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Locandina del film
Locandina del film
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Scheda (pdf - 230 KB)
Lady Henderson presenta - Scheda del film
CINEFORUM ARCIFIC OMEGNA
quarantatreesima stagione


in collaborazione con:

CINEMA SOCIALE – S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS


Giovedì 19 ottobre 2006 – scheda n. 1 (704)


Lady Henderson presenta

Titolo originale: Mrs. Henderson Presents
Regia:
Stephen Frears
Sceneggiatura:
Martin Sherman. Fotografia: Andrew Dunn.
Montaggio: Lucia Zucchetti. Musica: George Fenton.
Scenografia:
Hugo Luczyc-Wyhowski.
Interpreti: Judi Dench (la signora Laura Henderson), Bob Hoskin (Vivian Van Damm),
Will Young (Bertie), Kelly Reilly (Maureen), Christopher Guest (Lord Cromer),
Thelma Barlow (lady Conway), Anna Brewster (Doris).
Produzione: Heyman-Hoskins Productions. Distribuzione: Bim.
Durata: 103’. Origine: GB, 2005.


Il regista

L’ultimo film di Stephen Frears, nato a Leicester nel 1946, è il bellissimo The Queen, accolto a Venezia con grandi applausi e notevole consenso critico. Frears è una delle figure più significative della Rinascita del cinema inglese degli anni Ottanta. Dopo gli studi in legge a Cambridge si innamora del teatro, poi passa al cinema come assistente alla regia per Karel Reisz e Lindsay Anderson, due tra i massimi esponenti del Free Cinema, esordisce nella regia con Gunsmoke (1971), passa alla tv per ben 12 anni, torna al cinema con Vendetta (1984) e da allora firma alcune delle opere più interessanti del cinema britannico, tra le quali vanno segnalate (e molte le abbiamo presentate al Cineforum) My Beautiful Laundrette, Sammy e Rosie vanno a letto (1987), Le relazioni pericolose (1988, tre Oscar), Eroe per caso (girato negli Usa, 1992), The Snapper (1993) e The Van, scritti in collaborazione con il romanziere Roddy Doyle, quindi Mary Reilly (1996, inquietante rilettura del Dr. Jekyll e Mr. Hyde, con Julia Roberts), l’americano Hi-Lo Country, Alta fedeltà, Liam, Piccoli affari sporchi e infine The Queen.

La critica

È ispirato a un episodio storico, come il cinema ama farci sapere sempre più spesso. È un film sul teatro, ma non un musical. È una commedia di una strana coppia, che lascia il sospetto lieve di una love story impossibile. Difficile ascrivere a un genere preciso Lady Henderson presenta. Più semplice dire che è un film incantevole, leggero e commovente, pittoresco e divertente; ma tutt’altro che privo di unghie. Dove - soprattutto - commedia e dramma si compenetrano in un’armonia che, ormai, sullo schermo s’è fatta merce rara. Tutto ha inizio nel 1937. Sepolto il marito, l’aristocratica vittoriana Laura Henderson si trova, quasi ottantenne, senza nulla da fare. Nulla d’interessante per un tipo come lei, almeno. Disdegnando i consigli delle amiche, la signora compra un teatro a Soho e assume un burbero direttore artistico, Vivian Van Damme. Come toccati dal colpo di fulmine alla rovescia, pare che i due non sappiano far altro che litigare. Però il Windmill Theatre è destinato a entrare nel mito. Angolo di Moulin Rouge nel cuore della bigotta Londra, (…) allo scoppio della guerra, diventa il simbolo di una doppia resistenza: contro la censura del governo e contro i bombardamenti tedeschi che dilaniano la città. Unico teatro mai chiuso (il gioco di parole era close/clothe, “noi non ci copriamo mai”) durante i peggiori giorni del conflitto, a dar la misura della tempra della lady di ferro. La quale non è soltanto una vecchia eccentrica, ma custodisce un segreto che la spinge a proteggere i soldati britannici donando loro qualche momento di felicità. Se gli attori troppo bravi possono dare ai nervi, non questo è il caso della sublime Judi Dench (ineccepibile la sua candidatura ai Golden Globe). Bisogna vederla duettare con Bob Hoskins animando una coppia di personaggi agli antipodi, ma di pari testardaggine, che battibeccano, s’insultano, si provocano, si ammirano e che, dopo un po’, ti sembra di conoscere personalmente. Come vorresti conoscere la bionda Kelly Reilly, e non solo per le morbide grazie che offre allo sguardo. Da quell’eclettico snob che è, Stephen Frears lascia agli attori tutto lo spazio vitale di cui necessitano. Poi, quasi senza parere, ne ritaglia uno per se stesso: spolvera via lo strato di manierismo rétro che tende a depositarsi sulle storie d’epoca, imprime al succedersi delle sequenze un ritmo vivace, si lascia andare con naturalezza sia all’istinto ludico, sia alla voglia di commuovere. E gioca beffardo col voyeurismo dello spettatore: il che, al cinema, non è mai casuale.
Roberto Nepoti, La Repubblica, 6 gennaio 2006

A Londra nel 1937, una gran dama in gramaglie assiste al funerale del marito, alto funzionario britannico in India. La signora, da sola, si ritira su una barca in mezzo a un laghetto per piangere in solitudine; sfogato il dolore, torna a casa per accudire gli ospiti della veglia funebre. E qui, con un’amica medita sui passatempi preferiti delle vedove altolocate: ricamo? beneficenza? gioielli? amanti? Poco portata per tutte queste attività, Laura Henderson finisce per comprare un teatro in disuso, assume un direttore, e rifonda il Windmill Theatre, il “cugino” povero del parigino Moulin Rouge, che come questo trionferà con il music-hall arricchito di ragazze nude. Tableaux vivants, immobili sulla scena in pose “artistiche”, per venire incontro alla morale corrente, più pruriginosa e bigotta, d’Oltremanica. Ispirato alla storia vera di Mrs. Henderson e di Vivian Van Damm (il suo direttore) e del Windmill, che fu l’ultimo teatro londinese a chiudere i battenti sotto i bombardamenti tedeschi, Lady Henderson presenta è il bell’omaggio di Stephen Frears al cinema inglese che più gli piace, le commedie anni ’40 e ’50 della Ealing (che produsse un delizioso film sul music-hall, Champagne diary di Cavalcanti) e il documentarismo anni ’30 (che viene citato con appropriata intensità attraverso i materiali di repertorio che descrivono i blitz nazisti su Londra, gli incendi, le distruzioni, tratti dalle opere di Humphrey Jennings, soprattutto da Fires Were Started. Autore di A Personal History of British Cinema (il corrispettivo inglese del lavoro di Scorsese sul cinema americano), in quel documentario Frears rivendicava la superiorità del cinema britannico piccolo e battagliero (appunto Ealing, documentarismo e Free Cinema) su quello più internazionale; una linea che per altro l’autore non ha mai smentito, ritornando sempre, tra un film hollywoodiano e l’altro, alla “presa diretta” di commedie irlandesi come The Snapper e The Van o di ruvidi drammi urbani come Piccoli affari sporchi. Qui, sorretto da due interpreti straordinari come Judi Dench (impagabile eccentrica) e Bob Hoskins e dalla sceneggiatura affilata di Martin Sherman, riesce a restituire il sapore di un’epoca, del suo cinema e del suo spirito, fatto di solidarietà collettiva e di quotidiana inventiva, di grandi dolori ed enorme, disillusa autoironia. Dove però l’illusione della scena (e dello schermo) scaldava ancora il cuore.
Emanuela Martini, Film TV, 12 gennaio 2006

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