in collaborazione con:
CINEMA SOCIALE
S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna
PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS
Giovedì 28 novembre 2019 – Scheda n. 7 (1063)
Il presidente
Titolo originale: La Cordillera
Regia: Santiago Mitre
Sceneggiatura: Santiago Mitre, Mariano Llinás. Fotografia: Javier Juliá.
Musica: Alberto Iglesias.
Interpreti: Ricardo Darín (Hernán Blanco), Dolores Fonzi (Marina Blanco),
Érica Rivas (Luisa Cordero), Elena Anaya (Claudia Klein),
Daniel Giménez Cacho (Sebastián Sastre, il presidente del Messico),
Alfredo Castro (Desiderio García), Gerardo Romano (Castex),
Leonardo Franco (Oliveira Prete, il presidente del Brasile),
Paulina García (Paula Scherson, la presidente del Cile).
Produzione: Kramer & Sigman Films (Argentina), La Unión De Los Ríos (Argentina),
MOD Producciones (Spagna) Maneki Films (Francia).
Distribuzione: Movies Inspired.
Durata: 121’. Origine: Argentina, Francia, Spagna, 2018.
Santiago Mitre
Nato a Buenos Aires nel 1980, si laurea alla Universidad del Cine, dirige un episodio del film collettivo El amor (primera parte), presentato nel 2005 a Venezia alla Settimana Internazionale della Critica. Realizza la sceneggiatura di tre lungometraggi con Pablo Trapero, Leonera (a Cannes nel 2008, in concorso), Carancho (ancora a Cannes, nel 2010) e Elefante Blanco (a Cannes nel 2012). Nel 2011 fonda una propria casa di produzione, per la quale scrive e dirige il primo lungometraggio, Lo studente, Gran Premio della Giuria a Locarno. Il suo secondo lungometraggio, Paulina, di cui realizza anche la sceneggiatura, viene presentato alla Semaine de la Critique del Festival di Cannes 2015, dove ottiene il Gran Prix per il miglior film, nonché il Premio Fipresci. Questo Il presidente è stato presentato nella sezione Un Certain Regard a Cannes 2017.
Sentiamo Mitre: «I miei due film precedenti erano già a sfondo politico: Lo studente è la storia di un apprendistato politico e Paulina racconta l’impegno politico di una giovane donna la cui vita viene sconvolta da un atto di estrema violenza. Con Il presidente ho voluto spingermi oltre e tracciare il ritratto di un’importante figura politica, di un uomo che ha fatto della politica la sua professione. Volevo mostrare la sua immagine pubblica e privata a confronto, mostrare l’essere umano che sottende l’animale politico. D’altro canto, mio padre ha lavorato a lungo presso organizzazioni internazionali, assistendo realmente a molti di quei summit. Ho preso spunto dalla sua esperienza, scegliendo di ambientare gli eventi durante uno di quei meeting, in un qualche luogo dell’America latina. Ma non ne volevo fare un thriller politico.
Il protagonista Hernán Blanco è un uomo onesto che, mano a mano, rivela il proprio lato oscuro. È consapevole della propria normalità e la rivendica a tal punto da usarla come strumento di marketing per commercializzare la propria immagine durante la campagna elettorale. In realtà, è un tratto comune a molti politici, ai quali piace vantarsi di essere “uomini comuni” per sembrare più vicini al popolo...
Quando la figlia si presenta al summit, il presidente sa di doverla aiutare, in quanto padre; tuttavia non ignora il pericolo che la sua instabilità rappresenta per l’uomo politico che è ormai diventato. La facciata di normalità, eretta a caro prezzo da lui e dal suo team, inizia a sgretolarsi. Non può più continuare a fingere che vada tutto bene. Il cognome stesso del protagonista, Blanco, riassume in sé quel paradosso uomo/presidente. Non è stato scelto per farne una metafora o un simbolo, tuttavia è vero che, nel corso del film, il cognome finisce per assumere una valenza speciale, per sottolineare l’ambiguità di un personaggio che, di primo acchito, sembra essere impenetrabile, perfino misterioso. Blanco non dice mai veramente ciò che pensa, ma le sue azioni ne tradiscono il pensiero. È stato anche divertente immaginare come sarebbero potuti essere la campagna elettorale e gli slogan di un uomo politico, che si ritrova un cognome come Blanco, per quanto vi siano solo brevi riferimenti ad essi nel film. Quel cognome serviva per calibrare e sviluppare meglio il personaggio...
Il mio presidente, all’inizio del film, è fresco di nomina, è in carica da sei mesi. È il primo summit internazionale al quale partecipa ed è proprio questo che ci interessava. Hernán Blanco arriva a Santiago del Cile con la sua aria da persona “comune”, i suoi avversari e la stampa lo vedono come una persona influenzabile, ma man mano che proseguono i negoziati, acquisterà forza e sicurezza di sé. La sua evoluzione nel corso del summit è, in un certo qual modo, un racconto di formazione, la storia del suo apprendistato come presidente. Si troverà a dover prendere alcune decisioni che avranno una ricaduta enorme su di lui e sul suo Paese...
All’inizio, il tono del film è prossimo al “realismo”: entriamo nella residenza presidenziale dalla porta di servizio, attraversiamo il labirinto di corridoi, incontriamo il suo team e, infine, il presidente. Il tono inizia a cambiare quando compare la figlia di Blanco. I suoi stati d’animo contaminano il film, che diventa sempre più stravagante. Le visite di quello strano psichiatra contribuiscono ad enfatizzare l’intenzionale scostamento dalla realtà. Improvvisamente, verso la metà dei negoziati, assurdo e realtà si sovrappongono. L’arrivo del consulente statunitense palesa l’atmosfera che impregnerà il film, a partire da quel momento: l’incontro tra lui e Blanco è carico di ambiguità, le reazioni dei due uomini sono strane...
L’albergo nel quale si tiene il summit diventa anch’esso un personaggio del film. L’albergo, in realtà, non esiste, è un collage di vari hotel. Gli esterni, invece, sono stati girati in Cile, in un unico luogo a un altitudine di 3.600 metri. Gli interni sono le riproduzioni di svariati alberghi in Cile e Argentina. L’idea era quella di creare un’atmosfera che evocasse un senso di estraneità: un luogo sperduto, in mezzo alle montagne. Anche le strade che conducono all’albergo dovevano essere piene di curve e tornanti, tortuose, al pari dei personaggi, contribuendo così a dare al film le sembianze di una costruzione mentale».
La critica
La cordigliera cui fa riferimento il titolo originale è quella andina che separa geograficamente il Cile dall’Argentina. E il film è incentrato su un summit fra tutti gli stati Sudamericani – più il Messico – che si tiene proprio sulla cordigliera cilena e che mira a stabilire degli accordi unilaterali in merito alle politiche petrolifere delle nazioni coinvolte. Mentre i capi di stato di tutti i paesi si riuniscono nell’hotel a 3000 metri di altezza che li ospita, il presidente argentino Hernán Blanco, in volo per il Cile, deve contemporaneamente cercare di arginare uno scandalo finanziario che coinvolge l’ex marito della figlia e che può ripercuotersi su di lui. Mitre orchestra un dramma politico in piena regola. Solido, teso, hitchcokiano. Il presidente argentino, intorno a cui ruota tutta la vicenda, è un politico intransigente, senza macchia e con un trascorso proletario. «Un hombre como vos» come recita lo slogan della campagna elettorale ripetuto scherzosamente dalla figlia, con origini proletarie, che cita Marx e vanta un passato limpido e immacolato. Un cittadino al servizio dei cittadini che lentamente si trasforma in un uomo di potere, capace di scendere a compromessi e a sporcarsi le mani. La perdita della verginità politica di Blanco è raccontata con le modalità di un dramma che nelle svolte narrative ha l’incedere di un vero e proprio thriller. Il presidente, che austero e impassibile, affronta gli eventi senza mai perdere la calma, impara a giocare secondo le regole e, proprio come il personaggio di un giallo hitchockiano, a tirarsi fuori dai guai senza farsi trascinare dagli eventi. Come in tanto cinema (e televisione) recente, il regista punta alla costruzione di una figura politica la cui sorte è minacciata dalla sovrapposizione fra la sfera pubblica e quella privata. Tuttavia la questione è affrontata da una prospettiva interna che è focalizzata completamente sul personaggio principale. Raccontato con linearità, il film procede come un susseguirsi di situazioni narrative che alternano senza soluzione di continuità le due sfere della vita di Blanco e all’interno delle quali l’uomo è sempre al centro. Circondato da colleghi, uomini dello staff o parenti, Blanco – eccetto che nella prima inquadratura in cui compare – non è mai da solo. E se spesso ciò che è in campo con lui rimane sfuocato nel background, egli occupa sempre il centro dell’immagine. Perché prima che definirlo dalle scelte e dalle azioni che intraprende, Mitre sembra interessato a dipingerlo come un corpo, come una figura che sta nello spazio e che quello spazio lo occupa fisicamente. Un hombre vertical in tutto e per tutto, la cui prossemica (come è prassi per gli uomini politici) ha quasi più risalto delle parole che pronuncia. A fargli da sfondo, inoltre, è un paesaggio lunare – quello della cordigliera – che è esso stesso uno spazio vuoto pronto a essere occupato, conquistato. Uno spazio da dominare in un certo senso, dato che la catena andina si snoda come un serpente da nord a sud per tutta quell’America Latina che il summit ha il fine di decidere come sfruttare (violare) attraverso l’estrazione del petrolio. Un luogo che il titolo nomina non a caso, che identifica un continente (quale altra cordigliera esiste che non sia quella delle Ande?) da sempre territorio da colonizzare e che è l’obiettivo del “diavolo” per eccellenza: gli Stati Uniti. E il diavolo, del resto, viene citato direttamente dal protagonista quando egli racconta un sogno d’infanzia a un medico chiamato ad assistere la figlia. E non è un caso che l’astuzia – e la riuscita trasformazione di Blanco in Presidente – avvenga nel momento in cui anche gli accordi con gli americani (del nord) vengono piegati al tornaconto politico (e personale?) del protagonista. Come se per essere davvero un capo di stato non sia necessario perdere solo la verginità, ma soprattutto l’anima.
LLorenzo Rossi, cineforum.it, 30 ottobre 2018
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