in collaborazione con:
CINEMA SOCIALE
S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna
PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS
Giovedì 27 febbraio 2020 – Scheda n. 18 (1074)
Van Gogh
Sulla soglia dell’eternità
Titolo originale: At Eternity’s Gate
Regia: Julian Schnabel
Sceneggiatura: Jean-Claude Carrière, Julian Schnabel, Louise Kugelberg.
Fotografia: Benoît Delhomme. Musica: Tatiana Lisovkaia.
Interpreti: Willem Dafoe (Vincent van Gogh),
Rupert Friend (Theodorus “Theo” van Gogh), Oscar Isaac (Paul Gauguin),
Mads Mikkelsen (il prete), Mathieu Amalric (dott. Paul Gachet),
Emmanuelle Seigner (Madame Ginoux, l’Arlesiana),
Niels Arestrup (un ricoverato in manicomio), Anne Consigny (la maestra).
Produzione: Iconoclast, Riverstone Pictures, SPK Pictures.
Distribuzione: Lucky Red.
Durata: 110’. Origine: Francia, Usa, 2018.
Julian Schnabel
Nato a Brooklyn, New York, da famiglia ebrea, nel 1951, Julian Schnabel è pittore e regista. Come pittore è ben conosciuto per i suoi grandi quadri, le sue mostre (e anche i suoi pigiami...). È un omone corpulento (più di 140 chili), se la cava bene sia come artista che come esperto del mercato dell’arte. È anche appassionato di musica e ha girato un bel documentario su Lou Reed. Laureato in arte all’università di Houston, ha allestito la sua prima mostra nel 1979 alla Mary Boone Gallery di New York. Ha sempre accresciuto viva via il suo successo come artista. Poi ha cominciato con il cinema. Primo film: Basquiat (1996) biopic, cioè film biografico, sulla vita del pittore Jean-Michel Basquiat, primo artista nero ad ottenere un riconoscimento internazionale. Nel film c’era David Bowie nei panni di Andy Warhol. Nel 2000 dirige Prima che sia notte, storia vera di uno scrittore e poeta cubano in esilio, interpretato da Javier Bardem, perseguitato per la sua omosessualità. Il film seguente è Lo scafandro e la farfalla (2007), premio per la miglior regia a Cannes, con Mathieu Amalric. Dopo Miral (2010) ha diretto questo Van Gogh - Sulla soglia dell’eternità (titolo originale: At Eternity’s Gate) presentato alla Mostra di Venezia.
Sentiamo Schnabel: «Può un film raccontare – seppure con il linguaggio che gli è proprio e alterando la dimensione temporale – l’intenso turbinio di sentimenti e di carica vitale che sono all’origine dell’atto del dipingere? È stata proprio questa apparente impossibilità ad attrarmi e a farmi decidere di realizzare Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità, il film con il quale ho cercato di cogliere aspetti spesso trascurati in altri film sugli artisti, offrendo una visione personale degli ultimi giorni di vita di Van Gogh, un artista diverso da tutti gli altri. Il ritratto di Van Gogh che emerge dal film deriva direttamente dalle mie reazioni ai suoi quadri, non da quello che è stato scritto su di lui. È stato mio collaboratore per la sceneggiatura anche Jean-Claude Carrière, scrittore e sceneggiatore. Insieme ci siamo detti: “È un film su un pittore, Van Gogh, di cui tutti conoscono la biografia. Sarebbe stato assurdo raccontarla ancora”. Così abbiamo immaginato scene che avrebbero potuto plausibilmente aver luogo, situazioni nelle quali Van Gogh avrebbe potuto trovarsi e cose che avrebbe potuto dire, ma che la storia non ha registrato...
Il progetto per Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità è nato in un museo. Avevo portato Jean-Claude Carrière al Musée d’Orsay per vedere una mostra dal titolo “Van Gogh/Artaud: il suicidato della società”, ispirata all’omonimo libro dello scrittore, poeta e visionario francese Antonin Artaud. Carrière è una leggenda del cinema, noto per aver collaborato per 19 anni alla realizzazione dei film del maestro del cinema Luis Buñuel (compresi Il diario di una cameriera, Bella di giorno e Il fascino discreto della borghesia), oltre che per aver scritto le sceneggiature di Danton, Il ritorno di Martin Guerre, L’insostenibile leggerezza dell’essere e Cyrano de Bergerac. Mentre ci aggiravamo tra i dipinti della mostra di Van Gogh – tra i quali “Ritratto dell’artista”, “La sedia di Gauguin”, “Ritratto del dottor Gachet”, “Augustine Roulin” e “Un paio di scarpe” - abbiamo cominciato a parlare di un film, e così l’idea ha preso vita in modo del tutto inatteso....
Quando sei davanti a singole opere, ciascuna ti dice qualcosa di diverso. Ma dopo aver visto 30 quadri di Van Gogh, come quel giorno al museo, l’esperienza diventa qualcosa di più. Diventa la somma di tutte quelle sensazioni messe insieme. È l’effetto che volevo ottenere con il film: rendere la struttura tale che ogni evento che vediamo accadere a Vincent potesse sommarsi ai precedenti, come se chi guardasse potesse vivere tutta la sua vita in un momento...
Tutti abbiamo una malattia terminale che si chiama vita. La pittura è una pratica che in un certo senso affronta la morte, perché è connessa alla vita ma in modo diverso, riuscendo a farti accedere ad un’altra dimensione. L’arte può superare la morte. Nel film il pubblico di Vincent non è ancora nato, ma questo non gli impedisce di fare quello che sente di dover fare. Quando lo osservi in mezzo a un campo, sorridente, mentre si butta addosso la terra, non è un pover’uomo. È un uomo che sente di essere al posto giusto al momento giusto, in perfetta sintonia con la vita...
Il fatto che io sia un pittore probabilmente rende il mio approccio diverso. Il tema trattato non potrebbe essere più personale per me. È una cosa sulla quale rifletto da sempre. Per me era fondamentale che il film fosse incentrato sull’atto concreto di porre il colore sulla tela. L’atto del dipingere doveva essere autentico, e volevo fare un film che riproducesse fedelmente ciò che i pittori pensano e anche quale sia il rapporto di noi artisti con altri pittori, compresi quelli che sono vissuti prima di noi. Inevitabilmente la storia doveva includere un altro pittore immortale: Paul Gauguin, che si recò con Van Gogh ad Arles, vivendo con lui per un certo periodo di tempo. Molto è stato detto della loro tempestosa relazione, e del ruolo che questo rapporto ha giocato negli attacchi di pazzia di Van Gogh. Ma io e Carrière eravamo molto più interessati a quale fosse la loro relazione come artisti, a immaginare quelle loro conversazioni sulla tecnica e la filosofia che nessuno ha mai potuto ascoltare. Eravamo interessati soprattutto al fatto che Van Gogh dipingesse a partire da modelli reali, mentre Gauguin dipingesse a partire dai ricordi e dall’immaginazione. Sono due modi diversi di vedere e abbiamo provato a immaginare come avrebbero discusso tra loro di questa differenza...
Willem Dafoe si è completamente immerso nel personaggio di Van Gogh. Il processo è stato quasi alchemico. Si potrebbe dire che Willem reciti una parte, ma si potrebbe anche dire che incarna uno spirito. Willem in realtà ha esplorato la propria dimensione artistica mentre raccontava la storia di qualcuno che era prima di tutto un essere umano. È l’unico attore che volevo per questo ruolo. E la sua interpretazione, grazie alla profondità della sua esplorazione del personaggio, alla sua fisicità e alla sua immaginazione, è andata ben oltre ciò che c’era scritto nella sceneggiatura».
La critica
Gli ultimi mesi di vita di Van Gogh (Willem Dafoe) narrati da un’artista della macchina da presa, Julian Schnabel. La necessità di dipingere, la gioia vitale e l’amore per la natura. La difficoltà di comunicazione e la rara amicizia avuta con Gauguin (Oscar Isaac). Tutte le emozioni e le sensazioni dell’uomo Van Gogh, viste attraverso i suoi occhi e attraverso la visione personale di Schnabel. Ventidue anni dopo il film su Michel Basquiat, Julian Schnabel torna a raccontare la vita di un artista. Van Gogh - Sulla soglia dell’eternità è un’opera biografica, ma fino a un certo punto; attinge da lettere, dalla biografia che tutti noi conosciamo e dalle leggende, ma soprattutto dai dipinti di Van Gogh e dalla pura immaginazione di Schnabel. Vincent Van Gogh diventa una sorta di prisma, da cui Schnabel trae le tematiche che a lui stanno a cuore per farle diventare universali. In primis la necessità dell’uomo di esprimersi e comunicare. Una necessità viscerale che diviene per Van Gogh, così come per Schnabel, l’unica ragione di vita. Ed è attraverso gli ultimi anni di vita dell’artista che Schnabel narra una storia universale. Per Van Gogh la pittura diventa contatto diretto con Dio attraverso la natura. Una natura nella quale s’immerge con gioia e voglia di vita, come nella sequenza dove per diventarne parte si sdraia in un prato e si getta la terra in faccia con immensa felicità. Quello di Vincent è un nuovo modo di vedere le cose, il mondo: nel film la distanza tra lo sguardo di Van Gogh e la realtà viene rappresentato con una divisione dello schermo; Schnabel confessa di aver preso spunto dalle lenti bifocali, per dare questa sensazione di due mondi che convivono. La sceneggiatura è di Jean Claude Carrierè, che ha collaborato anche con Buñuel e vinto l’Oscar alla carriera nel 2014. Nonostante fosse ormai in pensione, l’autore è stato affascinato dall’idea di Schnabel e ha deciso di sceneggiare la pellicola. Il risultato è un’opera vertiginosa, che vuole entrare nella testa dell’artista durante la creazione, dando la parola a tutti gli artisti e al loro mondo, alla bellezza e al puro piacere della pittura, senza critici e mercato a ostacolarli. E per restituire questa spontaneità, Julian Schnabel ha ideato un’impalcatura ad hoc per la sua macchina a spalla, rendendo così la ripresa fluida e naturale. Allo stesso modo Willem Dafoe, per dare veridicità a ciò che lo spettatore vede, ha dovuto imparare a dipingere. E di certo la tecnica ha funzionato perché la sua interpretazione spettacolare gli ha permesso di vincere la Coppa Volpi a Venezia e di certo rende più avvincente la corsa agli Oscar. Dafoe deve interpretare un Van Gogh di decenni più giovane, ma la durezza della vita l’ha reso uguale all’età natale dell’attore. Una differenza anagrafica che non è percepibile, grazie all’interpretazione di questo eccezionale protagonista. Oscar Isaac si rivela inoltre un partner perfetto: riesce a rendere la leggerezza, la differenza caratteriale di Gauguin rispetto a Van Gogh, l’armonia e lo scontro di due artisti così diversi e così vicini.
SSamantha Ruboni, silenzioinsala.it, 7 gennaio 2019
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