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Scheda del film 183 Kb)
Alice e il sindaco - Scheda del film

 

 

 
 

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE

S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

 

 

Giovedì 5 maggio 2022 – Scheda n. 26 (1109)

 

 

 

 

 

 

 

Alice e il sindaco

 

 

 

Titolo originale: Alice et le maire

 

Regia e sceneggiatura: Nicolas Pariser

 

Fotografia: Sébastien Buchmann. Musica: Benjamin Esdraffo.

 

Interpreti: Anaïs Demoustier (Alice Heimann), Fabrice Luchini (Paul Théraneau),

Antoine Reinartz (Daniel), Léonie Simaga (Isabelle Leinsdorf),

Nora Hamzawi (Mélinda), Maud Wyler (Delphine Bérard),

Alexandre Steiger (Gauthier Bérard), Pascal Rénéric (Xavier Blasquez),

Thomas Rortais (Pierre), Thomas Chabrol (Patrick Brac),

Michel Valls (Philippe Paquet), Claire Galopin (segretaria del sindaco),

Manon Kneusé (Claire), Lucie Gallo (Marie),

Gwenaëlle Simon (Armelle), Pierre Cuq (Yvan).

 

Produzione: Bizibi, Emmanuel Agneray, Serge Hayat, Genevieve Lemal, Olivier Père.

Distribuzione: Movie Inspired.

Durata: 103’. Origine: Francia, 2019.

 

 

Nicolas Pariser

 

 

Nato a Parigi nel 1974, Nicolas Pariser ha realizzato alcuni cortometraggi, poi un primo lungo Le grand jeu (2015), passato a Locarno e premiato con il Prix Louis-Delluc, quindi questo Alice e il sindaco. Non si sa altro su di lui.

Sentiamolo. «L’idea che mi interessava era di fare un film su una star. Sono molto cinefilo e mi piacciono molto i film che chiamano ‘veicoli’, cioè quelli che si basano sulla presenza di un grande attore. È una sfida anche di carattere industriale ed economico che mi interessa molto e che riassume bene la natura del cinema che è un’arte e un’industria. Mi piaceva mettermi al servizio di una star, come Fabrice Luchini...

All’origine del film c’era proprio la voglia di lavorare con lui, un attore che ammiro da molto tempo. Avevo anche un altro progetto su una ragazza che non sa cosa fare della sua vita e prova un mestiere diverso dopo l’altro. Si è laureata in scienze politiche e quindi vuole impegnarsi in politica, poi fa del teatro, si mette alla prova con il digiuno: cerca se stessa perché non sente una vera vocazione. Ho mescolato questi due progetti, ma avevo l’impressione che mancasse ancora qualcosa. Allora mi è venuto in mente L’uomo senza qualità di Robert Musil, di cui uno dei primi film amatoriali che avevo girato quando ero studente era un vago adattamento. Per me è davvero un libro fondamentale, il libro cardine dei miei 25 anni. Musil mi ha aiutato a legare i miei due progetti. L’idea di Lione 2500 in Alice e il sindaco, per esempio, è ricalcata sull’Azione Parallela di Musil, ovvero la costruzione di un grande evento politico che nel romanzo si rivela un guazzabuglio inconcludente...

Avevo anche in mente il cinema di Éric Rohmer. Sono stato molto influenzato da Rohmer. All’inizio, volevo che il film fosse una semplice successione di scene tra Alice e il sindaco, una sorta di serie di ‘dialoghi filosofici’. Allora ho costruito un racconto intorno a delle grandi sequenze dialogate, che è poi la struttura di molti film di Rohmer. Tra l’altro, i soli corsi pratici di cinema che abbia mai seguito sono stati proprio quelli di Éric Rohmer alla Sorbonne. Il mio debito nei suoi confronti, come cineasta e come professore, è infinito...

Mi piace anche che Rohmer si presentasse come un regista di film d’azione, in quanto la parola non aveva per lui solo valore in se stessa, ma era anche un’azione. Il dialogo è una delle modalità d’azione dei personaggi...

Così, ne La mia notte con Maud di Rohmer, per esempio, i personaggi parlano della ‘scommessa’ di Pascal durante una cena a Clermont-Ferrand, ma la scena racconta in effetti la nascita di una contorta relazione amorosa a tre. Sono la regia, i gesti degli attori, le loro espressioni e la loro maniera di usare la parola per sedurre o convincere che costituiscono il cuore del film...

Nel mio film, i personaggi parlano solo di politica: era una delle sfide iniziali e credo di averla vinta. In compenso, quello che il film racconta non può essere ridotto al contenuto di queste conversazioni, ma le anime dei personaggi si rivelano attraverso di esse. Almeno è quello che spero...

Secondo me la direzione degli attori non esiste. Nel momento in cui ho scelto Fabrice Luchini, e dato che c’è un copione estremamente rigido e che lui lo interpreta da grande attore qual è, non ho nessun bisogno di dirigerlo. Per me, la ‘direzione’ sta nell’avergli imposto quel testo preciso. Anche Anaïs Demoustier è un’attrice straordinariamente dotata e così non c’è stato bisogno di dirigere nemmeno lei. Ha la grande capacità di riuscire a rendere naturale e vivo qualsiasi copione. Il mio lavoro consiste semplicemente nello stabilire i limiti all’interno dei quali i miei attori possano ‘vivere’...

Ho scelto di girare in pellicola, in 35mm. Prima di tutto perché non amo il digitale, di solito mi sembra molto brutto. Purtroppo oggi, in Francia, il digitale è spesso una semplice questione di risparmio nel budget di un film e non si riflette abbastanza su quello che comporta. In effetti, quello che mi infastidisce è girare in digitale come se fosse in 35mm, mentre risulta inevitabilmente peggiore per la pelle dei personaggi, i colori, la grana dell’immagine. E poi siamo ancora in un’epoca in cui la memoria dei film che abbiamo amato è fatta di film girati su pellicola. Non penso che si possa passare così dal nitrato d’argento al digitale senza riflettere su quello che facciamo e senza considerare la perdita immensa che comporta...

Non riesco a odiare davvero i politici. Credo che sia sterile. Possiamo odiare e combattere un sistema di potere, ma metterlo esclusivamente sulle spalle dei politici, questo mi sembra assurdo. Non volevo, dunque, presentare un uomo politico condannabile semplicemente perché fa quel mestiere. D’altra parte non volevo nemmeno essere indulgente e che si potesse dire «fa del suo meglio!». Non bisognava sottovalutare il fallimento a cui partecipa. È stato un equilibrio difficile da trovare».

 

 

La critica

 

 

Alice si dirige a passo svelto verso il municipio di Lione, attraversa le strade, scende le scale, accelera per non essere in ritardo. Un motivetto la accompagna attraverso la città mentre diventa sempre più piccola nel campo che si allunga; e la segue ancora dentro all’enorme palazzo, sotto gli immensi lampadari di cristallo, lungo i corridoi che la portano a un anonimo ufficio con una scrivania. Alice si guarda intorno negli ambienti rispetto ai quali non ha dimensione appropriata né look appropriato. Non è sgomenta ma in attesa di capire cosa dovrà fare. Dura appena poco più di un minuto l’attesa prima che Alice - e lo spettatore con lei - venga fiondata direttamente nel vivo dell’azione. Non si sa nulla di lei, se non che ha lasciato Oxford per un impiego cancellato prima ancora del suo arrivo. E ora? Cosa può fare una filosofa che esattamente filosofa non è per un politico di lungo corso estenuato dalla routine stessa del suo lavoro? Semplice: fornirgli delle idee. Non come un consigliere ma come una specie di tutor per il pensiero che si è inceppato. La sclerotizzazione della politica. La mancanza di idee (e di capacità di leggere la contemporaneità). Il ruolo degli intellettuali. Sono già tutti in scena nei primi cinque minuti gli elementi intorno ai quali ruota Alice e il sindaco, opera seconda di Nicolas Pariser che il film lo ha scritto oltre che girato. Una sceneggiatura attuale e puntuale, capace di parlare delle derive dell’oggi con un’intelligenza che raramente si riscontra al cinema (e non solo). Più efficace di tante analisi di politologi, di tanti saggi di giornalisti specializzati, certo più diretto di tante maratone tv e più ficcante di tanti interventi pubblici, Alice e il sindaco solleva questioni senza mai deliberare, argomenta senza mai diventare verboso, problematizza senza mai diventare sterile. Alice e il sindaco è una piccola lucida – straziante eppure leggera, drammatica eppure propositiva – analisi di quest’epoca; un’epoca in cui ‘i giovani’ intellettuali non riescono a guardare al futuro perché non sanno più chi sono, cosa amano e perché si sono impegnati tanto, mentre ‘gli anziani’, che nei posti di potere continuano a sederci, guardano al domani senza più capire veramente neppure le esigenze dell’oggi. Giovani contro vecchi, padri contro figli, generazioni che non dialogano e non si capiscono, ognuno arroccato dentro e dietro le proprie frustrazioni e le proprie consuetudini acquisite. Non per Pariser però che ha la capacità di trasformare la sterilità della lamentela nella vitalità della proposizione. Il sindaco sa perfettamente chi è, qual è il suo ruolo, la sua vita, la sua posizione, il suo lavoro e dunque la sua identità. Eppure è perso, così perso da essere disposto ad ascoltare. Alice, al contrario, non ha convinzioni né punti di riferimento se non la sua capacità di ragionare e di mettere a frutto le sue letture; eppure può aiutarlo a ritrovarsi proprio perché le viene data la possibilità di essere ascoltata. La sua indefinitezza infatti vuol dire anche malleabilità, flessibilità, capacità di adattamento, resilienza ed è quello che serve. Se ascoltata. Guardando un po’ a Rohmer e molto al reale che lo circonda, citando senza spocchia filosofi, scrittori e grandi intellettuali, Pariser gira un film politico per davvero che costruisce una via senza negare le storture del sistema ma provando a riportare la politica alla sua essenza: la capacità di confronto, di ascolto, di pensiero. Alice e il sindaco infatti – facendo ripetutamente appello alla necessità della modestia – non sono in conflitto né personale né generazionale ma, piuttosto, cercano un dialogo per costruire qualcosa. Qualcosa di così normale da diventare impossibile per i più. Lo mostra perfettamente il bellissimo piano sequenza che li vede spalla a spalla scrivere (inutilmente) il discorso del sindaco deciso a proporsi per la corsa all’Eliseo: lei suggerisce, lui accoglie, lei corregge, lui puntualizza. D’altra parte “la politica è pensiero in movimento”, dice Pariser, ed è capacità di ascolto, aggiungiamo. E forse basterebbe ritornare all’essenza di queste affermazioni per tornare anche a credere che ci sia una via per una normalità costruttiva.

CChiara Borroni, 5 febbraio 2020, cineforum.it

 

 

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Drive My Car

 

 

di      Ryûsuke Hamaguchi

 

 

 

Ultimo film. Coreano. Di Ryūsuke Hamaguchi, di cui abbiamo visto Il gioco del destino e della fantasia.

Tutte, proprio tutte le recensioni dicono che questo Drive My Car è un capolavoro. Accolto a Cannes con grande esultanza, il film deriva da un racconto di Murakami.

Film dalle molte facce. Il regista. Il teatro: Čechov, Zio Vanja. La ragazza che gli fa da autista. Gli attori. L’attrice che recita con i segni. Tokyo. Hiroshima, la fredda isola di Hokkaido. Il viaggio come ricerca di un senso della vita e della propria intimità.

Consiglio: abbandonarsi al film, molto, molto lungo.

Durata: 179 minuti (!).

 

Compilate il questionario. Premi a Natale!!!

 

 

Giovedì 12 maggio, ore 21

 

Cinema Sociale di Omegna

 

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