore persino al re anteponendogli i propri bisogni: «Alle 16 non posso incontrarla, faccio il sonnellino», e a Sua Maestà non restava che arrendersi. Quintessenza della ‘Britishness’, il primo ministro esondava d’ironia ed è bello che il rigoroso dramma politico/parlamentare confezionato da Wright ne dia giustizia, smarcandosi dal rischio di noia. Lontano da essere un’opera indimenticabile se non per l’interpretazione di Oldman, L’ora più buia ha il pregio di esporre le contraddizioni caratteriali di Churchill alternando e mescolando solennità, tragedia e commedia fino all’ultima, patriottica, scena.
AAnna Maria Pasetti, Il fatto quotidiano, 19 gennaio 2018
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