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Giovedì 2 marzo 2017 – Scheda n. 18 (993)
Brooklyn
Regia: John Crowley
Sceneggiatura: Nick Hornby, dal romanzo omonimo di Colm Tóibín (ed. Bompiani).
Fotografia: Yves Bélanger. Musica: Michael Brook. Montaggio: Jake Roberts.
Interpreti: Saoirse Ronan (Eilis Lacey), Domhnall Gleeson (Jim Farrell),
Emory Cohen (Tony Fiorello), Jim Broadbent (Padre Flood),
Julie Walters (Sig.ra Kehoe), Jessica Paré (Miss Fortini),
Bríd Brennan (Miss Kelly), Fiona Glascott (Rose Lacey),
Nora-Jane Noone (Sheila), Jane Brennan (Mary Lacey).
Produzione: Wildgaze Films. Distribuzione: Twentieth Century Fox Italy.
Durata: 113’. Origine: Irlanda, 2015.
John Crowley
Nato a Cork, in Irlanda, nel 1969, fin dai tempi della scuola ha lavorato in teatro dirigendo spettacoli a Dublino e raggiungendo poi il West End londinese. Passa al cinema con Come and Go (2000), film che fa parte della serie Beckett on Film, progetto volto ad adattare per il cinema le 19 opere teatrali di Samuel Beckett. Del 2003 è la commedia drammatica Intermission, ambientata a Dublino, con 11 storie che s’intrecciano. Del 2007 è Boy A, storia di un giovane uomo che cerca di ricostruirsi una vita dopo aver passato l’adolescenza in carcere per un omicidio. L’anno dopo dirige l’attore premio Oscar Michael Caine in Is Anybody There?, storia di un bambino di dieci anni costretto a vivere in una casa di riposo dove registra i racconti degli anziani per cercare di capire cosa accade quando si sta per morire. È del 2013 il thriller Closed Circuit, con una coppia di ex fidanzati che deve collaborare con la squadra di avvocati della difesa in un processo per terrorismo. Viene quindi, nel 2016, il film candidato all’Oscar, questo Brooklyn, melodramma tratto da un romanzo di uno degli scrittori più amati in Irlanda, Colm Tóibín, e con la sceneggiatura di uno dei romanzieri e sceneggiatori più famosi in Inghilterra, Nick Hornby.
Sentiamo Crowley: «Avevo letto il romanzo di Tóibín molto tempo prima che esistesse un copione e ne ero stato catturato esclusivamente come lettore. Letta la sceneggiatura di Hornby, mi sono reso conto di avere la possibilità di rievocare un tempo, un luogo e un personaggio indimenticabile che poteva ampliare il mito dell’esperienza dell’immigrazione americana. Nonostante avessi familiarità con l’argomento, Brooklyn mi ha davvero dato l’impressione di rappresentare un lato della vicenda che non era mai stato raccontato. Tutti sono a conoscenza delle prime ondate di immigrazione europee, ma la storia di chi è emigrato dall’Irlanda degli anni ’50 in America è uno degli aspetti meno discussi di ciò che stava accadendo in quel periodo. Il modo in cui Colm Tóibín raccontava la storia non era per niente melodrammatico, eppure era incredibilmente emozionante. Il libro è apparentemente semplice, ma a dire il vero credo che la scelta di Eilis tra due paesi e due uomini non possa essere più drammatica di così...
Questa è una storia sull’esilio. Quando lasci un paese e scegli di vivere da un’altra parte, non appartieni più a quel luogo, ma di certo nemmeno a quello in cui hai scelto di vivere. Quindi diventi un membro di una sorta di terzo paese, quello degli esuli. Oggi, un vasto numero di persone nel mondo non vive nel paese in cui è nato. La storia di Brooklyn, così come l’ha scritta Colm e come poi Nick Hornby l’ha sviluppata e adattata per il cinema con la sua sceneggiatura, è pienamente fedele a quell’esperienza. Ed è una storia d’amore che afferma che l’amore è complicato e che il cuore non è per forza fedele a una sola persona; può forse, al contrario della testa, concepire di amare due persone allo stesso tempo. La scelta di Eilis tra due uomini è anche la scelta relativa al tipo di vita che vuole condurre, ma per lei è difficile rassegnarsi al fatto di dover quasi cauterizzare una parte di sé per poterla fare. Dal punto di vista emotivo le costa molto, tuttavia può solo continuare a guardare avanti. L’amore in questa storia è una forza reale che potenzialmente può essere distruttiva o liberatoria a seconda di dove vada a colpire...
La mia idea, per me emozionante, era di combinare una sorta di romanticismo ‘vecchia scuola’ con la schiettezza tipica del 21° secolo. Volevo anche conservare nel film l’estrema eleganza del romanzo e della sceneggiatura, cercando di mantenere un equilibrio tra i momenti d’azione e quelli sentimentali. Come accade nel libro, volevo che il potere della storia cogliesse lo spettatore silenziosamente, di sorpresa. E volevo anche far emergere l’umorismo e la portata del racconto. Non è una storia destinata ad essere grandiosa, ma ritengo che le vicende di una ragazza irlandese degli anni ’50 siano lo specchio della storia di tutti gli europei che nel XX secolo sono andati in America. Così ho adottato uno stile di regia molto paziente e partecipativo, volevo seguire Eilis che, come molti altri immigranti di cui nessuno ha mai parlato, arriva in America come un’umile, seppur molto competente, ragazza solitaria in procinto di subire una profonda trasformazione personale. È un personaggio senza troppi complessi; non una di quelle ragazze che passano il proprio tempo a guardarsi allo specchio o sono sfacciate, ma una di quelle che provano dei sentimenti forti e talvolta sono un po’ testarde. Eilis è amata da tutti, ovunque vada. Ma non sa bene da cosa questo dipenda. Non lo fa di proposito. In un certo senso, è più contenta di stare nell’ombra: quindi per me era un personaggio ancora più interessante perché, anche se non le veniva spontaneo di farsi valere, alla fine del libro ha tutto in pugno. Si fa strada nel mondo in modo impressionante, ma sempre misurato, mai eccessivo, mai eclatante».
La critica
L’emigrazione di una volta. Anni cinquanta. Dall’Irlanda agli Usa. Eilis ha sempre vissuto a Enniscorthy, sulla costa sudovest dell’Irlanda, dove tutti si conoscono e dove non c’è nessuna possibilità di farcela. Eilis viene spinta ad andare a New York dalla sorella che vuole aiutarla a trovare la sua strada. Anche a New York la vita è dura e tanta la nostalgia. Conosce un ragazzo italoamericano, giusto per lei. Ma muore qualcuno in Irlanda ed Eilis torna a casa...
Nick Hornby scrive la sceneggiatura dall’omonimo e premiato romanzo (Bompiani, 2009) di Colm Tóibín, tra i più conosciuti scrittori irlandesi, nato come la sua eroina a Enniscorthy. Brooklyn è un melodramma in cui c’è tutto quello che la tradizione (benvenuta!) richiede ci sia in un melodramma: sfortuna, speranze, la casa lontana, un mondo nuovo, un amore raddoppiato, l’animo incerto e dubbioso, la dolcezza, il dolore, la mitezza, l’affollarsi dei sentimenti... C’è soprattutto lei, Eilis, silenziosa, dimessa, composta, portata a chiudersi in se stessa, in cerca di una sua vita e di un suo posto nel mondo, di qua e di là dell’oceano. Di qua o di là dell’oceano? Eilis non lo sa e vorrebbe saperlo, perché è anche decisa. È anche esile e la avvertono che gli italiani amano le donne più rotondette. Brooklyn, il film, è tenero con lei: la circonda di colori caldi, la porta a New York e, quando la fa tornare a casa, le regala una raggiunta consapevolezza capace di superare le difficoltà (che in un melodramma ci sono sempre e si incarnano in qualche personaggio che mette il bastone tra le ruote).
Brooklyn è un melodramma senza scene melodrammatiche. Segue con fiducia Eilis nella sua progressione verso una giusta coscienza e conoscenza di sé. C’è una bella scena nella parte newyorkese. È il primo Natale americano per Eilis che aiuta padre Flood a servire il pasto a una tavolata di vecchi e malandati irlandesi che, con il caldo e un po’ di alcool, sciolgono i loro affanni: e uno dei vecchi si alza e canta una canzone tristedolce dell’esilio, la canta in erse, la vecchia lingua gaelica irlandese (e c’è un’altra simpatica scena di pranzo, italoamericano, con Eilis che se la cava egregiamente con gli spaghetti). Anche Eilis è tristedolce. Allora il romanziere Tóibín, l’inglese Hornby, il regista John Crowley, irlandese di Cork, e la brava Saoirse Ronan, nata a New York ma cresciuta in Irlanda non lontano da Enniscorthy, si regalano alcune impreviste deviazioni comiche. Tutti insieme fanno di Brooklyn un film elegante, determinato a essere un buon film. Fatto di tanti colori. Bella la scena quando Eilis e la sorella che la aiuta mettono in valigia i vestiti per l’America. Vestiti tutti normali, un maglione, un cappotto verde, salvo un vestito con dei pallini bianchi. Con questo vestito diverso Eilis entra in America. Con quel vestito va al ballo dove conosce Tony (tipo Marlon Brando da giovane). Con quel vestito Eilis diventa diversa da com’era. Poi, di vestiti, ne compra altri, tutti giusti per la nuova lei. Uno giallo smagliante, un costume da bagno verde, degli occhiali da sole fatti a farfalla. Prende confidenza, è più a suo agio, un filo sofisticata. Alla fine sottopone i suoi abiti alla prova irlandese: sono giusti per l’Irlanda? Sono anche quei vestiti a convincerla quando deve prendere la decisione tra l’Irlanda del charming e well-spoken Jim, e l’America del gentile e italiano Tony. Jim e Tony, tutti e due attraenti e sinceri. Le vanno bene entrambi...
BBruno Fornara, facebook, 6 aprile 2016
Questo bel filmone romantico con un amore a tre punte, ha qualificati angeli custodi, da Colm Tóibín autore del bellissimo romanzo allo sceneggiatore scrittore Nick Hornby. Il regista John Crowley ha molta Broadway nel suo Dna, si vede negli interni e nella resa degli attori, ma ha anche diretto due episodi di True detective. Siamo nel ’52 e dall’Irlanda si imbarca per New York una giovane che sentiva la nostalgia finché non s’innamora e poi sposa un idraulico italiano: quando torna a casa per un lutto riemerge un pretendente. Che fare? Suspense del cuore. Ottima confezione, prova da Oscar di Saoirse Ronan, col mondo che diventa un interno di coscienza di una ragazza divisa tra due mondi e due uomini.
MMaurizio Porro, Il Corriere della Sera, 17 marzo 2016
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