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Scheda del film (181 Kb)
Fuochi d'artificio in pieno giorno - Scheda del film

 

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE  S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Mercoledì 8 febbraio 2017 – Scheda n. 15 (990)

 

 

 

 

 

Fuochi d’artificio in pieno giorno

 

 

 

Titolo originale: Bai ri yan huo

 

Regia e sceneggiatura: Yinan Diao

 

Fotografia: Dong Jingsong. Musica: Wen Zi. Montaggio: Yang Hongyu.

 

 Interpreti: Liao Fan (Zhang Zili), Kwai Lun-mei (Wu Zhizhen),

Wang Xuebing (Liang Zhijun), Wang Jingchun (Rong Rong),

Yu Ai Lei (Capitano Wang), Ni Jingyang (Su Lijuan).

 

Produzione: Ominjoi Meida Corporation. Distribuzione: Movies Inspired.

Durata: 106’. Origine: Cina / Hong Kong, 2014.

 

 

Diao Yinan

 

 

Nato nel 1969, a Xi’an, nella regione dello Shanxi, in Cina, Diao Yinan è uno sceneggiatore e regista, laureato all’Accademia d’Arte Drammatica con alle spalle la messinscena di numerosi testi teatrali di avanguardia. Si è affermato prima come sceneggiatore per film come Spicy Love Soup (1997), La doccia (1999) e All that Way (2001). Ha fatto anche l’attore, poi ha debuttato nella regia nel 2003 con Uniform e con Dragons & Tigers. Il successo arriva con Ye che (2007, titolo internazionale Night Train), racconto della vita di una guardia carceraria che ha il compito di seguire le detenute condannate a morte. Arriva quindi l’Orso d’Oro a Berlino con questo Fuochi d’artificio in pieno giorno, nel 2014, storia di un poliziotto che si mette sulle tracce di un killer che uccide le persone legate a una donna.

Ecco alcune sue dichiarazioni: «Sono sempre stato appassionato di gialli, in particolare quelli che raccontano la vita della gente comune. La Cina di oggi sta cambiando notevolmente. Vi accadono cose in apparenza incredibili. Alcuni casi di omicidio per esempio sembrano assurdi, ma allo stesso tempo riflettono la nostra realtà contemporanea. Una cosa in apparenza insignificante può innescare un intero arcobaleno di implicazioni. Volevo fare un film poliziesco che rappresentasse la vita nella Cina contemporanea. Il mio obiettivo non era solo quello di indagare su un mistero e far emergere la verità sulle persone coinvolte, ma anche dar vita a una rappresentazione fedele della nostra nuova realtà. Il film ruota intorno a un orribile omicidio e al suo autore inafferrabile. Il processo di indagine ci fa conoscere un ispettore in guerra con se stesso. L’indecisione, la viltà, il tradimento e l’impulso di cedere alle norme sociali: tutte debolezze che provengono dalla negatività e passività del cuore umano. Possono offuscare la mente di un individuo, ma possono anche diventare fonte di umanità...

In Cina stanno avvenendo molte cose e alcune sono più assurde di quanto si possa vedere in un film o leggere in un romanzo. Per gli artisti non è poi così insolito trovare questo tipo di assurdità della vita reale ingarbugliate con le verità che cercano di proporre nei loro lavori. I modi in cui verità e assurdo si legano assieme aprono la strada a infinite possibilità, che io trovo davvero interessanti e affascinanti...

Ho ambientato il film in una città di provincia, non molto raffinata o cosmopolita, perché ai grandi centri urbani, preferisco le piccole città e i luoghi fuori mano. Il cambiamento è più lento in provincia, e quegli spazi consentono alle realtà del presente e del passato di coesistere. Credo che questo renda la memoria una risorsa più flessibile, e di conseguenza mi permette di esplorare meglio i miei temi. Sto raccontando una storia di delitti orripilanti e questo richiede un certo tipo di ambiente per sottolinearne l’autenticità. Non credo che questo tipo di storia avrebbe funzionato in una grande città, con un ambiente cosmopolita. Inoltre, ho scelto di mostrare la naturale validità della vita. Ci sono molti posti in Cina che possiedono in sé le qualità surreali di cui avevo bisogno...

Prima di realizzare questo film, ho pensato a Il falcone maltese di John Huston e ho visto molte volte Il terzo uomo di Carol Reed. Ho anche scolpito nella mente il brillante piano sequenza prolungato con cui Orson Welles apre L’infernale Quinlan. E adoro le scintille di ingenuità che puoi trovare nei film muti più semplici. In più mi piace sovvertire le convenzioni, come il comportamento “logico”, la linea netta di separazione tra bene e male, o i personaggi dalle ovvie motivazioni facilmente codificabili. Aggiungo che, quando la polizia affronta un’indagine, tra la verità concreta e quella apparente inizia a crearsi un gioco di specchi. La polizia potrebbe arrivare alla conclusione di aver afferrato la verità reale, ma non è detto che sia davvero così. Il processo di ricerca e di definizione della realtà, spesso estenuante, genera tensione drammatica. La nostra esperienza pratica ci dice che il divario tra realtà e apparenza concorrerà a influenzare il modo in cui “crediamo” gli uni negli altri; in casi estremi ci può anche portare a darci per vinti».

 

 

La critica

 

 

Sugli schermi del cinema e della televisione odierni le storie di crimine sono il genere largamente predominante; inflazionato, perfino, ma con varianti rare rispetto al repertorio già noto. Varrà la pena, allora, di fare la conoscenza con Fuochi d’artificio in pieno giorno, un noir diverso da tutti gli altri che nel 2014 ha vinto un meritato Orso d’Oro come miglior film a Berlino, raddoppiando con l’Orso d’Argento per il miglior attore al protagonista Liao Fan.

Nel 1999 l’ispettore Zhang Zili indaga su un caso d’omicidio particolarmente macabro: il corpo della vittima è stato smembrato e i pezzi sono finiti in distretti carboniferi della Manciuria distanti centinaia di chilometri l’uno dall’altro. Durante una retata in un salone di bellezza, avviene una sparatoria tra la polizia e i principali sospetti; Zhang, ferito, è l’unico a salvare la pelle ma ne esce con i nervi a pezzi. Il caso resta irrisolto. Nel 2004 Nemo - che ha lasciato la polizia, fa l’agente di sicurezza ed è alcolizzato - incontra alcuni colleghi che indagano su due omicidi: in entrambi sembra implicata la giovane vedova della vittima di cinque anni prima.

Benché si tratti di un noir del tutto insolito, non è difficile riconoscere nei personaggi principali due figure archetipiche del genere nella sua declinazione occidentale: il detective disilluso e scorticato vivo, che vive sul filo del rasoio, e la donna fatale che porta gli uomini alla perdizione. E non fa meraviglia che un regista cinese, Ynan Diao, abbia citato in proposito esempi come i film con Humphrey Bogart, L’infernale Quinlan o Il terzo uomo (di cui il suo contiene una citazione palese). A lui infatti, alla faccia di tutto il repertorio di squadre speciali e polizie scientifiche dei telefilm correnti, non interessa tanto la soluzione del caso criminale, quanto piuttosto i destini dei protagonisti, creature solitarie e marchiate dalla vita. Tuttavia la singolarità non risiede qui, e neppure in una certa attitudine a seminare false piste, o a mettere lo spettatore dinanzi a situazioni impreviste (i misteriosi fuochi d’artificio che esplodono sopra polizia e pompieri): sta invece nello stile visivo, fatto di immagini ipnotiche e magnificamente padroneggiate. In ambienti che variano dall’oscurità del carbone al nitore da brivido dei paesaggi ghiacciati, tra piste di pattinaggio, gallerie minacciose, locali notturni surreali come quello che dà il titolo al film, è tutto un susseguirsi di scene stupefacenti dove le immagini (nitide, interamente a fuoco, sempre attente a sfruttare la profondità di campo) fanno un mix di rara suggestione con un ambiente sonoro cui la regia non attribuisce importanza minore che a quello visivo. E qui si pone un potenziale - ma stimolante - contrasto tra le situazioni cupe, che tendono a generare un progressivo turbamento nello spettatore, e una certa freddezza programmatica, o piuttosto un distacco stilistico che potrebbe essere scambiato per indifferenza morale. Perché il vero senso del film sembra risiedere, alla fine, nella folgorante cinegenia che il regista sa proiettare su un tessuto urbano fatiscente, tinto di colori estremi, trasfigurato da un uso delle luci geniale come ci è capitato raramente di vederne.

RRoberto Nepoti, La Repubblica,  23 luglio 2015

 

Orso d’Oro come miglior film alla Berlinale nel 2014, Orso d’Argento come miglior attore al suo protagonista Liao Fan. Troppa grazia? Al contrario. Malgrado il ritardo con cui esce nel nostro mercato sempre più miope e inospitale, Fuochi d’artificio in pieno giorno è una rivelazione. Oltre che uno dei rari film d’autore cinesi di oggi ad aver avuto un grande successo in patria (diversamente, ad esempio, da quelli del grande Jia Zhangke, il regista di A Touch of Sin e di Still Life [tutti e due visti al cineforum], proibiti o condannati alla semiclandestinità). La ragione è semplice, anche se in Cina nulla è mai veramente semplice. Black Coal Thin Ice (così il titolo internazionale) è un giallo in piena regola che non si fa certo mancare la critica sociale ma la travasa negli elementi classici dei noir Usa anni 40-50. Irrobustendo ulteriormente il tutto con una durezza, un senso dell’assurdo e uno humour noir molto contemporanei. Nelle interviste il regista Yinan Diao cita Il terzo uomo, Il falcone maltese e L’infernale Quinlan, ma è chiaro che oltre a Reed, Huston e Welles ha visto con attenzione anche i film dei fratelli Coen (a giudicare dalla scena del salone di bellezza, non escludiamo nemmeno Gomorra). E basta vedere i tempi insieme lenti e improvvisi con cui rovescia una situazione, condannando a morte quelli che sembravano i vincitori, o quel bellissimo balletto finale, un misto indescrivibile di gioia e disperazione, per capire che questa storia di delitti efferati, ambientata in un’anonima e nevosa città di provincia, è destinata a restare. (...)

Dialoghi avari, personaggi scolpiti, stile ellittico ma solidissimo. Nella Cina del film amore e sentimenti sono fatti puramente, brutalmente fisici. La solidarietà non esiste, se qualcuno si ferma a soccorrere un motociclista istupidito dal freddo è solo per rubargli la moto, il ghiaccio del titolo è insieme metafora e elemento scenico che ispira tutta una coreografia del delitto e del sospetto. Un film sorprendente quanto eloquente che non parla solo della Cina ma di quell’immensa, sconfinata, indistinta provincia mondiale che ricorda tanto anche la nostra.

FFabio Ferzetti, Il Messaggero, 23 luglio 2015

 

 

 

 

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Steve Jobs

 

di Danny Boyle

 

 

Giovedì prossimo, la vita, in tre atti, di un personaggio famoso come Steve Jobs.

L’abile sceneggiatore Aaron Sorkin e il funambolico regista Danny Boyle scelgono tre date. 1984: Jobs presenta il primo Macintosh. 1988: Jobs costruisce il NeXT. 1998: Jobs lancia sul mercato il nuovo Apple.

Tre passi in una vita complicata, tra il privato e il pubblico, tra un padre e una figlia, tra intrighi e deliri verbali, con una straordinaria Kate Winslet e un vulcanico Michael Fassbender.

Durata: 122’.

 

 

Giovedì 16 febbraio, ore 21

Cinema Sociale - Omegna

 

 

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