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Memorie di un assassino - Locandina del film
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Memorie di un assassino - Scheda del film

 

 

 
 

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE

S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

 

 

Giovedì 3 febbraio 2022 – Scheda n. 13 (1096)

 

 

 

 

 

 

Memorie di un assassino

 

 

 

Titolo originale: 살인의 추억 - Sar-in-ui chu-eok

 

Regia: Bong Joon-ho

 

Sceneggiatura: Bong Joon-ho, Kim Kwang-lim, Shim Sung-bo

Fotografia: Kim Hyung-ku. Musica: Iwashiro Taro.

 

Interpreti: Song Kang-ho (detective Park Du-man),

Kim Sang-kyung (detective Seo Tae-yun), Kim Roe-ha (detective Cho Yong-gu),

Song Jae-ho (sergente Shin Dong-chul), Byeon Hee-bong (sergente Gu Hee-bong),

Ko Seo-hie (Kwon Kwi-ok), Park No-shik (Baek Kwang-ho),

Park Hae-il (Park Hyeon-gyu), Jeon Mi-seon (Kwok Seol-yung).

 

Produzione: Lee Kang-bok, Sidus Pictures, CJ Entertainment.

 Distribuzione: Lucky Red, Academy Two.

Durata: 132’. Origine: Corea del Sud, 2003.

 

 

Bong Joon-ho

 

 

Il cinema della Corea del Sud è uno dei più prolifici al mondo. Da qualche decennio i film coreani arrivano anche in Occidente, vengono presentati nei maggiori festival internazionali dove vincono numerosi premi, poi girano anche nelle sale e incontrano il pubblico. Singolare è il caso del regista Bong Joon-ho che ha trionfato a Cannes nel 2019 e che, grazie alla Palma d’Oro di Parasite, ha visto venire recuperato e distribuito il suo film d’esordio Memorie di un assassino. Nato a Taegu, in Corea del Sud, nel 1969, Bong Joon-ho (봉준호), è uno dei grandi registi coreani, oltre che sceneggiatore e produttore. Figlio di un designer, si laurea in sociologia all’Università Yonsei alla fine degli anni ottanta. Appassionato di cinema fin dall’adolescenza, diventa membro di un cineclub e segue le orme di registi come il giapponese Shōhei Imamura e il taiwanese Hou Hsiao-hsien. Nel 2003 attira l’attenzione della critica internazionale, con il film che vediamo stasera e che è stato editato in Italia solo lo scorso anno, Memorie di un assassino, basato su una storia realmente accaduta nel suo paese. Il film ottiene un gran successo di pubblico e vince premi in diversi festival internazionali fra i quali il festival di San Sebastián e il Torino Film Festival. Nel 2006 gira un altro campione di incassi, The Host, presentato a Cannes. Del 2009 è Madre. Nel 2013 dirige Snowpiercer, che abbiamo visto al Cineforum (ricordate il treno che corre e corre sulla Terra ormai diventata un pianeta coperto di ghiaccio...). Dopo lo sconcertante Okja (2017), storia di un supermaiale creato in laboratorio, torna alla ribalta nel 2019 vincendo la Palma d’oro a Cannes con Parasite, più quattro Oscar: film, film in lingua straniera, regia e sceneggiatura originale. Il magnifico Parasite lo vedremo la prossima settimana.

Sentiamo Bong. «Questa è la domanda che mi girava per la testa quando ho scritto il mio romanzo: cosa succederebbe se un serial killer – che ama la letteratura e aspira a essere un poeta – perdesse la memoria? Può dimenticare tutto il suo passato, tutte le sue ignobili efferatezze compiute?...

Avevo partecipato tempo prima alla realizzazione di un film coreano nel quale la trama era molto simile al mio romanzo, infatti anche lì c’era come protagonista un malato di Alzehimer che aveva perso la memoria e una giovane ragazza. Ho pensato allora di scrivere un omaggio a questo film apportando però qualche cambiamento ai personaggi principali (per esempio, è da queste mie elaborazioni che è nata l’idea del serial killer). Poi per un periodo piuttosto lungo avevo dimenticato questa idea che invece, un bel giorno, mi è tornata in mente ed ho così voluto realizzare Memorie di un assassino...

Il personaggio del mio libro, da cui è tratto il film, è molto particolare. Per alcuni è chiaramente un demone, per altri invece è un ‘eroe’. Nei miei romanzi si incontrano quattro tipi di personaggi: il buono, il cattivo, quello complesso e quello cattivo/complesso. Non è facile da spiegare ma questa è una caratteristica che contraddistingue il mio modo di scrivere e, soprattutto, di tratteggiare la psicologia dei protagonisti. Di solito però quando si tratta di un romanzo breve, come Memorie di un assassino, cambio le carte in tavola e finisco per creare un personaggio che è semplice e cattivo allo stesso tempo. Si tratterebbe di un demone a questo punto, invece secondo il mio punto di vista, ho sviluppato un protagonista che non è né un demone né un eroe: è un personaggio che vive in una sorta di limbo, in bilico fra l’essere buono e giusto, e l’essere cattivo e complesso...

Memorie di un assassino è un dramma investigativo molto realistico, decisamente coreano. Non ci sono eleganti detective in stile FBI, con giacche di pelle e occhiali da sole scuri, come quelli che si vedono di solito nei film. L’abbinamento di un poliziotto cittadino e di un poliziotto di campagna potrebbe sembrare a prima vista una scelta convenzionale, ma persino l’investigatore che viene dalla capitale non corrisponde all’immagine di un detective di città che ama i rompicapi. Non è un thriller classico che mette insieme i tasselli di un puzzle, come nei più tradizionali film hollywoodiani. A colpirci soprattutto è la frustrazione e la rabbia dei due investigatori che vogliono disperatamente catturare l’assassino, ma alla fine non riescono a farlo. La loro crescente follia viene descritta in modo molto realistico...

Il film si differenzia da altri film drammatici di genere poliziesco poiché affronta un caso specifico che è realmente accaduto. Si distingue dagli altri nel suo ritrarre gli investigatori come veri esseri umani, dotati di un loro arco emotivo. Non troviamo nel film un investigatore da romanzo che si lancia in scene di azione o si innamora di una bella sospettata, né il film è un thriller intellettuale in cui rispettabili detective si confrontano con un rompicapo cerebrale d’alto livello. Cos’è un investigatore? Una persona che cattura i criminali. Mi sono concentrato sulle emozioni realistiche e intense dei detective che volevano disperatamente catturare il criminale, ma che fallirono...

Con questo film mi premeva comunicare diverse cose: il ricordo dell’omicidio; per i detective, il ricordo della frustrazione di non poter catturare l’assassino; per le persone vicine alle vittime, il ricordo da incubo di perdere le persone amate; per le persone che hanno attraversato quel periodo, il ricordo di come abbiamo vissuto quel caso triste e ridicolo insieme, il ricordo di quel caso.»...

 

 

La critica

 

 

Il vento dell’Est, che ha rivoluzionato l’assegnazione degli Oscar con quattro statuette vinte per la prima volta da un film coreano, Parasite, ha aperto le porte anche a un’altra regia di Bong Joon-ho, recuperata dalla distribuzione AcademyTwo. Si tratta di Memorie di un assassino, del 2003, secondo la rivista inglese Sight&Sound «uno dei film chiave del primo decennio del XXI secolo», premiato per la sceneggiatura al Festival di Torino. Adesso, sul grande schermo, si offre in tutta la sua bellezza, permettendo così allo spettatore non solo di apprezzare meglio il lavoro del regista Bong ma soprattutto di addentrarsi meglio nella conoscenza del cinema coreano, uno dei più prolifici al mondo. Ma anche dei più sorprendenti per i numerosi cambi di tono (presenti anche in Parasite), l’intreccio tra i generi e una recitazione lontanissima dai canoni occidentali. Memorie di un assassino inizia come un giallo. In una cittadina di provincia, si cominciano a rinvenire cadaveri di giovinette stuprate: una prima volta in un canale d’irrigazione agricola, poi in campo aperto. Tutte sono state legate e imbavagliate con la propria biancheria intima, un sasso in bocca per impedire loro di parlare prima di essere violentate e uccise. E la sera del delitto il cielo era immancabilmente piovoso. Siamo nel 1983, la Corea è ancora un paese profondamente classista, dove la polizia conserva un potere quasi intangibile e chi finisce nelle sue mani non se la vede mai bene. Succede così anche ai sospetti che il detective Park (Song Kang-ho) e il suo assistente Cho (Kim Roe-ha) vanno a cercare tra i minorati e i pervertiti della zona. Convinto di saper riconoscere gli assassini dagli occhi (bisogna aggiungere che i fatti gli daranno naturalmente torto?), Park pensa che i colpevoli debbano necessariamente nascondersi tra i rifiuti della società: prima un poveraccio con evidenti ritardi mentali, poi un feticista che sfoga nell’onanismo le sue repressioni, entrambi da umiliare quando non apertamente da torturare (i metodi d’interrogatorio fanno rimpiangere quelli della Gestapo) e soprattutto da indirizzare verso confessioni che non hanno niente di spontaneo. Perché questa discesa verso un realismo crudo e violento? Per spostare l’obiettivo dal film di genere al quadro sociale, dall’inchiesta poliziesca a un più ampio ritratto della società coreana. Per questo entrano in scena anche un detective decisamente meno sbrigativo e venuto da Seul (Kim Sang-kyung) insieme a una specie di «coro» fatto di giornalisti televisivi e della carta stampata con funzioni di «contropotere». E mentre i reporter hanno il compito, nell’economia del racconto, di ribadire un qualche tipo di sguardo «morale» (arrivano anche a far sostituire un capufficio della polizia, troppo compromesso con le torture dei detenuti), il detective indirizza l’inchiesta verso una possibile soluzione, con l’aiuto (metaforicamente significativo) di una semplice sergente della polizia (Ko Seo-hie), l’unica che sembra capace di cogliere i segnali che vengono dalla realtà. Così, verso la metà del film, Bong (che ha scritto la sceneggiatura con Shim Sung-bo a partire dal romanzo Come and See Me di Kim Gwang-rim) sembra voler abbandonare la trama gialla per aprirsi verso una descrizione corale e contraddittoria della Corea (del Sud), povera e repressiva ma anche violentemente maschilista, che vive un complesso di inferiorità verso gli Stati Uniti (il mito della Cia, quello dell’analisi del Dna) e si trova a fare i conti con un Male incomprensibile e sfuggente, da cui rischiano di essere sempre sconfitti (guardate la scena del confronto a tre nella galleria ferroviaria). Ma dove le persone riescono, anche se a fatica, a emanciparsi grazie a un processo di lenta maturazione. Che un finale ambientato nel 2003 si permette di rimettere in discussione con un ultimo, doloroso sberleffo.

PPaolo Mereghetti, corrieredellasera.it

 

 

 

 

 

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di      Bong Joon-ho

 

 

 

 

Uno dei migliori film visti negli ultimi anni. Un successo in tutto il mondo: di critica e di pubblico.

Loro, i poveri, e gli altri, i ricchi. Le case degli uni e degli altri: ben di più che diverse. Il sopra e il sotto: in casa e nella società. Non solo la lotta di classe. Anche la lontananza, la non identità, lo scantinato dei miserabili e la villa con giardino. Il nostro mondo com’è: senza comunanza.

Durata: 132 minuti.

 

Giovedì 10 febbraio, ore 21

 

Cinema Sociale di Omegna

 

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