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Mia madre - Scheda del film

 

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE  S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Giovedì 5 novembre 2015 – Scheda n. 5 (953)

 

 

 

 

 

Mia madre

 

 

Regia: Nanni Moretti

 

Sceneggiatura: Nanni Moretti, Francesco Piccolo, Valia Santella

Fotografia: Arnaldo Catinari. Montaggio: Clelio Benevento.

 

Interpreti: Margherita Buy (Margherita), Giulia Lazzarini (Ada),

Nanni Moretti (Giovanni), Beatrice Mancini (Livia),

John Turturro (Barry Huggins), Stefano Abbati (Federico),

Enrico Ianniello (Vittorio), Anna Bellato (l’attrice), Toni Laudadio (il produttore).

 

Produzione: Sacher Film, Fandango, Le Pacte, Rai Cinema, Arte France Cinéma.

Distribuzione: 01. Durata: 106’. Origine: Italia, 2015.

 

 

Nanni Moretti

 

 

Casualmente nato, nel 1953, a Brunico (Bolzano) dove i genitori erano in vacanza ma romano da subito, Nanni Moretti è regista di punta del cinema italiano. Forse l’unico regista del nostro paese che può fare i film che vuole, come e quando vuole. Regia essenziale, lo accusano di narcisismo ma sa essere severo con se stesso, è regista politico e intimista, guarda alle cose del nostro paese e racconta di sé. Padre: docente di epigrafia greca. Madre, la madre di questo film: insegnante di lettere al liceo. Si appassiona alla pallanuoto, studia al DAMS di Bologna, vende la collezione di francobolli per comprare una cinepresa Super8, gira corti con gli amici, La sconfitta, Paté de bourgeois (1973) e una versione demenziale dei Promessi sposi dal titolo Come parli, frate? (1974). Primo film lungo, Io sono un autarchico (1976). Ecce bombo (1978) viene presentato a Cannes. Nel 1981 Sogni d’oro vince a Venezia il Premio Speciale della Giuria. Del 1984 è Bianca. Dell’anno dopo è La messa è finita. Fonda la casa di produzione Sacher Film. Apre una sala a Trastevere, il Nuovo Sacher. Fonda una società di distribuzione, la Tandem. Nel 1989 gira Palombella rossa, omaggio alla pallanuoto e indagine sullo smarrimento della sinistra. Del 1993 è l’intimo Caro diario. Del 1996 è Aprile. La stanza del figlio (2001) vince la Palma d’oro a Cannes. Il caimano (2006) denuncia la politica della destra. In Habemus papam (2011) c’è un papa in crisi di identità. Infine questo magnifico Mia madre.

Sentiamo Moretti: «Nel film il mio personaggio di chiama Giovanni, come me, e il personaggio di Margherita Buy si chiama Margherita, come lei. Ma si tratta di un film. Non è una confessione. Non è la vita...

Ho sempre pensato che la protagonista sarebbe stata una donna regista. E che sarebbe stata Margherita Buy per un motivo molto semplice: un film che ha per protagonista Margherita Buy e non me, viene meglio. Lei è molto più brava. E poi volevo raccontare questo senso di inadeguatezza – nei confronti della madre, della figlia, del lavoro – con un personaggio femminile. Il tempo del film è il tempo di Margherita, dei suoi stati d’animo in cui tutto convive e con la stessa urgenza, l’apprensione per la madre, l’inadeguatezza, i sogni, i ricordi...

Di solito faccio passare parecchio tempo tra un film e l’altro. Stavolta invece, appena uscito Habemus papam, ho cominciato subito a scrivere quando nella mia vita erano appena successe le cose che ho poi raccontato nel film. C’è stato solo un momento di incertezza, dopo la prima stesura delle sceneggiatura, quando sono andato a rileggere i miei diari scritti durante la malattia di mia madre. Immaginavo che quei dialoghi, quelle battute, avrebbe potuto aggiungere peso e verità alle scene tra Margherita e la madre. Ecco, rileggere quei quaderni è stato doloroso...

Ogni storia è autobiografica. Più che misurare il tasso di autobiografia penso che sia importante un approccio personale a qualsiasi storia. È importante un modo non ovvio di raccontare, un modo non accademico, una narrazione che non si accontenti di fare bene i compiti. Ma è importante anche che risuoni sempre qualcosa di te, dentro quello che stai raccontando...

C’è una scena che ho tagliato in cui Margherita dice alla figlia: “Nei miei film io non ci sono mai”. E la figlia le risponde “Vabbè, ma non è che devi per forza parlare di te”. E Margherita le dice “No, per forza no, ma mi piacerebbe fare dei film più personali”. Ecco, volevo che Margherita, investita dalla vita e dai suoi problemi, facesse un film politico più che personale. Nella scena della conferenza stampa, un giornalista le chiede: “In un momento così delicato per la nostra società, lei pensa che il suo film riuscirà a parlare alla coscienza del Paese?”. Lei inizia a rispondere in modo standard: “Ma oggi è proprio il pubblico che ci chiede un impegno diverso…”. Ma dopo un po’ la sua voce sfuma e noi sentiamo  i suoi pensieri: “Sì, certo… il compito del cinema… Ma perché continuo a ripetere le stesse cose da anni? Tutti pensano che io sia capace di capire quello che succede, di interpretare la realtà, ma io non capisco più niente”. Volevo che la solidità, le certezze del suo film fossero completamente in contrasto con lo stato emotivo di Margherita, quello che sta vivendo e quello che lei percepisce di sé».

 

 

La critica

 

 

Inadeguatezza. Uscito dal film, mi sono messo a cercare una parola, perché mi sentivo che tutto il film poteva essere riassunto in una sola parola, perché tutto il film mi sembrava ruotasse intorno a un unico perno pur nella insistita successione di piccoli frammenti, momenti e note, bisognava trovarla e la parola è arrivata: inadeguatezza. Non è una bella parola, non ha neppure un bel suono, sembra anche indicare qualcosa di non positivo: anche e proprio per tutto questo è la parola giusta.

Nanni Moretti che ci accompagna da molti anni (grazie), dai super8 dei primi Settanta, da “Io sono un autarchico” fino a oggi, è sempre stato inadeguato, si è sempre messo in scena come regista e attore inadeguato, ma, fino a qualche film fa, aveva cercato di non esserlo, si sforzava di non esserlo, voleva pervicacemente non esserlo (e sgridava anche – Di’ qualcosa di sinistra! – chi adeguato non era...). Invece, da qualche film in qua – persino da un papa inadeguato... – non più: sa di essere inadeguato e gli sembra giusto, adeguato e bello, esserlo. Sa che davanti alla madre che muore non si può non esserlo. Ci dice che l’unica maniera per essere insieme alla madre che muore è accettare di esserlo. Addirittura sa che la commozione non serve. Sa che la commozione – che finisce sempre per esserci – non è necessario che ci sia.

“Mia madre” non è, mi sembra che non voglia essere – come invece hanno scritto quasi tutti – un film commovente. Mi sembra piuttosto che voglia essere un film tranquillo, che insiste sull’accettazione della nostra inadeguatezza: e la commozione invece fa parte, mi sembra dica Moretti, delle cose molto adeguate a una morte, è quello che tutti si aspettano. Quando si cominciano a raccogliere gli indizi, numerosissimi nel film, si incontra subito all’inizio la frase della regista Margherita/Margherita Buy, sorella di Giovanni/Nanni Moretti, la regista del film sugli operai che perdono il posto di lavoro, film che si chiama “Noi siamo qui”. La frase della regista è un invito perché l’attore “stia un pochino a lato del personaggio”, “non devi crederci troppo”. Poi si capisce che Giovanni/Nanni ha ceduto il proprio posto di regista alla sorella Margherita, perché è lei che pensa forse che il suo film sugli operai potrebbe essere adeguato al reale: ma non è proprio vero che noi siamo qui, nel reale, accanto agli operai, Turturro non indovina una battuta, grida che vuole “go back to reality” (tornare alla realtà). Poi, altri indizi: c’è la grammatica che è una cosa precisa, e il dizionario dove c’è il significato delle parole, e i significati sono tanti, e per tradurre bene vanno letti tutti senza fermarsi al primo. E la madre dice parole inadeguate: “Mi sento fiaccua”, con la u di troppo. E ci sono due nomi di grandi autori, un poeta e uno storico, che sono tra i più rocciosi di ogni letteratura, Lucrezio e Tacito, che hanno cercato e inventato una lingua adeguata a perforare l’inadeguatezza. E così via, per ogni scena del film, per ogni momento di un film che si avvolge e riavvolge per aggiunzioni, ribattute, pause, memorie, angosce, perdite: per rimarcare come tutto sia necessario e pur sempre laterale rispetto a quella morte. Ci sono: gli scatoloni pieni dei libri di Ada, una vita di libri, grammatica, parole, e gli scaffali vuoti; Margherita e l’ex marito che insegnano a Livia ad andare in motorino, bisogna pur insegnare qualcosa a qualcuno; la retorica del film sugli operai, del tutto inadeguato a quello che vuole mostrare, diretto in modi inadeguati da una regista che sembra per tanti versi manie errori al Moretti di una volta; la casa allagata e il tentativo, inadeguato, di asciugare il pavimento con i giornali e due stracci; c’è, ora della fine, l’invito continuo e insistente, a noi che vediamo il film, perché accettiamo questo film inadeguato – e perciò giusto, bello, sincero (non commovente) – a dire cosa siamo davanti alla madre che se ne va.

Non è proprio adeguato al film, ma sentendo Lucrezio viene in mente quel fenomenale inizio del secondo libro di quel fenomenale poema, roccioso scorticato temibile definitivo e alla fin fine consolante, che è il «De rerum natura», «La natura delle cose», o semplicemente «La natura». Dice Lucrezio in esametri rocciosi, che chissà quante volte la madre di Moretti avrà letto, insegnato, tradotto: Suave, mari magno turbantibus aequora ventis / e terra magnum alterius spectare laborem; / non quia vexari quemquamst iucunda voluptas, / sed quibus ipse malis careas quia cernere suavest. È dolce, quando sul vasto mare i venti sconvolgono le acque, guardare dalla terra alla grande fatica altrui; non perché sia un dolce piacere il tormento di qualcuno, ma perché è dolce vedere da quali mali tu stesso sia privo. Margherita e Giovanni guardano dalla nostra spiaggia di rimasti vivi la morte della loro madre. Sono spettatori di un naufragio. Hanno tutto il film per avvicinarsi alla morte. Margherita piange nell’ultima immagine. Giovanni sembra sapere che quella morte viene come viene ogni morte. Adesso so che il film di Moretti/Giovanni è del tutto inadeguato alla morte di una madre e io spettatore dalla spiaggia non ho nulla da rimproverare al film inadeguato. Essere inadeguati è quello che dobbiamo fare. Siamo qui, sulla spiaggia, spettatori inadeguati.

BBruno Fornara, facebook, 20 aprile 2015

 

 

 

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