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Locandina del film
Anche libero va bene - Locandina del film
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Anche libero va bene - Scheda del film
CINEFORUM ARCIFIC OMEGNA

quarantatreesima stagione

in collaborazione con:

CINEMA SOCIALE - S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA - IL CINEMA DIFFUSO
promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS



Giovedì 9 novembre 2006 – scheda n. 4 (707)


Anche libero va bene

Regia: Kim Rossi Stuart.
Sceneggiatura:
Kim Rossi Stuart, Linda Ferri, Federico Starnone, Francesco Giammusso.
Fotografia: Stefano Falivene. Montaggio: Marco Spoletini.
Musica:
Banda Osiris. Scenografia: Stefano Giambanco.
Interpreti: Kim Rossi Stuart (Renato), Barbora Bobulova (Stefania),
Alessandro Morace (Tommi), Marta Nobili (Viola).
Produzione: Palomar, Rai Cinema. Distribuzione: 01.
Durata: 108’. Origine: Italia, 2006.


Il regista

Nato a Roma nel 1969, Kim Rossi Stuart è figlio d’arte: il papà attore lo fa debuttare a cinque anni, al proprio fianco, nel film Fatti di gente perbene di Mauro Bolognini (1974). Poi Kim studia recitazione e continua la sua carriera: appare in Il nome della rosa (1986), quindi in Il ragazzo dal kimono d’oro. Arriva al successo popolare interpretando alcune serie televisive, successo che consolida al cinema con Senza pelle (1994) e Al di là delle nuvole di Wim Wenders e Michelangelo Antonioni (1995). Continua ad alternare cinema, tv e teatro. Viene scelto da Benigni per interpretare Lucignolo in Pinocchio (2002) e trova la sua grande occasione con Gianni Amelio che gli dà il ruolo di protagonista in Le chiavi di casa. Quindi appare in Romanzo criminale di Michele Placido. Con Anche libero va bene esordisce come regista e il film viene invitato al Festival di Cannes.

La critica

Fino ad oggi, con l’esordio alla regia in Anche libero va bene, abbiamo conosciuto Kim Rossi Stuart come attore di livello, capace di destreggiarsi in ruoli diversi e sempre intensi, dal Lucignolo del Pinocchio di Benigni al padre riconciliato in Le chiavi di casa di Amelio, dal bandito dal cuore d’oro in Romanzo criminale di Placido al giovane psicopatico in Senza pelle di D’Alatri. Una carriera specchiata, iniziata a cinque anni accanto al padre (Giacomo Rossi Stuart, attore caratterista di western, mitologici e fotoromanzi) nel film di Bolognini Fatti di gente perbene e perseguita, senza fretta, in un carosello di personaggi sempre più definiti. Non di molti attori si può dire bene nel cinema italiano. Kim Rossi Stuart ci ha dato sempre l’impressione di essere l’interprete dei suoi personaggi, come se li sostanziasse di una consapevolezza più profonda, determinandoli oltre il limite del loro mandato. Non è, allora, una sorpresa vederlo finalmente coincidere nel ruolo di attore e regista, scoprirlo nelle due facce della sua bella medaglia. Sebbene questo esordio tocchi un tema, la famiglia, piuttosto presente nel cinema italiano contemporaneo, Kim Rossi Stuart lo nutre di una originalità di sguardo non comune. Anche Roma, set massacrato dall’immaginario fermo della nostra produzione, appare diversa, luogo «comune» di vite rapite dalla loro nevrosi. Qui abita una famiglia messa in crisi dalle fughe ripetute di una madre (Barbara Bobulova) psicolabile e incerta. A tenere le redini è Renato (Rossi Stuart), operatore di macchina freelance, che cerca di mascherare le sue fragilità di padre con un metodo «pedagogico» istintivo, severo e dolce allo stesso tempo. A relazionarsi con il suo carattere compulsivo sono i due figli, un bambino e una bambina, in età pre-adolescenziale. La storia è osservata dal punto di vista di Tommi, il piccolo di casa. Riservato, attento e sensibile è la cartina di tornasole delle diverse «umoralità» degli adulti suoi precettori. Lo interpreta, con grande prova, Alessandro Morace, bambino della periferia di Roma, scovato da Rossi Stuart dopo intense ricerche. Si sa che far recitare i bambini è un’impresa ardua, eppure in Anche libero va bene si toccano punte di vera emozione, rese possibili da una regia scarna, quasi brusca, che non si maschera, «a pelle». Non ci sono diaframmi possibili nel racconto autentico della relazione tra adulti e bambini. Nessuna possibile edulcorazione. In una scena culmine del film, nel cuore di uno scontro tra padre e figlio, irrompe una bestemmia. Ben diversa, per significato, da quella raccolta da Bellocchio in L’ora di religione (atto iconoclasta di programmatica intenzione), qui ha il sapore di uno sfogo ultimo. È possibile rintracciare nel tessuto originale di questo film echi di altre esperienze cinematografiche. Si è parlato, forse a sproposito, di Ladri di biciclette di De Sica. Più appropriato ci sembra il riferimento a I bambini ci guardano, dello stesso regista, come anche l’aggancio a certe fissazioni morettiane. Lodiamo, in ultimo, il grande lavoro sul suono che restituisce il rumore della città come tensione perenne e minacciosa (così come avviene per la Napoli di La guerra di Mario).
Dario Zonta, L’Unità, 5 maggio 2006

Tommi (Alessandro Morace) e la sorella Viola (Marta Nobili) guardano la spiaggia che si apre luminosa davanti all'albergo. I loro occhi sono pieni di meraviglia. Poche ore prima era sembrato che la giornata dovesse concludersi con una nuova delusione. Partiti da Roma la mattina con il padre Renato (Kim Rossi Stuart) e la madre Stefania (Barbora Bobulova), si erano aspettati una sorta di risarcimento dei disamore in cui da tempo vivono. Ma la cocciuta, infantile abitudine del padre di scontrarsi con il mondo aveva contraddetto ogni attesa. E però, come capita nella vita, da qualche minuto tutto è cambiato, di nuovo. Ora sta per iniziare una piccola vacanza insperata. Con i genitori, si fermeranno per una notte in quell'albergo sul mare. E così, davanti alla pace della spiaggia, forse immaginano che anche a loro sarà data un po’ di quiete.
È questo uno dei momenti più intensi e più veri di Anche libero va bene. La sua verità si mostra nel gioco imprevedibile e complesso dei sentimenti, nell’alternarsi di luce e d’ombra. Non tutto quel che accade in una tragedia è solo tragico, e non tutto quel che accade in una commedia è solo comico. La verosimiglianza d’un racconto nasce dal chiaroscuro emotivo in cui il narratore riesce a far vivere i personaggi, si tratti d’una commedia o d’una tragedia. Così hanno fatto Kim Rossi Stuart e i suoi cosceneggiatori (Linda Ferri, Francesco Giammusso e Federico Starnone): hanno lavorato alla verosimiglianza dei loro personaggi, li hanno costruiti come individui interi e complessi, mai solo positivi e mai solo negativi.
Non è solo negativa Stefania, che nel racconto ha il ruolo più ingrato, e più esposto al rischio dell'ovvio. È verosimile il suo amore per i figli e anche per Renato, nonostante tutto. Ed è verosimile la risposta che le viene da Tommi e da Viola: questa più affettuosa e immediata, per quanto ben sappia quel che può soffrire a causa dell’instabilità della madre, e quello più chiuso e impaurito, ma pur sempre aperto nell’attesa d’un rapporto tenero e profondo. Alla fine, nonostante tutto appunto, Stefania troverà il modo di darsi all’uno e all’altra come madre.
Quanto a Renato, Rossi Stuart è molto attento a descriverlo e a mostrarlo nella sua ambiguità di adulto adolescente e, insieme, di padre coraggioso e generoso. In un certo senso, è proprio questa ambiguità che più è pagata dai figli, da Tommi soprattutto. In lui entrambi vedono sia un modello sia una smentita dolorosa di quel modello. Al padre devono quel poco d’ordine, di sicurezza e di affetto in cui riescono a vivere. Ma allo stesso tempo in lui soffrono la delusione di sentirla inadeguato al suo ruolo, in rischio continuo di farsi travolgere in quella “competizione” che sempre immagina sia la vita. Renato è un adulto adolescente, appunto. Nei figli non vede in primo luogo una promessa d’autonomia, e anzi proprio il suo dovere d’accompagnarli lungo la costruzione di se stessi. Al contrario, in loro (e in Tommi soprattutto) vede una conferma di sé, una specie di sostituzione e di compensazione biografica. La sua debolezza “chiede” che Tommi non sia debole, e che si affermi vincendo una qualche gara, fosse anche solo una gara di nuoto. E tutto questo Renato fa senza il pudore che si impone a un padre: il pudore di non esporsi ai figli nelle proprie debolezze e nelle proprie miserie, per non appesantirne e intristirne il compito di crescere.
D’altra parte, se un padre “manca” può accadere che il figlio elabori questa sua mancanza, nei casi fortunati approfittando dell’affetto che quello gli dà.
Così fa Tommi: elabora l’insicurezza e la contraddittorietà di Renato anche già solo girovagando sul tetto di casa, in rischio di cadere, ma anche dimostrando a se stesso la propria capacità d’equilibrio e di scelta. Sul tetto, appunto, può osservare il mondo da lontano, standosene in disparte. Ancora, può pensare e valutare. Può nascondersi, e dunque può rivendicare una sua propria storia, una sua propria autonomia. Insomma, può trovare il coraggio necessario a diventare se stesso. Alla fine, come talvolta succede nella vita, Tommi si fa padre di suo padre, responsabile della sua irresponsabilità. E lo fa difendendosi dal pericolo più grande, per sé e per lui: il pericolo di perderlo, impoverendo lui e impoverendo se stesso. Se così accadesse, il suo futuro perderebbe ogni passato, e con il padre rimarrebbe solo un rapporto di rimprovero, di rancore, d’esclusione. Ma questo appunto non accade, e Tommi impara a “perdonare” al padre le sue colpe. Ed è come se nella sua vita che inizia si aprisse la stessa meraviglia inaspettata di quell’albergo quieto sul mare.
Roberto Escobar, Il Sole – 24 Ore, 28 maggio 2006

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