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Locandina del film
Ogni cosa è illumunata - Locandina del film
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Ogni cosa illuminata - Scheda del film

CINEFORUM ARCIFIC OMEGNA
quarantatreesima stagione


in collaborazione con:

CINEMA SOCIALE - S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA - IL CINEMA DIFFUSO
promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS


Giovedì 25 gennaio 2007 – scheda n. 13 (716)

 

Ogni cosa è illuminata

 


Titolo originale: Everything Is Illuminated


Regia: Liev Schreiber

Sceneggiatura: Liev Schreiber, dal romanzo omonimo di Jonathan Safran Foer.

Fotografia: Matthew Libatique. Montaggio: Andrei Marcus, Craig McKay.

Musica: Paul Cantelon. Scenografia: Mark Geraghty.

Interpreti: Elijah Wood (Jonathan), Eugene Hutz (Alex), Laryssa Lauret (Lista),

Stephen Samudowsky (il nonno di Jonathan), Zuzana Hodkova (la mamma di Alex),

Boris Leskin (il nonno di Alex).
Produzione:
Warner Independent Pictures, Telegraph Films, Stillking Films. Distribuzione: Warner.

Durata: 102. Origine: Usa, 2005.

 

Il regista

 

Isaac Liev Schreiber è nato a San Francisco, in California, il 4 ottobre 1967. È uno dei migliori attori della sua generazione, ha studiato recitazione alla Royal Academy of Dramatic Arts e si è laureato alla Yale School of Drama. In teatro ha interpretato molte pièces e in collaborazione con lo Shakespeare Festival del Public Theatre di New York ha prodotto molti spettacoli shakespeariani. Ha anche recitato in film come Big Night di Stanley Tucci e Hello Denise di Hal Salwen. Di recente è apparso con Meryl Streep e Denzel Washington in The Manchurian Candidate di Jonathan Demme. Ogni cosa è illuminata, tratto dal bel romanzo di Jonathan Safran Foer, è il primo film di Schreiber come regista. Qualche sua dichiarazione: «Mi sono avvicinato alla regia per incidente. Quando mio nonno è morto ho deciso di scrivere su di lui, soprattutto per riscoprire il mio passato. Poi ho letto il libro di Foer, e l’ho trovato così vicino alla storia che stavo scrivendo. Ho conosciuto Jonathan, siamo andati a cena parlando di tutto, dei nostri nonni e di politica. Alla fine della serata abbiamo deciso di fare un film… Quella che c’è nel film è innanzitutto la storia di Foer che è molto vicina anche alla mia storia, al mio rapporto col nonno. Penso che l’America sia una nazione di nipoti: tutti noi dovremmo tornare indietro alle nostre radici per esplorare le nostre origini. Everything Is Illuminated è un film sui rapporti nonni e nipoti: se ci fate caso, la generazione dei padri è completamente cancellata… Fare film è un esercizio di memoria. Purtroppo io ho sempre avuto problemi con la memoria. E quando non hai un buon rapporto con la tua memoria, subisci una crisi d’identità. Così quando mio nonno è morto tutto mi è crollato addosso. È lì che ho capito che volevo indagare su mio nonno. Cercare di capire che persona era. Conoscendolo, avrei conosciuto anche me stesso… Ogni anno noi ricordiamo l’olocausto e tutti gli orrori che esso ha portato. Ma si tende spesso a dimenticare che anche chi è sopravvissuto all’evento ha subito una grande crisi. Noi ricordiamo i morti, ma ci dimentichiamo dei vivi, delle anime lacerate dei sopravissuti. Sono persone alienate, dalla emotività disintegrate. Tutti cerchiamo di considerare la morte come qualcosa che non è la fine, pensiamo che i nostri cari morti saranno sempre con noi, dentro di noi. Così, nel film, la morte del nonno è simbolica: è come abbracciare la morte per raggiungere la vita che gli è stata negata».


La critica

 

Magnifica sorpresa, il primo film diretto dall’attore Liev Schreiber, americano trentottenne (il titolo completo sarebbe Ogni cosa è illuminata dalla luce del passato) è divertente, commovente, unico: ricco di umorismo, di tragedia, di complicità, tratto dal romanzo di Jonathan Safran Foer. Un giovane ebreo americano (è Elijah Wood del Signore degli anelli), collezionista di ricordi della propria famiglia, va in Ucraina per cercarne; nel viaggio è accompagnato dalla agenzia Heritage Tours, rappresentata da nonno e nipote sgangherati e da un’automobile scalcinata; non trova il villaggio ebreo che cercava, ma una vecchia signora che conserva memorie di tutto il paese, 1800 persone sterminate dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. Al viaggio partecipa anche una cagnetta «mentalmente degenerata», di nome Sammy Davis junior junior. Lungo le strade ucraine (in realtà della Repubblica Ceca dove il film è stato realizzato) s’incontrano MacDonald’s, ragazzi con lo skateboard e con felpe di università americane, briose orchestrine che accolgono i turisti suonando l’inno sovietico. Alex, l’accompagnatore ucraino, ha paura degli operai, parla una lingua fantasiosa ed elementare che fa ridere (doppiaggio eccellente), ha grandi ambizioni: «Anche a me piace scrivere, ma so di essere nato per fare il commercialista» (in realtà è un ucraino installato a New York, voce della band Gogol Bordello). Il nonno-autista, bisbetico e scostante, incontra se stesso e un passato di insopportabile vergogna. La luna sta nel cielo anche di giorno: il mondo è alla rovescia. Intelligente, spiritoso, pieno di invenzioni, di tenerezza e di senso della vita, Ogni cosa è illuminata, con il suo protagonista che sembra Buster Keaton oppure Clark Kent, la versione in borghese di Superman, è davvero un film singolare e affascinante.

Lietta Tornabuoni, La Stampa, 18 novembre 2005

 

Tradurre un successo letterario in un film è operazione ardua e da affrontare con le cautele del caso, ancor più quando ci si trova dinanzi a testi “fortunati” ma dallo stile molto personale e dalla scrittura talvolta ardita. Il romanzo del giovane scrittore americano Jonathan Safran Foer da questo punto di vista è emblematico e il suo racconto è di quelli che si amano o si respingono, senza compromessi, e molti aspiranti lettori sono stati allontanati dopo poche pagine. Il primo pregio di Liev Schreiber, attore di buona fama alla sua prima esperienza di regia, è proprio quello di tradurre senza tradire il senso profondo e le migliori immagini del libro, in un ordito scorrevole che pare un diario di viaggio alla Chatwin, attraente, affascinante e che mescola con sapienza sorriso e commozione. Il diario racconta la ricerca delle radici europee di un giovane ebreo americano. Catalogatore ossessivo e vegetariano, Jonathan riceve dalla nonna in punto di morte una foto del nonno, scomparso anni prima, ritratto prima della guerra in Ucraina con una donna misteriosa nel villaggio di Trachimbrod. Il ragazzo si affida per la sua ricerca a un’improbabile agenzia turistica e a bordo di una scassata Trabant con il giovane rockettaro dinoccolato Alex, il nonno di lui e il cane Sammy Davis jr jr, troverà le risposte alle sue domande in uno sperduto fazzoletto di terra ucraina e molte ne porrà allo spettatore. Il film infatti è un delizioso viaggio nelle problematiche del mondo di oggi, come ad esempio il confronto tra culture diverse, quasi inconciliabili. Poi c’è il contrasto tra la velocità del quotidiano e la piacevole lentezza di un film che lavora negli affascinanti anfratti proposti dalla dicotomia ricordo/oblio, compreso tra la naturale tendenza dell’essere umano a dimenticare e la necessità di ricordare la propria storia. “Ogni cosa è illuminata dalla luce del passato” e Trachimbrod, il luogo fantastico o cancellato dalla storia degli uomini, diventa finalmente reale, a incarnare l’essenza di quella grande tragedia del mondo che fu l’Olocausto. Se risulta quasi pacifica la bravura dell’attore Schreiber nell’aver assemblato un cast perfetto che mescola star, attori semisconosciuti e esordienti, non così è per le qualità della regia, semplice e lineare ma ogni tanto capace di regalare immagini di grande forza, come quel “muro del ricordo” che l’ossessivo Jonathan costruisce con i suoi reperti.

 

Fabrizio Liberti, Film Tv , n. 46, 15 novembre 2005

 

Gli occhioni liquidi dell’hobbit Elijah Wood (Il Signore degli anelli) guardano una piccola città ucraina cancellata dai nazisti alla ricerca di piccoli oggetti da collezione in Ogni cosa è illuminata, diretta dall’attore-scrittore Liev Schreiber (The Machurian Candidate). Tratto dal romanzo di Jonathan Safran Foer, caso editoriale del 2001, è la storia di un maniacale ragazzino ebreo americano che accumula in sacchetti di plastica sassi, ritratti, grilli, anelli appartenuti alla famiglia e che decide di andare in Ucraina per incontrare la donna che salvò suo padre. Nel suo viaggio tragicomico indietro nel tempo, in compagnia di un vecchio, suo nipote e un cane psicopatico, il ragazzo accumula oggetti per la sua collezione di memoria. Il tema della Shoah si riempie di nuova bellezza nel percorso verso il vuoto della città morta con i due ucraini all'inizio indifferenti verso l'ennesima visita degli ebrei sui luoghi delle stragi. Nello stupore della scoperta di persone, sguardi, fotografie, tracce, si ricompone un passato che non «deve» essere ricordato, ma è semplicemente una parte di noi, un tassello indispensabile per completare il mosaico della vita. Davanti al prato lungo il fiume dove sorgeva la città senza più nome, l’emozione si espande e va oltre ogni appartenenza. «Ho un problema di memoria - ha raccontato il regista - per cui quando mio nonno, un emigrato ucraino, è morto, ho avuto paura di dimenticare la nostra storia e mi sono messo a scrivere. Poi ho scoperto che uno scrittore aveva pubblicato un libro simile, l’ho letto e gli ho chiesto di incontrarci». L’esordio alla regia di Liev Schreiber sarà catalogato come un oggetto prezioso da collezionisti di ogni tipo. Tutti avranno nostalgia di parenti e amici mai conosciuti, parenti e amici di qualcun altro, morti nella città senza nome.

 

Mariuccia Ciotta, Il Manifesto, 11 novembre 2005

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