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CINEMA SOCIALE
S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna
PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS
Giovedì 24 ottobre 2019 – Scheda n. 2 (1058)
Sulla mia pelle
Regia: Alessio Cremonini
Sceneggiatura: Alessio Cremonini, Lisa Nur Sultan.
Fotografia: Matteo Cocco. Musica: Mokadelic.
Interpreti: Alessandro Borghi (Stefano Cucchi),
Max Tortora (Giovanni Cucchi), Jasmine Trinca (Ilaria Cucchi),
Milvia Marigliano (Rita Calore), Andrea Lattanzi (Emanuele Mancini),
Tiziano Floreani (Luca), Orlando Cinque (Roberto Mandolini),
Mauro Conte (Francesco Tedesco), Paolo D. Bovani (Raffaele D’Alessandro).
Produzione: Cinemaundici, Lucky Red, Netflix. Distribuzione: Lucky Red, Netflix.
Durata: 100’. Origine: Italia, 2018.
Alessio Cremonini
Nato a Roma nel 1973, Alessio Cremonini ha cominciato la sua carriera come aiuto alla regia nelle serie televisive, poi è passato al cinema come assistente di Ettore Scola nel film La cena. Nel 1997 scrive e dirige un corto con Camilla Costanzo dal titolo Marta. Il cortometraggio viene inserito nel film a episodi I corti italiani presentato alla Mostra di Venezia. Nel 2000 scrive il film Voci tratto dall’omonimo romanzo di Dacia Maraini per la regia di Franco Giraldi. La sceneggiatura vince il premio Federico Fellini come il migliore tra i copioni presentati. Lavora ancora come sceneggiatore per alcuni tv movie, poi nel 2004 scrive, con la coppia Camilla Costanzo e Saverio Costanzo, la sceneggiatura di Private, film che viene diretto da Saverio Costanzo. Intraprende anche un’altra carriera, quella di professore. Insegna cinema a Bologna e in altri corsi e master. Nel 2013 scrive, dirige e co-produce insieme a Francesco Melzi d’Eril Border, un film girato in arabo sulla guerra siriana. Con Lisa Nur Sultan scrive la sceneggiatura di questo Sulla mia pelle che è basato su una notevole mole di documenti e fatti realmente accaduti riguardante la tragica vicenda di Stefano Cucchi. Quindi gira lui stesso il film che viene presentato nella sezione Orizzonti della 75ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, suscitando un interesse vastissimo. Dopo Venezia, Sulla mia pelle, prodotto da Netflix, è stato distribuito contemporaneamente nelle sale cinematografiche e in streaming su Netflix.
Sentiamo Cremonini: «Certo, c’era il rischio di cadere e scadere nella retorica. Ma è la famiglia di Stefano che è stata onesta prima di tutto, quindi non potevamo certo essere noi a barare. I genitori e Ilaria, nonché l’avvocato Fabio Anselmo, quando sono rientrati per la prima volta nella casa di Stefano dopo un mese dalla morte – cosa non facile, come ci ha ricordato La stanza del figlio, il film di Nanni Moretti dove recitava anche Jasmine Trinca che c’è anche nel mio film – hanno trovato un chilo e mezzo di hashish e un etto e venti, un etto e trenta, di cocaina. Sinceramente, io forse avrei buttato quella roba per cercare di onorare la memoria di un figlio o di una figlia. Loro, invece, non hanno avuto paura; questo perché la richiesta che fanno i Cucchi e che dovrebbe fare qualsiasi cittadino è di avere giustizia, quindi per primi si sono posti il problema di non essere loro a compiere un atto contro la giustizia. Di fatto, hanno denunciato il figlio morto. In linea con questa scelta, nel fare Sulla mia pelle abbiamo cercato di dire tutta la verità con onestà e, se vogliamo, con un certo spirito francescano...
Personalmente, avevo tanti gioielli: Jasmine e Alessandro Borghi, il gioiello più grande che porta il carico spaventoso di una vicenda atroce e quello, ancora più atroce, di entrare nel corpo di una persona che sta morendo. A quel punto, mi sono chiesto: con tutto questo materiale prezioso a disposizione, che gioielliere sarò? Un gioielliere non dico bravo ma quantomeno avveduto cerca di mettere poco metallo attorno alle proprie gemme, cercando di farle risaltare. Questa è stata la scelta che ho fatto per Sulla mia pelle, una regia molto semplice, essenziale, spesso con macchina fissa. A volte, quando le inquadrature sono più larghe, sembra quasi più vicina grazie al magnetismo di Alessandro; hai l’impressione di stargli addosso anche quando la macchina da presa si trova oltre le sbarre...
Il film è quasi documentaristico, con una eccezione, la figura di Marco, un personaggio “invisibile” con cui Stefano si rapporta nella seconda metà del film. Non è un personaggio reale. È una speranza. Il reparto di medicina protetta era pieno, quindi probabilmente Stefano ha avuto dei vicini. Non ci sono testimonianze in questo senso, ma era una speranza importante per me. Non riuscivo a pensare che questo ragazzo non avesse potuto parlare con nessuno, con l’angoscia di non poter vedere i familiari; sembra l’Antigone, per certi versi, ed è una tragedia shakespeariana a tutti gli effetti, con la cappa del destino che distrugge l’uomo. Tuttavia, non potevamo introdurre una figura sulla cui esistenza non avevamo prove. Sulla mia pelle è basato su fonti certe, attestate e poi trasposte secondo modalità cinematografiche; quindi, non ce la sentivamo di dire una bugia. Siamo rimasti nel mezzo: forse Marco c’è stato, forse no. Forse era la coscienza di Stefano, uno strano grillo parlante che lo invitava a sistemare le cose rimaste in sospeso. C’è anche un’altra scena che ha un che di onirico, quella in cui Stefano condivide la cella con degli albanesi, o anche quando parla per la prima volta con Marco e il suo letto è come se si ribaltasse. In quelle sporadiche occasioni, ci siamo concessi di uscire da questo metodo di studio severo, calvinista, quasi da entomologo».
La critica
Sulla mia pelle è un film come se ne vedono pochi in Italia. Un film che partendo da un caso di cronaca dall’enorme visibilità mediatica, riesce a costruire un racconto che riflette in maniera profonda su un sistema, un apparato, uno stato di cose. Stefano Cucchi è morto il 22 ottobre 2009 all’età di trentun anni mentre si trovava in custodia cautelare nell’ospedale di contenzione Sandro Pertini di Roma, una settimana dopo essere stato arrestato da due volanti dei Carabinieri per possesso di stupefacenti. A causare il decesso fu una serie di ecchimosi, fratture e lesioni sparse su tutto il corpo ma principalmente su torace, schiena e viso del ragazzo. Come è noto della morte di Stefano – che prima del fermo si trovava in buona salute – sono stati inizialmente accusati tre dei cinque Carabinieri che operarono l’arresto, poi le guardie carcerarie che lo presero in custodia e infine i medici che si occuparono di lui dopo il ricovero, poi tutti assolti. Dopo diverse vicende giudiziarie e due processi, attualmente si trovano sotto inchiesta tre militari dell’Arma per omicidio preterintenzionale e altri due per falsa testimonianza (con riferimento alle dichiarazioni rilasciate durante il primo processo).
Il film si concentra sui giorni che vanno dall’arresto di Stefano sino al decesso e attenendosi scrupolosamente ai fatti – desunti dalle testimonianze dei processi e dai racconti di molti testimoni diretti – lascia trasparire una verità che coincide con quella che la famiglia Cucchi, da quasi dieci anni, cerca di portare alla luce. E cioè che la morte del ragazzo sia stata causata dal barbaro pestaggio cui i Carabinieri che lo presero in custodia lo sottoposero nelle ore successive all’arresto. Tuttavia, come si diceva, non è questo che il film intende raccontare (o non solamente). Perché Sulla mia pelle non è né un film di denuncia, né un reportage e nemmeno un documentario di inchiesta. Piuttosto un’opera che ragiona a più ampio respiro su qualcosa che ha dell’incredibile, ovvero sul fatto che una persona in buona salute, oggi, in Italia, possa morire mentre è affidata alle mani dello Stato. Il caso di Stefano parla anche per tutti quei morti – sono stati ben 176 nel 2009 – che decedono mentre si trovano in stato di arresto o detenzione. Quello che emerge dal racconto cronachistico che il film conduce con un’asciuttezza e un rigore davvero rari – più propri, forse, di cinematografie come quella romena o iraniana per dirne due delle più identificabili – è un apparato costretto dentro un regime di norme, regole e procedure che pur pensato per la tutela dell’individuo ne è la prima causa di offesa. Sulla mia pelle non lancia accuse, non cerca colpevoli e non punta il dito contro nessuno, ma in maniera molto più intelligente pone sotto la lente d’ingrandimento la questione dei delitti e delle pene di uno Stato democratico del XXI secolo, spingendo a interrogarsi sul diritto che ha questo Stato (e quindi tutti quanti noi) di considerarsi espressione di una democrazia. Stefano era un tossicodipendente e forse spacciava droga – il film oltretutto non ne fa mistero – ma è prima di tutto un cittadino e quello che gli è successo può (lo si legga senza retorica alcuna) capitare a chiunque di noi. Il calvario che il ragazzo ha attraversato per sette lunghissimi giorni è un insieme di sbagli, mancanze, superficialità che in uno stato di diritto semplicemente non può accadere. Gli atteggiamenti che militari, agenti di custodia, medici, infermieri, magistrati e legali mantengono nei confronti di Stefano quando entrano in contatto con lui ne costituiscono la causa di morte ben più delle percosse, che peraltro il film non mostra. Fa rabbia notare come nel corso della vicenda che Cremonini racconta, nessuno si curi di far luce sulla natura dei lividi e delle lesioni che Stefano si porta addosso, come alla famiglia Cucchi venga impedito (più o meno intenzionalmente) di incontrare il figlio dal giorno successivo all’arresto e come le richieste del giovane di parlare con il proprio legale siano sistematicamente ignorate. Quello che il caso Cucchi mette in evidenza e su cui il film ragiona è quindi l’emergere di una colpa collettiva e endemica. Connaturata in un apparato statale anacronistico e desueto. E auspicando che la sentenza del processo individui e chieda conto ai colpevoli delle loro azioni, la cosa più sbagliata che potrà accadere è che tutti quanti gli altri si sentano indebitamente assolti.
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Lorenzo Rossi, cineforum.it, 12 settembre 2018
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