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Scheda del film 176 Kb)
I predatori- Scheda del film

 

 

 
 

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE

S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

 

 

Giovedì 28 aprile 2022 – Scheda n. 25 (1108)

 

 

 

 

 

I predatori

 

 

 

Regia e sceneggiatura: Pietro Castellitto

 

Fotografia: Carlo Rinaldi. Musica: Ezio Bosso.

 

Interpreti: Massimo Popolizio (Pierpaolo Pavone), Giorgio Montanini (Claudio Vismara),

Pietro Castellitto (Federico Pavone), Manuela Mandracchia (Ludovica Pensa),

Dario Cassini (Bruno Parise), Anita Caprioli (Gaia),

Marzia Ubaldi (Ines), Nando Paone (Nicola Fiorillo),

Antonio Gerardi (Flavio Vismara), Vinicio Marchioni (venditore di orologi),

Renato Marchetti (Saverio), Liliana Fiorelli (Paola),

Giulia Petrini (Teresa).

 

Produzione: Fandango, Rai Cinema. Distribuzione: 01 Distribution.

Durata: 109’. Origine: Italia, 2020.

 

 

Pietro Castellitto

 

 

Nato a Roma nel 1991, è il figlio maggiore dell’attore e regista Sergio Castellitto e della scrittrice e sceneggiatrice Margaret Mazzantini. Si è laureato in filosofia alla Sapienza di Roma. Ha esordito a 13 anni con una particina nel film del padre Non ti muovere, basato su un libro della madre. Viene diretto dal padre anche in La bellezza del somaro (2010) e Venuto al mondo (2012). Recita in La profezia dell’armadillo (2018) e vince un Nastro d’argento. Nel 2020 dirige I predatori e vince il premio per la miglior sceneggiatura a Venezia, poi il David di Donatello e il Nastro d’Argento come miglior regista esordiente. Ha scritto il romanzo Gli iperborei, per Bompiani.

Sentiamolo. «Questo è un film corale. Però, i personaggi che qui si accavallano e si sfiorano e a volte si conoscono, non lo sanno. Ognuno di loro è solo, perso in quel tratto di vita dove nessuno sembra capirti e dove tutto vorresti andasse dall’altra parte. Invertire il corso per vivere la propria speranza: è questa la battaglia che combattono. Quanto amore e quanta ferocia servano, lo scopriranno sulla loro pelle. D’altronde, essere felici è un mestiere difficile. A volte, un mestiere da Predatori. Quando, ormai cinque anni fa, scrissi la prima versione de I predatori partii da Federico. Lui è il personaggio più autobiografico del film e in lui ho catalizzato il sentimento che anche negli ambienti più ‘illuminati’ ci siano quelle prerogative di alienazione e tristezza che possono portare un giovane ad armarsi. Non che io abbia mai pensato di mettere una bomba da qualche parte, mi riferisco piuttosto a quel carico di enorme frustrazione, tipicamente giovanile, che nasce dalla differenza che c’è tra quello che sei e quello che gli altri pensano tu sia. Un carico inquietante che può portare a gesti estremi. A me, fortunatamente, ha fatto scrivere un film. Questo. In più ritengo che si possa imparare molto bene questo mestiere di regista anche facendo altro. Ogni esperienza vissuta con passione potrà tornare utile. Le mie passioni di regista sono Nietzsche, Federer, Francis Scott Fitzgerald, Lars Von Trier, Scorsese, Woody Allen, l’economia, la filosofia, la cucina, etc... Il cinema parla di tutto. È evidentemente impossibile trovare l’equazione magica per imparare a farlo. Il sacrificio e la sincerità verso se stessi sono, oggi più di ieri, requisiti fondamentali per esistere nel mercato, soprattutto se si è giovani. Ripercorrere la propria vita senza scordarsi della morte, e poi, soltanto poi, guardare molti film, frequentare i set, leggere i copioni. Bisogna arrivare al cinema passando per il tutto. Guai a fare il contrario...

Ho provato a scrivere un film a 22 anni paradossalmente perché ho avuto la fortuna di conoscere abbastanza presto il fallimento come attore, e ho rinunciato a farlo. Le opere prime scritte da giovani nascono da un disagio, da sentimenti che non pretendono di imporre un messaggio. Qui il sentimento centrale di Federico, che è il personaggio che muove il film ed è l’unico personaggio autobiografico, è questo carico di frustrazioni che riguardano l’impossibilità di reinventare il mondo. Ma non in senso retorico, nel senso di manometterlo. Io mi sono laureato in filosofia. Nietzsche non passa per caso. Se non avessi incontrato Nietzsche questo film non esisterebbe. Sono partito da La volontà di potenza, sono partito dalla fine...

Delle due famiglie del film la proletaria e fascista paga, mentre l’altra no. Perché c’è una classe che per essere predatrice ha bisogno delle armi, l’altra invece possiede armi diverse, molto più raffinate e più funzionali in quest’epoca. Pur mettendo proletari fascisti in scena, il mio non è un film antifascista ma antiborghese. I miei fascisti sono molto colorati, sono come gli animali che hanno pigmenti della pelle vivacissimi per far credere di essere velenosi, ma non hanno più veleno. Lo squadrismo cambia faccia, si fa sempre più raffinato...

Vedo in rete le foto di questi ragazzi che fanno questo mestiere del cinema, magari non sono ‘figli di’, ma li vedevo sempre al bar ’giusto’, alla ‘prima’ giusta, come se seguissero un percorso dentro il sistema. Io scrivevo queste cose al computer, e non mi tiravano le ciabatte, piacevano...

Essere figlio di Sergio Castellitto mi ha dato una mano? La risposta è no. I vantaggi li notano tutti. Gli svantaggi, che annullano i vantaggi, non li nota nessuno. Spesso ho avuto i bastoni tra le ruote. I vantaggi magari fanno sì che nell’ambiente tu non sia uno sconosciuto. Ma posso farti l’elenco di ‘figli di’, con genitori più ammanicati dei miei, che hanno fatto le scuole migliori del mondo ma non ce la fanno. Tra i miei coetanei ci sono riusciti solo i miei amici, i fratelli D’Innocenzo, e non sono figli d’arte».

 

 

La critica

 

 

Pietro Castellitto non è l’unica giovane promessa di questo anno così complicato per il cinema e per la vita in generale. Il film italiano più chiacchierato dell’anno è senza dubbio Favolacce dei fratelli Fabio e Damiano D’Innocenzo, già premiati ai Nastri d’Argento per la migliore opera prima con La terra dell’abbastanza. Non è un caso che condividano due riconoscimenti analoghi, per due film che fanno della scrittura il loro più grande punto di forza. Silenziosa in Favolacce, che lascia al fascino del non-detto la ricostruzione del prima e del dopo di un mondo dai contorni eterei. L’altra – quella dei Predatori – ipertrofica, variopinta, ricca di riferimenti e ispirazioni, che si abbandona spesso invece a un equilibrato nonsense. Il primo è miglior sceneggiatura a Berlino, I predatori nella sezione Orizzonti della Mostra del cinema di Venezia. Vanno così a formare un dittico curioso, non solo per i riconoscimenti che il cinema italiano ottiene nei grandi festival. Entrambi partono dall’universo del conurbato di Roma, spingendo al limite i paradossi di una società che relega gli ultimi dietro gli ultimi. Dove però Favolacce si avviluppa in una spirale inesorabile, tra un’apocalisse sociale e una condanna generazionale che suona come una sentenza di morte, I predatori sceglie una strada completamente diversa. Se l’universo di Favolacce sembrava sospeso nello spazio e nel tempo di una Spinaceto praticamente immateriale, Castellitto torna nella realtà fisica di Roma. Al monismo sociale dei D’Innocenzo, che confezionano un ritratto in campo medio della casta plebea, I predatori sostituisce due mondi in rotta di collisione. Roma e Ostia, borghesi e borgatari, entrambi accomunati da una profonda crisi identitaria: due mondi distanti e incompatibili, ma forse sottilmente connessi da eventi imprevedibili. E il passo dalla dialettica di un contraddittorio al grottesco è brevissimo, se a Pietro Castellitto non interessa assolutamente la via al cinema di denuncia. Le contraddizioni sociali vengono assunte come un postulato praticamente naturalistico, mentre il discorso filmico verte su tutt’altra materia. Da questi due mondi che collassano l’uno sull’altro Castellitto è stato capace di estrarre la carica grottesca di una realtà complessa e beffarda, che si fa parodia di se stessa. Così ne parla Mejerchol’d nel suo saggio Del Grottesco. Castellitto sembra fare fede a questa definizione, facendo del grottesco il proprio paradigma. L’atmosfera straniante non è definita a priori, ma è ottenuta da numerosi accorgimenti sia in fase di scrittura, che di messa in scena. E se spesso nei tempi scenici dilatati Castellitto trova l’ingrediente chiave del suo bizzarro carnevale, è nella recitazione il cuore pulsante dei Predatori. Ciascun membro del nutrito cast offre un’interpretazione capace di essere allo stesso tempo sopra le righe e perfettamente inserita nell’atmosfera dell’opera. Ma d’altronde, ancora Mejerchol’d, individuava proprio nell’attore e nel suo lavoro di autenticità sul personaggio il fulcro del grotesque. Il personaggio di Federico si presta alla perfezione per questo tipo di approccio profondamente teatrale. Pietro Castellitto ha sviluppato I predatori proprio intorno al ruolo da lui interpretato, facendone un carattere centrale, capace di essere il suo degno alter-ego non solo a livello fisico, ma anche veicolo della sua visione del cinema. Federico vive quindi in bilico tra due tensioni naturalmente opposte. Da un lato è un tassello essenziale dello strambo coro di personaggi che nutre questa tragicommedia, dall’altro tenta di elevarsi a eroe, catalizzando la tragedia. Ed è qui che nasce lo stravagante di un ragazzo che tenta di sovvertire un mondo accademico che lo rifiuta. In fondo il tema de I predatori è chiaro. Non ci sono prede, ma solo persone che inseguono disperatamente qualcosa, talvolta identificato con la felicità. Come Federico, tutti i personaggi si rivelano profondamente distruttivi e autodistruttivi. Nella perpetua ricerca tutti finiscono per danneggiare qualcuno, ma il film glissa ironicamente sulle colpe e i fantasmi di ognuno di loro. Così I predatori toglie la veste della tragedia corale per mostrare la miscela esplosiva di commedia che è nella sua essenza. Dalla situation comedy a punte di screwball e slapstick, senza mai rinunciare a quel black humour che si trasforma, senza alcuna remora, in politically incorrect. A metà strada tra alcune sceneggiature di Virzì e Brutti, sporchi e cattivi di Ettore Scola, Pietro Castellitto firma una grande pièce. Dimostrando di saper padroneggiare le forme elementari del linguaggio cinematografico, I predatori è davvero un esordio imperdibile.

LLeonardo Di Nino, 22 ottobre 2020, lascimmiapensa.it

 

 

 

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Alice e il sindaco

 

 

di      Nicolas Pariser

 

 

 

 

 

Lione. Alice, laurea in filosofia, deve aiutare il sindaco e fornirgli buoni spunti.

La politica sclerotizzata. Il ruolo degli intellettuali. Un film più efficace e vitale di tante analisi di politologi e giornalisti. Alice è flessibile. La politica come capacità di confronto, ascolto, idee. Aria fresca: “la politica è pensiero in movimento”.

Durata: 103 minuti.   

 

Forza!! Compilate il questionario.

Premi a Natale!!!

 

 

Giovedì 5 maggio, ore 21

 

Cinema Sociale di Omegna

 

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