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Scheda pdf (173 KB)
About Elly - Scheda del film

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALES.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Giovedì 3 febbraio 2011 – Scheda n. 14 (826)

 

 

 

About Elly

 

 

 

Titolo originale: Darbareye Elly (A proposito di Elly)

 

Regia, sceneggiatura, scenografia, costumi: Asghar Farhadi

 

Fotografia: Hossein Jafarian. Montaggio: Hayedeh Safiyari. Musica: Andrea Bauer.

 

Interpreti: Golshifteh Farahani (Sepideh), Taraneh Alidoosti (Elly),

Mani Haghighi (Amir), Shahab Hosseini (Ahmad),

Merila Zarei (Shohreh), Peyman Moadi (Peyman),

Rana Azadavir (Nassi), Ahmad Mehranfar (Manouchehr), Saber Abar (Alireza).

 

Produzione: Dreamlab. Distribuzione: Mediaplex.

Durata: 119’. Origine: Iran, 2009.

 

 

 

Asghar Farhadi


Nato nel 1972 a Ispahan, in Iran, Asghar Farhadi studia all’Istituto del Giovane Cinema Iraniano e vi realizza i primi corti. Lavora per la tv, scrive sceneggiature, debutta con Dancing in the Dust (2003), seguito da Beautiful City (2004) e da Fireworks Wednesday (2006), vincitore a Locarno. Questo Darbareye Elly (A proposito di Elly, la distribuzione italiana ha, scioccamente, messo il titolo inglese), ha vinto l’Orso d’Argento per la regia a Berlino.

Sentiamo Farhadi: «Non potrei definire il film con una parola sola: About Elly può essere letto come un film a sfondo sociale, come un film politico o un film morale. Direi che la morale è il suo soggetto principale e parlando di morale si parla inevitabilmente anche del significato della verità. In effetti, tutti i personaggi del film parlano molto di Elly però noi ci rendiamo conto che più loro ne parlano meno veniamo realmente a saperne di lei. In questo senso se dovessi immaginare un altro titolo per il film questo sarebbe: E voi che ne pensate di Elly?... Ho usato molti piani medi e pochi primi piani. Questa prospettiva mi permette di mostrare i miei personaggi senza pregiudizi. Se avessi fatto dei primi piani avrei in qualche modo forzato un giudizio, una presa di posizione, lo stesso sarebbe successo anche utilizzando dei campi molto lunghi. Ho cercato di mantenere per ciascuno dei miei personaggi questa distanza nelle riprese e penso di avere optato per la soluzione giusta... La storia si svolge nell’arco di tre giorni; un giorno e mezzo c’è il sole e poi il tempo diventa nuvoloso. Abbiamo cercato di attenerci scrupolosamente a questo piano, cosa che non è stata semplice. Il cambio della luminosità va di pari passo con il cambio dei colori; nella prima parte del film dominano le tonalità calde, il rosso, il giallo, mentre nella seconda parte, dopo la scena del cervo volante, prevalgono le tonalità fredde come il blu e il grigio. Questa stessa logica determina anche il modo di usare la cinepresa: le prime scene sono state girate tutte con una cinepresa fissa, dal momento però in cui il bambino cade in acqua in poi la cinepresa è portata a mano fino quasi alla fine del film. Verso la fine - quando l’enigma della scomparsa di Elly è ormai risolto - la cinepresa ritrova la sua posizione fissa... Volevo instaurare subito una sensazione d’ansietà e di pericolo. Nella prima scena del film i protagonisti, prima di partire, fanno delle offerte votive per scongiurare i pericoli del viaggio; questa è una tradizione molto antica in Iran. La casa in riva al mare dove sono costretti ad alloggiare a causa di un equivoco è scalcinata, sporca, le finestre sono rotte. I bambini, come impazziti, corrono sempre verso l’acqua in un crescendo continuo che culminerà con la scomparsa di Elly. Il modo in cui ho scritto la sceneggiatura del film riflette molto probabilmente una particolarità culturale del mio paese: la gente vive con la sensazione che la felicità e la fortuna siano effimere e fugaci. Nel momento stesso in cui ci si sente felici, si ha paura che possa succedere qualcosa di male, si pensa già al peggio. Questa attitudine ha senza dubbio a che vedere con la nostra storia: l’Iran non ha mai conosciuto una fase di pace e di serenità di lunga durata... Il film ha una dimensione politica, anche se espressa in maniera sottile. Dal momento in cui si parla di un individuo e del suo rapporto con un gruppo si è già nell’ambito del politico. Ci si aspetta che un film politico debba per forza esprimere un messaggio, una rivendicazione in modo esplicito come una sorta di manifesto. A mio avviso un film più che affermare, imporre un sistema di pensiero, deve essere uno spazio che invita lo spettatore ad intraprendere un cammino intellettuale proprio, a porsi delle domande, a riflettere.  È in questo spirito che ho creato About Elly... Il bene in ciò che è successo in questi ultimi tempi in Iran, mi riferisco in special modo a noi registi iraniani, è che abbiamo acquisito una nuova immagine del nostro popolo. Adesso guardiamo la gente sotto un’altra luce; prima, non sapevamo assolutamente che nel paese esistessero delle persone di questo tipo. Non lo sapevamo neanche di noi stessi! È stata una sorpresa in tutti i sensi; non mi riferisco solo al fatto che la gente sia scesa per strada a dimostrare unita ma anche al fatto che lo abbia fatto in maniera civile. Finora avevamo sempre creduto che la popolazione si fosse semplicemente adattata,  per forza maggiore,  al governo e alla situazione in Iran. Abbiamo capito che non è così: la gente ha dimostrato di essere molto più avanti rispetto a noi artisti, i suoi problemi sono molto più seri e gravi dei nostri e la sua volontà di cambiare le cose molto più tangibile. Personalmente negli ultimi mesi ho cercato di scusarmi - dappertutto dove ho potuto - per avere avuto in passato un’opinione negativa sulla popolazione iraniana. I registi iraniani, se agiscono in modo onesto, dovrebbero mostrare d’ora in avanti nei loro film un’immagine nuova del popolo iraniano. Il popolo si è veramente mostrato sotto una luce nuova, con un volto nuovo e noi abbiamo il dovere di riflettere in maniera adeguata questa realtà nei nostri lavori».

 

La critica

 

I titoli stupidi possono nascondere dei film belli. About Elly è il titolo «internazionale» di un film iraniano del 2009 che in originale si chiama Darbareye Elly. Si poteva intitolarlo A proposito di Elly, ma qualche genio avrà pensato che con un titolo in inglese un po’ di allocchi abboccheranno, ed entreranno in sala pensando di vedere una commediola hollywoodiana. Invece A proposito di Elly - noi, per sfregio, d'ora in poi lo chiameremo così - somiglia alle migliori commedie all’italiana degli anni ‘60, quelle che iniziavano con il sorriso e pian piano trasformavano il riso in pianto. La struttura narrativa, poi, rende omaggio a un classico italiano di tutt’altro genere: A proposito di Elly è quasi un remake dell’Avventura di Michelangelo Antonioni. C’è un gruppo di giovani in vacanza, una ragazza scompare, e la sua sparizione modifica radicalmente i rapporti interni al gruppo. Con la differenza che Antonioni la buttava decisamente sull’esistenziale mentre Asghar Farhadi, regista nell’Iran di Ahmadinejad, non può fare a meno di essere più concreto, e di parlare di quel mondo, quella società. Raccontiamo la storia dall’inizio. In una località di vacanza sul Mar Caspio arrivano da Teheran, a bordo di lussuose automobili, 11 villeggianti. Tre sono bambini, gli altri 8 sono giovani sui trent’anni. Ci sono tre coppie sposate con prole. Benestanti, spigliati, molto «occidentali»: l’hijab indossato dalle donne (il foulard che copre solo i capelli) sembra l’orpello di un Iran del passato che questa generazione ha ampiamente superato. Poi ci sono due «irregolari»: Ahmad, appena tornato in patria dalla Germania dopo aver divorziato, ed Elly. Quest’ultima è la maestra del figlio di Sepideh, una delle sposate: è lei che l’ha invitata, ed è l’unica a sapere quale difficile momento stia passando Elly nella sua vita. La ragazza è fidanzata con un uomo molto tradizionalista, e vorrebbe rompere questo legame combinato dalle rispettive famiglie. Sepideh vorrebbe aiutarla e Ahmad è uno specchietto per le allodole. Secondo giorno di vacanza: uno dei bambini rischia di affogare, c’è un momento di panico, e quando il piccolo è salvo tutti si accorgono che Elly è scomparsa. L’hanno vista tuffarsi, e poi nulla più. Occorre avvertire la polizia. Al momento della denuncia si scopre che nessuno conosce il cognome della ragazza. Tentativo banale: si chiama l’ultimo numero in memoria sul suo cellulare… e risponde un uomo, che si dichiara suo fratello. Sepideh è l’unica a sapere una verità imbarazzante: Elly è, o era, figlia unica e quel «fratello» è il suddetto fidanzato. Il quale piomba in loco e fa scoppiare lo scandalo, che si riverbera sulle dinamiche interne al gruppo. Partono accuse reciproche violentissime. Gli uomini si rivelano assai poco «moderni». Sepideh decide di mentire al fidanzato di Elly quando questi le chiede se la ragazza le avesse parlato di lui. Come in un dramma di Ibsen, la «menzogna vitale» trionfa: l’ipocrisia, il moralismo, gli scrupoli religiosi regnano anche all’interno di questa élite, gente che probabilmente si libererebbe volentieri degli ayatollah ma è incapace prima di tutto di liberarsi dei propri pregiudizi. L’ultima immagine del film vede i vacanzieri impegnati a spingere invano un’automobile che si è insabbiata sulla spiaggia: a furia di bugie, l’Iran non va da nessuna parte. Asghar Farhadi ha 37 anni. Il suo film, che a Berlino 2009 era in concorso e avrebbe meritato l’Orso d'oro, è interpretato da 9 attori uno più bravo dell’altro, tra cui Taraneh Alidousti (Elly) e Golshifteh Farahani (Sepideh). Quest’ultima è la bellissima ragazza vista accanto a DiCaprio in Nessuna verità: dopo quel ruolo ha avuto molti guai in Iran. Guai, per lei, cominciati prima ancora di nascere (nell’83): le autorità decisero che il nome «Golshifteh» non è lecito e i genitori dovettero chiamarla Rahavard. Lei, però, recita con il nome proibito. In Iran, è un modo di resistere.

AAlberto Crespi, L'Unità, 18 giugno 2010

 

 

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