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Giovedì 11 aprile 2019 – Scheda n. 24 (1053)
La donna elettrica
Titolo originale: Kona fer í stríð (Woman at War)
Regia: Benedikt Erlingsson
Sceneggiatura: Benedikt Erlingsson e Ólafur Egill Egilsson.
Fotografia: Bergsteinn Björgúlfsson. Musica: Dominique Rabout.
Interpreti: Halldóra Geirharðsdóttir (Halla/Ása),
Jóhann Sigurðarson (Sveinbjörn), Davíð Þór Jónsson (pianista e fisarmonicista),
Magnús Trygvason Eliasen (batterista), Ómar Guðjónsson (susafono),
Iryna Danyleiko, Galyna Goncharenko, Susanna Karpenko (coro ucraino).
Produzione: Slot Machine & Gulldrengurinn. Distribuzione: Teodora Film.
Durata: 100’. Origine: Islanda, 2018.
Benedikt Erlingsson
Nato a Reykjavik, in Islanda, nel 1969, Benedikt Erlingsson ha lavorato per il teatro, la televisione e il cinema, sempre con successo. Ha cominciato come attore di teatro, specializzato in monologhi scritti da lui stesso. A partire dal 2000 è passato alla tv come interprete di serie. Nel 2007 ha diretto il primo cortometraggio per il cinema, Thanks, seguito da Naglinn (2008). L’esordio nel lungo è del 2013 con Storie di cavalli e di uomini, molto premiato nei festival internazionali. La donna elettrica è la sua seconda opera, presentata in anteprima alla Semaine de la Critique a Cannes, dove ottiene il premio SACD (Société des Auteurs e Compositeurs Dramatiques). Il film, come già il precedente, è stato il candidato islandese agli Oscar.
Sentiamo il regista: «C’è una connessione forte tra i miei due film, Storie di cavalli e di uomini e La donna elettrica. Si tratta di qualcosa di cui sono diventato davvero consapevole solo dopo aver ultimato quest’ultimo, ossia l’idea fondamentale che i “diritti della Natura” dovrebbero essere di fatto considerati allo stesso livello dei “diritti umani”. I diritti della Natura dovrebbero essere protetti con forza in ogni costituzione e difesi da leggi internazionali. Tutti noi dobbiamo capire che la natura incontaminata ha un diritto intrinseco a esistere, una necessità che va al di là dei bisogni dell’uomo e del nostro sistema economico. A volte succede invece che lo stesso Stato, che nei paesi democratici si dà per scontato che sia uno strumento creato dal popolo per il popolo, possa essere facilmente manipolato da interessi particolari contro il bene comune. Quando guardiamo alle grandi sfide che dobbiamo affrontare sulle questioni ambientali, questo ci appare perfettamente chiaro. Ne La donna elettrica questo tema diventa terreno fertile per una commedia, ma nella realtà, in alcuni paesi, è piuttosto l’argomento per una tragedia. Vorrei citare a proposito due donne che considero delle eroine: Berta Cáceres in Honduras e Yolanda Maturana in Colombia. Entrambe attiviste per l’ambiente, sono state assassinate da chi aveva grandi interessi nelle terre che esse provavano e difendere...
Trovare Halla, la protagonista, è stato un processo lungo e complicato e come spesso succede la scelta giusta ce l’avevo in realtà sotto il naso. La protagonista, Halldóra Geirharðsdóttir, è una mia amica d’infanzia e professionalmente siamo cresciuti insieme fin da ragazzi: lei era un po’ la mia sorella grande. Abbiamo iniziato a lavorare insieme come attori a teatro quando avevamo 10 e 11 anni. All’inizio della stesura del copione di La donna elettrica avevo avuto una specie di visione di Halldóra nei panni di Halla ma per qualche motivo ho iniziato a pensare anche a altri interpreti possibili. Poi il destino mi ha riportato finalmente a lei, facendomi capire che non solo era la scelta più ovvia ma anche quella giusta. Halldóra è una forza della natura e, nel teatro islandese, è davvero “l’attrice” della nostra generazione, la Sarah Bernhardt nazionale. Lo spettro del suo talento è talmente ampio che è quasi riduttivo considerarla semplicemente un’attrice: al teatro di Reykjavík interpreta i maggiori ruoli drammatici ogni stagione, ma è anche uno dei clown più famosi del paese. Oltre questo, sa interpretare con successo anche personaggi maschili, come è successo con Vladimir in Aspettando Godot o addirittura Don Chisciotte, ruolo che in fondo ha più di una somiglianza con quello di Halla...
Halla è un nome molto comune in Islanda, ma ha anche dei riferimenti storici e culturali precisi. Halla e il marito Eyvindur sono stati gli ultimi fuorilegge nella storia del paese, sopravvivendo in fuga per oltre vent’anni nel diciassettesimo secolo. Erano ladri di pecore e ribelli e molte storie su di loro sono state raccontate e fanno parte del patrimonio culturale tradizionale degli islandesi. Nel 1918, esattamente 100 anni fa, il padre del cinema svedese Victor Sjöström ha dedicato ai due uno dei suoi film più famosi, I proscritti...
Non penso mai al genere di un film durante il processo creativo, sia in fase di scrittura che di riprese. Il genere è qualcosa su cui ragionare dopo il “parto”: per capirsi, non pensi a che tipo di essere umano sarà tuo figlio mentre lo stai facendo (o almeno, io non lo faccio…). Diverse persone hanno definito La donna elettrica una commedia, un dramma o addirittura un eco-thriller…! Insieme allo sceneggiatore Ólafur Egill Egilsson, volendo a tutti i costi trovare una definizione del film, siamo stati d’accordo nel considerarlo piuttosto una fiaba. È una parola molto seducente e anche d’aiuto quando si costruisce una storia...
La musica è stata la prima visione originale che mi ha condotto al film. Stavo fantasticando e sognando a occhi aperti sul mio prossimo film e all’improvviso ho visto una donna correre in una strada vuota, sotto la pioggia, verso di me. Quando si è fermata l’ho guardata da vicino e ho visto che a fianco a lei c’era un complesso di tre musicisti: ascoltando la musica con attenzione ho capito che si trattava della colonna sonora della vita di quella donna. La musica è diventata così un aspetto chiave del film, con una grande rilevanza drammatica. Gli antichi greci credevano che le persone creative fossero accompagnate da un daimon che ispirava delle buone idee e dava loro potere e coraggio: questo è anche il compito dei nostri musicisti e del coro delle tre donne ucraine nei riguardi di Halla, ma anche del pubblico. Per non avere problemi in sede di montaggio ho preso tutte le precauzioni possibili, registrando la musica sia in studio che dal vivo sul set...
La mia formazione e gran parte della mia carriera sono state in veste di attore e ancora mi sto adattando a quello di regista. Essere stato soprattutto un interprete mi è comunque molto d’aiuto nel dirigere un film. Come regista vedo me stesso come un narratore, ma un narratore che vuole anche essere un poeta: così mi ritrovo da qualche parte in mezzo a questi due approcci diversi, un po’ come qualcuno che vuole cavalcare due cavalli al tempo stesso. Cosa che comunque è possibile fare: si ha solo bisogno del giusto allenamento e di un po’ di talento, come i migliori artisti del circo».
La critica
Quando la vediamo correre attraverso l’incontaminata natura islandese, con quei colori addosso, con l’arco a tracolla, la protagonista di La donna elettrica (e sì, il titolo fa riferimento a lei: è il suo nome da ecoterrorista) sembra un po’ una Robin Hood ecologista. Poi, in casa, torna ad essere una tranquilla signora borghese di mezza età un po’ fricchettona, coi ritratti di Nelson Mandela e Gandhi sulla parete del salotto, e Virginia Woolf nello scantinato; anche se sempre meno della sorella gemella vestita d’arancione che insegna yoga e sta per partire alla volta di un ashram in India. Un’identità pubblica e una segreta. Ma anche due gemelle. Un’Islanda sospesa tra antichi riti vichinghi, allevamento di bovini, modernissimi droni e videocamere di sorveglianza. Un film che è un po’ commedia e un po’ thriller eco-politico, e che a tenere assieme le sue varie anime, le scene e i personaggi mette in scena - letteralmente - autore ed esecutori della colonna sonora (Davíð Þór Jónsson, Magnús Trygvason Eliasen e Ómar Guðjónsson), che con tre cantanti ucraine sono una sorta di coro greco che commenta la storia e allo stesso tempo sorta di rassicuranti angeli custodi della protagonista, che è interpretata da una leggenda della recitazione islandese come Halldóra Geirharðsdóttir. Ancora più sopra, a tenere assieme tutto questo, a dare al suo film il tono del racconto morale e mitologico, che fortunatamente però evita moralismi, simbolismi esagerati e pedanterie, è Benedikt Erlingsson, sceneggiatore e regista, che ha avuto tutte le idee e le ha messe in scena, compresa quella - molto ironica e un po’ coraggiosa, e decisamente riuscita - dell’infilare nelle inquadrature i suoi musicisti. Che ha voluto mettere il suo pubblico di fronte a una storia che parla di questioni molto attuali, senza cercare di risolverle con eccessiva faciloneria, ma lasciando la matassa vagamente ingarbugliata: fino a che punto è lecito lottare per un ideale pur nobile? Cosa differenzia un’eco-terrorista da un terrorista islamico, o alla Breivik? Che speranze hanno gli sparuti singoli contro un sistema economico e politico che divora perfino nella piccola e felice Islanda, figuriamoci da noi? Erlingsson, di fronte a tutto questo, fa un passo indietro. Non certo per pavidità, ma per rispetto nei confronti di qualcosa che è più grande di noi, e che domina tutto il suo film, che sta sopra alla protagonista, alla gemella, ai musicisti, al regista, e al tempo stesso gli sta dentro, a tutti quanti. Perché è la Natura la protagonista di La donna elettrica: la natura islandese, selvaggia e bellissima, che la nostra Robin Hood vuole proteggere, e dalla quale è protetta (dalle rocce, dai ghiacciai, dalle pecore), che nasconde i suoi segreti e i suoi desideri (una foto sotto il muschio), che accoglie sfortunati cicloturisti sudamericani e che allaga le strade ucraine. Ma anche la natura umana, fatta di sogni e speranze e ideali e desideri, di un aiuto al prossimo che parte dai grandi temi ma arriva a quella cosa che è alla base di tutti i rapporti umani e dei legami: il contatto tra un genitore e un figlio.
Biologici o meno, non importa: è natura lo stesso.
FFederico Gironi, comingsoon.it, 7 dicembre 2018
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