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Il cielo può attendere - Scheda del film

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE  S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Giovedì 4 maggio 2017 – Scheda n. 27 (1002)

 

 

 

Il cielo può attendere

 

 

 

 

Titolo originale: Heaven Can Wait

 

Regia: Ernst Lubitsch

 

Sceneggiatura: Samson Raphaelson. Fotografia: Edward Cronjager.

Musica: Alfred Newman. Montaggio: Dorothy Spencer.

 

Interpreti: Gene Tierney (Martha Strable Van Cleve), Don Ameche (Enrico Van Cleve),

Charles Coburn (Hugo Van Cleve), Marjorie Main (signora Strable),

Laird Cregar (Sua Eccellenza), Spring Byington (Bertha Van Cleve),

Allyn Joslyn (Alberto Van Cleve), Eugene Pallette (E.F. Strabel),

Signe Hasso (Mademoiselle).

 

Produzione: Twentieth Century Fox Film Corp. Distribuzione: Lab80 Film.

Durata: 112’. Origine: Usa, 1943.

 

 

Ernst Lubitsch

 

 

Uno dei mostri sacri della storia del cinema. Uno di quei registi che hanno lasciato un segno profondo negli ormai più che 120 anni di cinema. Ernst Lubitsch è stato grande in Germania con i suoi film muti ed è stato ancora più grande quando si è spostato negli Usa ed è diventato uno dei pilastri del cinema americano. Lubitsch è nato a Berlino il 28 gennaio 1892 ed è morto a Los Angeles il 30 novembre 1947. Di modesta famiglia ebraica, padre Simon calzolaio di origini russe, madre Anna casalinga tedesca. Inizia la carriera come attore del Deutsches Theater. Lo dirige spesso il grande regista Max Reinhardt. Dal 1913 recita anche nel cinema, quindi comincia a dirigere film muti di cui è spesso protagonista. Sono delle comiche: in Pinkus fa il commesso in un negozio di scarpe (1916); in Quando ero morto (1916) è un marito che sembra Il fu Mattia Pascal di Pirandello. Magnifici sono La bambola di carne (Die Puppe, 1919) e La principessa delle ostriche (1919). Affronta Shakespeare in Romeo e Giulietta sulla neve (1920). Straordinario è Lo scoiattolo (Die Bergkatze, 1921) con Pola Negri. Ha molto successo Madame du Barry con un eccezionale Emil Jannings. Nel 1922 l’attrice Mary Pickford invita Lubitsch a Hollywood per il film Rosita (1923). È la svolta. Lubitsch inizia una nuova carriera che lo porta a dirigere le più famose attrici dell’epoca come Marlene Dietrich, Greta Garbo, Carole Lombard e Miriam Hopkins. Dirige per la Warner Bros Matrimonio in quattro (1924), Tre donne (1924), Baciami ancora (1925), Il ventaglio di Lady Windermere (1925, da Oscar Wilde). Con il sonoro arrivano i capolavori degli anni Trenta: Mancia competente (Trouble in paradise, 1932), La vedova allegra (1934), Angelo (1937), il celebre Ninotchka (1939), dove Greta Garbo ride (“Garbo laughs!”). Celeberrimo è  Vogliamo vivere! (To Be or Not to Be, 1942), poi tocca a Il cielo può attendere (1943) e all’ultimo film, Fra le tue braccia (1946). Cominciò La signora in ermellino ma gli venne un ennesimo infarto e il film fu portato a termine da Otto Preminger. In tutto diresse più di 70 film. Aveva avuto tre nomination per l’Oscar ma solo il 13 marzo 1947, poco prima di morire, gli fu assegnato un Oscar alla carriera. Al funerale, una delle sue attrici preferite, Jeanette McDonald, cantò Beyond the Blue Horizon, la più bella canzone di Montecarlo. A portare la bara c’erano due grandi registi, il suo allievo Billy Wilder e William Wyler che si scambiarono queste battute: «Che tristezza pensare che non avremo più Lubitsch», «Peggio: che tristezza pensare che non avremo più i film di Lubitsch!». Per nostra fortuna moltissimi film di Lubitsch si possono vedere oggi in dvd e anche in sala, come stasera...

Così scrisse Lubitsch su Il cielo può attendere: «Considero Il cielo può attendere uno dei miei film più importanti, perché ho tentato di liberarmi in vari sensi dalle formule stabilite. Prima che il film fosse terminato, ho incontrato forti opposizioni: il film non aveva alcuno scopo, non comunicava alcun “messaggio”. Il protagonista si preoccupava solo di vivere bene, e non cercava di compiere nessuna nobile azione. Quando allo Studio mi chiedevano perché volessi fare un film del genere, rispondevo che la mia intenzione era quella di presentare agli spettatori un certo numero di personaggi nella speranza che li trovassero gradevoli: sarebbe bastato questo per fare dei film di successo. Così, in effetti, è accaduto: per fortuna avevo ragione. Inoltre mi è riuscito di mostrare un matrimonio felice in una luce più autentica di quel che accade normalmente al cinema, dove i matrimoni riusciti sono descritti in genere come una cosa noiosissima, poco eccitante, tutta focolare domestico».

 

 

La critica

 

 

Una volta morto, Henry Van Cleve, impenitente donnaiolo, si presenta alle porte dell’inferno, ma Lucifero, dopo aver ascoltato il suo rapporto autobiografico, ritiene opportuno mandarlo “in alto”, vicino alle persone da lui amate. Una delizia del cinquantenne Lubitsch, per la prima volta alle prese con il Technicolor. È una commedia, che riassumendo in flashback i 60 anni di vita di un uomo, ostentatamente pretende di “non dire nulla”, ma “è la ricapitolazione di moltissimi motivi e figure archetipiche che hanno ossessionato Lubitsch fin dagli inizi: il mito di Don Giovanni, quello di Faust, quello del doppio, la funzione della donna come Madre e come Morte” (Guido Fink).****

MMorando Morandini, Il Morandini, Dizionario dei film, Zanichelli

 

In versione restaurata e splendente, torna nelle sale, grazie alla rassegna di Lab 80, uno dei capolavori di Ernst Lubitsch. Primo e unico film girato dal cineasta berlinese in Technicolor, Il cielo può attendere è una straordinaria commedia sentimentale, leggiadra e commovente, cadenzata dalle ampie ellissi narrative di Samson Raphaelson, dalla voce narrante di Don Ameche e dalle note di Alfred Newman. E illuminata dalla raffinata bellezza di Gene Tierney. Appena defunto, Henry Van Cleve arriva nell’anticamera dell’inferno dove racconta al diavolo la propria vita: è sempre stato viziato dai genitori, è stato iniziato presto ai piaceri della carne da una giovane cameriera, gli sono piaciute tantissimo le donne ma è rimasto sempre fedele alla bellissima moglie…

«Io non lavoro qui. Non sono un commesso. Mi è bastato vedervi e vi ho seguita. Fosse stato un ristorante, sarei stato un cameriere; una casa in fiamme, pompiere. Se foste salita in un ascensore, l’avrei fermato e avremmo vissuto lì tutta la vita»: così dice Henry Van Cleve, interpretato da Don Ameche. (...)

Il cielo non ha avuto pazienza, ma questo si è scoperto dopo, il 30 novembre 1947, a quattro anni dall’uscita di Heaven Can Wait (Il cielo può attendere, 1943). Geniale, ironico, elegante cineasta europeo capace di conquistare la fabbrica dei sogni, Ernst Lubitsch ci lasciava troppo presto, pur trovando l’immortalità nella sua corposa filmografia. Esordio negli sfavillanti cromatismi del Technicolor e summa di una serie di temi ricorrenti, Il cielo può attendere diventa quindi una sorta di testamento artistico, di sguardo retrospettivo sul suo stesso cinema, su una filosofia intrisa di leggerezza, mai di superficialità. La discesa agli inferi di Henry Van Cleve, il flashback che ripercorre l’intera vita dalla nascita all’ultima impresa di questo romantico e gentile Casanova, e il sincero bilancio esistenziale finiscono inevitabilmente per valicare i confini del grande schermo, arricchendosi ulteriormente di significati e suggestioni. In questo senso, Il cielo può attendere ingloba buona parte della filmografia lubitschiana, dissezionando il celeberrimo “tocco di Lubitsch”, il Lubitsch Touch – quella capacità di filtrare attraverso una sofisticata ironia sentimenti e pulsioni, cogliendone l’essenza, rendendo palpabili i fremiti, le rinunce e tutto ciò che apparteneva al fuori campo. E la stessa giocosa deriva fantastica, con la messa in scena di un Aldilà dal design geometrico e raffinato, sembra voler portare ancor più in primo piano quella terra di mezzo che Lubitsch ha spesso dipinto sul grande schermo: non gli Stati Uniti, non l’Europa, ma la Lubitschland. Impegnato a smontare e deridere i rigidi schematismi morali dei suoi contemporanei, Lubitsch tratteggia il consueto contesto aristocratico/altoborghese, un microcosmo che sembra estraneo allo scorrere della Storia, al succedersi degli eventi, tutto concentrato sulla propria comoda esistenza: ma è in questo mondo altro che Lubitsch può dare sfogo al ricercato sarcasmo, ai dialoghi brillanti e pungenti, alla rappresentazione di sentimenti totalizzanti, privi di scorie. Il cielo può attendere vive di fulminee parole e di lunghi silenzi: i dialoghi vivaci e la voce narrante di Henry/Ameche riempiono di senso le ampie ellissi narrative di Samson Raphaelson, sceneggiatore di alcune delle pellicole più riuscite di Lubitsch; una dozzina le collaborazioni: Scrivimi fermo posta (1940), Mancia competente (1932), La vedova allegra (1934), L’allegro tenente (1931) e via discorrendo. Col suo spirito dissacrante, Raphaelson è il coautore del Lubitsch Touch.

Le porte dell’inferno de Il cielo può attendere, eleganti e imponenti come il loro padrone di casa (il Diavolo, lo sfortunato attore Laird Cregar, che morirà l’anno successivo), anticipano le intuizioni scenografiche e immaginifiche di Scala al Paradiso di Powell e Pressburger. Pur con un approccio narrativo e una tensione emotiva calibrata diversamente, entrambi i film giungono al medesimo traguardo: due memorabili storie d’amore, estremamente commoventi. Ed è forse questo uno dei risultati più sorprendenti del cinema di Lubitsch, così frizzante, teatrale, cerebrale, eppure estremamente romantico; se la passione resta fuori campo, nonostante gli ammiccamenti erotici (si pensi al rapporto con del giovane Henry con la domestica francese), l’essenza dell’amore deflagra nelle parole di Martha, negli occhi luccicanti della Tierney, nell’arrendevolezza di Henry.

EEnrico Azzano, http://quinlan.it/2016/05/26/cielo-puo-attendere/

 

 

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Calendario delle proiezioni

 

Arrivederci

 
 

 

Finisce la 53a stagione del Cineforum: avete compilato il referendum? 

 

Ricominciamo a metà ottobre.

Ma non finiscono le proiezioni al Sociale e in biblioteca!

 

Giovedì prossimo 11 maggio, qui al Sociale serata eccezionale con il progetto Movie Teller che propone tre film realizzati in Piemonte e presentati a festival internazionali.

 

Alle 18.30 il corto

Neve rosso sangue di Daniel Daquino.

Alle 19.15 il doc

Nome di battaglia donna di Daniele Segre, presentato al Torino Film Festival.

 

Intermezzo con degustazione di prodotti locali a cura della Coldiretti.

 

Alle 21.00 il film

Le ultime cose di Irene Dionisio, presentato alla Mostra di Venezia.

 

Per i soci del Cineforum: ingresso a proiezioni e degustazione: 3 euri (per i non soci 5 euri). Ingresso solo alle proiezioni (senza degustazione): 3 euri.

La serata è organizzata per sostenere il cinema Sociale.

Saranno presenti Irene Dionisio, Daniele Segre e una delle sue donne resistenti.

 

APPASSIONATI DI CINEMA,

RIEMPIAMO LA SALA!

 

E torna per la 4a edizione

la rassegna dei film sulla Resistenza,

organizzata dall'ANPI, dalla Biblioteca “Gianni Rodari” e dal Cineforum.

Proiezioni in biblioteca, alle 21.00.

Quattro film memorabili di due grandi registi. Quattro capolavori della commedia all’italiana. Quattro momenti della nostra storia.

Mercoledì 10 maggio:

I compagni di Mario Monicelli.

Giovedì 18 maggio:

La grande guerra di Mario Monicelli.

Giovedì 25 maggio:

La marcia su Roma di Dino Risi.

Mercoledì 31 maggio:

Una vita difficile di Dino Risi.

 

 

 

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