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Cold War - Scheda del film

 

 

 
 

 

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S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna


PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO

Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS
 

 

 

Giovedì 7 novembre 2019 – Scheda n. 4 (1060)

 

 

 

 

Cold War

 

 

 

 

Titolo originale: Zimna wojna

 

Regia: Paweł Pawlikowski

 

Sceneggiatura: Paweł Pawlikowski, Janusz Glowacki, Piotr Borkowski

 Fotografia: Łukasz Żal

 

Interpreti: Joanna Kulig (Zuzanna “Zula” Lichoń),

Tomasz Kot (Wiktor Warski), Borys Szyc (Lech Kaczmarek),

Agata Kulesza (Irena Bielecka), Adam Ferency (ministro),

Adam Woronowicz (console), Cédric Kahn (Michel),

Jeanne Balibar (Juliette), Anna Zagórska (Ania).

 

Produzione: Unito. Distribuzione: Lucky Red.

Durata: 84’. Origine: Polonia, 2018.

 

 

Paweł Pawlikowski

 

 

Nato a Varsavia nel 1957,  Paweł Pawlikowski a 14 anni va a vivere in Germania, poi si sposta in Italia e in Gran Bretagna. Gira per l’Europa come i protagonisti del film di stasera, Cold War: e il viaggio è il motivo conduttore di molti suoi film e di finzione. È un esperto poliglotta, parla inglese, francese, tedesco, italiano, russo, serbo-croato e spagnolo (però). Comincia a girare dei documentari e molti vengono premiati nei festival. Il registro della sua messinscena sta tra l’ironia e il lirismo. Il primo lavoro è From Moscow to Pietushki with Benny Yerofeyev (1990), un viaggio poetico da Mosca a Pietushki in onore dello scrittore russo di culto Erofeev. Dostoevsky’s Travels (1991, I viaggi di D.) è un road movie tragicomico di un tranviere di San Pietroburgo, unico discendente vivente di Fëdor Dostoevskij, che viaggia per l’Europa, incontra aristocratici e monarchici e arriva al casinò di Baden-Baden con lo scopo di raccogliere fondi per acquistare una Mercedes di seconda mano (!?). Un altro documentario, ironico e ipnotico, Serbian Epics (1992), è stato realizzato durante la guerra in Bosnia con immagini esclusive di Radovan Karadžić e del generale Ratko Mladić e successive polemiche. Tripping with Zhirinovsky (1994, Cadendo con Zhirinovsky) è un surreale viaggio in barca lungo il Volga con l’aspirante dittatore russo. Il primo film di finzione è il mediometraggio Twockers (1998). Dopo Last Resort (2000), dirige My Summer of Love, in Gran Bretagna, con Emily Blunt e Natalie Press. Del 2011 è il film La femme du Vème, con Ethan Hawke e Kristin Scott Thomas. È con Ida (2013) che Pawlikowski raggiunge il successo internazionale. Ida viene premiato come miglior film al London Film Festival e agli Oscar 2015 vince come miglior film straniero. Questo Cold War, presentato in concorso a Cannes, ha vinto il premio per la miglior regia.

Ecco qualche dichiarazione del regista: «Ho cominciato a lavorare a Cold War pensando di girarlo a colori. Ma mi sono reso conto quando ho visto i primi ciak che non avrei potuto realizzare questo film a colori perché non avevo nessuna idea di quale tonalità avrebbero dovuto avere le varie scene. La Polonia non era come gli Stati Uniti, che negli anni ’50 erano tutti pieni di colori saturi. In Polonia, in quegli anni del dopoguerra, il colore era indefinito, una specie di grigio/marrone/verde. La Polonia era stata distrutta. Le città erano in rovina, non c’era elettricità in campagna. La gente vestiva con colori scuri e grigi. Mostrare tutto questo con colori vividi avrebbe significato fare qualcosa di completamente falso. Però io volevo che il film fosse brillante. Avremmo potuto imitare la tipologia di colore della prima era sovietica, leggermente slavato, con rossi e verdi sbiaditi. Ma questo oggi avrebbe avuto un effetto manieristico. Il bianco e nero mi è sembrato il modo più diretto e onesto per ottenere quello che volevo. Per rendere il film visivamente più potente e dinamico abbiamo accentuato i contrasti tra il bianco e il nero, tra luce e ombre, specialmente nella parte che si svolge a Parigi...

Il tema centrale del film è l’amore e amore vuol dire sempre affrontare e superare gli ostacoli. È molto difficile raccontare una storia d’amore, non soltanto quando ha come sfondo una guerra, ma in qualsiasi circostanza. E soprattutto in questi tempi, in cui tutti sono distratti da schermi, cellulari, internet, e non vedono che tutt’intorno è pieno di persone, non vedono perché c’è molto rumore. Oggi è difficile concepire il momento dell’innamorarsi come un incontro dove vedi qualcuno e poi non esiste più nessun altro. Nei tempi di Cold War, e anche in quelli di Ida, la vita era più violenta e drammatica, per questo penso che i sentimenti fossero più profondi. Mi piace molto andare indietro, provo tanta nostalgia per quei tempi andati. Non per la guerra o per Stalin, ma per una chiarezza dei sentimenti che oggi non c’è più...

C’è da sottolineare che i rapporti amorosi sono sempre conflittuali. Due persone forti, inquiete, molto diverse, due poli opposti come Zula e Wiktor, hanno altri amanti, rapporti, mariti e mogli, ma col tempo si rendono conto che con nessun altro si sentono tanto uniti e – a dispetto di tutti i cambiamenti storici e di tutti gli spostamenti geografici – capiscono che loro si conoscono bene come nessun altro. Allo stesso tempo, paradossalmente, sono le uniche persone con cui non riescono a stare...

La musica è un elemento centrale del film. Il gruppo folcloristico Mazowsze esiste realmente, creato dopo la guerra e ancora oggi in attività. Attraverso la storia di questa istituzione musicale pensavo che sarebbe stato possibile mostrare cosa succedeva nella società polacca dell’epoca, senza bisogno di ulteriori spiegazioni. Quando ero un bambino, la radio e la televisione di Stato erano pieni della loro musica. La musica ufficiale del popolo. Tra i miei amici era considerata musica assurda e insignificante, e ascoltavamo molto più volentieri registrazioni di contrabbando degli Small Faces o dei Kinks. Ma quando cinque anni fa ho assistito ad una performance dal vivo dei Mazowsze, sono rimasto molto colpito. Le melodie, le voci, i balli, gli arrangiamenti sono meravigliosi e pieni di vitalità. E così lontani dal nostro mondo virtuale e dalla cultura elettronica. Sono assolutamente trascinanti. L’entusiasmo deriva dal loro genuino interesse per le tradizioni e la musica, in linea con quanto analogamente aveva fatto Woody Guthrie negli Stati Uniti. La compagnia venne ingaggiata dal regime comunista, che in essa vide un utile strumento di propaganda. Le canzoni del popolo vennero contrapposte alla decadente arte borghese, il jazz o la musica dodecafonica. I Mazowsze fecero tournée in tutte le capitali del Patto di Varsavia e andarono a Mosca. Ho trasformato un pezzo classico della compagnia Mazowsze, Two Hearts, facendolo ascoltare prima come motivetto rurale cantato da una contadina, e poi come un pezzo jazz cantato in francese da Zula, diventata a Parigi un’eterea “chanteuse” in perfetto stile anni ’50».

 

 

La critica

 

 

1949: nella ricostruzione post bellica della Polonia, così come in molti stati del blocco sovietico, Wiktor, Irena e Kaczmarek, tre musicisti e ricercatori, stanno raccogliendo testimonianze di musica folclorica (si potrebbe pensare sul modello dell’esperienza di Kodaly e Bartók), per creare un collettivo, Mazurek, per la promozione della musica popolare. Ma già, vicino a loro c’è chi si scorna per la scollatura tra popolo e Volk: «Questa l’avrebbe cantata nella stessa maniera un ubriacone qualsiasi sotto casa mia» ma, soprattutto emergono, alla faccia dell’internazionalismo socialista, i segnali del nazionalismo «questa è bella, ma in che lingua cantano? – lituano… ah, peccato che non siano dei nostri» o «sì, va bene, ma possono cantare anche i pregi della riforma agraria?». Poco dopo, in una palazzina signorile dispersa nella campagna, le falle nel tetto sfondato si vedono da lontano, il gruppo apre le selezioni per la creazione del coro. Dei tanti giovani candidati, solo i migliori, i più autentici, saranno selezionati. Tra di loro si intravvede, per la prima volta, il volto di Zula, magnetico anche se segnato dalla guerra e da un passato famigliare turbolento (forse ha ucciso il padre). Non ha un brano, non ha pronto niente, ma le basta un accenno di controcanto sul pezzo che un’altra delle candidate sta provando per rubare la scena a questa, parassitarle la performance: Wiktor è rapito, la collega Irena un po’ meno, ha subodorato qualcosa. «Cantaci qualcosa di tuo». E la giovane rifà, a memoria, un brano che palesemente non appartiene al repertorio popolare, e nemmeno è in polacco: è una canzone tratta da un film russo degli anni ’30. Zula è presa, Irena esce in sostanza di scena. D’altronde, Joanna Kulig, classe 1982, attrice-feticcio di Pawlikowski, già in Ida, incarna uno di quei casi in cui la fotogenia si rivela in tutta la sua potenza (dal vivo è uno scricciolo, sembra una ragazzina), e, soprattutto, quella musica la conosce bene, essendosi diplomata proprio in musica popolare. Ma quel che è evidente, prima e durante questa sua prima apparizione, è che il vero tema di Cold War è il tradimento: il tradimento della tradizione, il tradimento degli ideali, il tradimento dell’ideologia, il tradimento amoroso. Un teorema che si sviluppa nella forma apparente del mélo. In 80 minuti, Wiktor e Zula si inseguono per 15 anni, avanti e indietro dalla Polonia, a Berlino, a Parigi, da Zagabria a di nuovo Parigi e Varsavia, poi la musica si farà musica da film e poi jazz – il genere forse più legato al concetto di tradimento –, per poi tornare in Polonia in una chiesa sventrata e abbandonata in mezzo alla campagna, dove si respira odore di umidità e di Tarkovskij, e chiudere con un matrimonio/suicidio, uniti sulla panca come gli innamoratini di Peynet. Alto e popolare convivono in questa immagine, e d’altra parte un senso doppio si può rilevare in tutte le immagini di questo sesto film di Pawlikowski, (che forse smetterà di definirsi “prestato al cinema”), fissate nell’estrema eleganza del bianco e nero qui lattiginoso e là scintillante di Lukasz Zal (che oltre a Ida, ha all’attivo anche il bel Dovlatov di Aleksej German jr, visto alla Berlinale di quest’anno), in un formato 4:3 sfruttato in maniera estremamente consapevole, con la parte alta del quadro che si lascia invadere dai corpi solo a momento debito. Zula mente, praticamente sempre; Wiktor si lascia invadere dalla menzogna.

AAlessandro Uccelli, cineforum.it, 16 dicembre 2018

 

 

 

 

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 di   Gustav Möller

 

Asger Holm è un agente di polizia che si è messo nei guai e per questo è stato confinato a rispondere al numero d’emergenza. È anche molto agitato perché l’indomani lo aspetta il processo che deciderà della sua carriera.

È notte. E riceve la telefonata di una donna che chiede aiuto. Per tutto il film siamo lì incatenati con lui e con quella donna al telefono.

Formidabile film.

Durata: 85’.

 

 

 

 

Giovedì 14 novembre, ore 21

 

Cinema Sociale di Omegna

 

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