CINEFORUM ARCIFIC OMEGNA
quarantatreesima stagione
in collaborazione con:
CINEMA SOCIALE - S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna
PIEMONTE AL CINEMA - IL CINEMA DIFFUSO
promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS
Giovedì 12 aprile 2007 – scheda n. 24 (727)
Il regista di matrimoni
Regia e sceneggiatura: Marco Bellocchio
Fotografia: Pasquale Mari Kohout. Montaggio: Francesca Calvelli.
Musica: Riccardo Giagni. Scenografia:Marco Dentici Rolla.
Interpreti: Sergio Castellitto (Franco Elica), Donatella Finocchiaro (Bona Gravina),
Sami Frey (il principe di Gravina), Gianni Cavina (Smamma), Maurizio Donadoni (Micetti),
Bruno Cariello (Enzo Baiocco), Simona Nobili (Maddalena).
Produzione: Film Albatros, Rai Cinema, Dania Film. Distribuzione: 01.
Durata: 107’. Origine: Italia, 2006.
Il regista
Nato a Piacenza nel 1939, Marco Bellocchio è una delle personalità più importanti del cinema italiano fin da quel suo potente (e prepotente) film d’esordio, I pugni in tasca (1965), che colpì come un pugno nello stomaco il cinema e il pubblico italiano per la forza nella descrizione dello sfacelo della tradizione e della rispettabilità borghese. Diplomato in regia al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, ha studiato cinema anche a Londra ed è diventato uno dei migliori autori del cinema italiano post-neorealistico. Il suo anticonformismo si conferma con La Cina è vicina (1967), critica feroce dell’Italia del centro-sinistra. I film successivi approfondiscono l’analisi corrosiva delle istituzioni borghesi con un sarcastico gusto per la denuncia delle varie forme dell’inamovibile potere italiano: la religione, l’esercito, l’informazione, la politica: Sbatti il mostro in prima pagina (1972), Nel nome del padre (1972) e Marcia trionfale (1976). Molto bello è il documentario Matti da slegare (1975), diretto con Silvano Agosti, Sandro Petraglia e Stefano Rulli. Nel 1977, realizza Il gabbiano, da Cechov. Del 1982, è Gli occhi la bocca, storia dell’identificazione di un giovane con il fratello morto. Arriva quindi un periodo di sbandamento con velleità psicanalitiche: Diavolo in corpo (1986), La visione del sabba (1988), La condanna (1990), Il sogno della farfalla (1994). Il regista esce da questa fase poco felice con Il principe di Homburg, da Kleist (1997). Infine, in questi ultimi anni, Bellocchio è tornato davvero grande con La balia (1999), Addio del passato, dedicato a Giuseppe Verdi (2000), e soprattutto con L’ora di religione (2002), sui grandi temi italiani della famiglia, della chiesa e della religione, e con Buongiorno, notte (2003), sulla politica e sul rapimento e uccisione di Aldo Moro. Anche Il regista di matrimoni parla di questa Italia sempre sospesa tra una modernità che non arriva mai e una tradizione che continua a pesare.
La critica
«Due uomini stavano, l’uno dirimpetto all’altro, al confluente, per dir così, delle due viottole». Sì, è Manzoni, il primo capitolo dei Promessi sposi, la passeggiata dalla quale torna «bel bello» don Abbondio. I due uomini che lo aspettano sono i «bravi» di don Rodrigo quelli che gli ordineranno di non sposare, «né domani né mai», Renzo e Lucia. I due «bravi» li incontra anche Franco Elica, il cineasta protagonista di Il regista di matrimoni, nuovo film di Marco Bellocchio. Solo che, essendo in Sicilia, non sono due «bravi» ma due picciotti, eleganti, azzimati, e ugualmente pericolosi. E in fondo sono due «bravi» anche i due pitbull che Elica tiene a bada quando tenta di intrufolarsi nel palazzo del nobile siciliano che l’ha assunto per filmare il matrimonio di sua figlia. In entrambi i casi Elica sta cercando proprio lei, Bona Gravina, «vergine siciliana» destinata a nozze d’interesse. Ieri, alla conferenza stampa di presentazione, un collega ha chiesto conto a Bellocchio di quei cani, e di altri due cagnoni più bonaccioni che compaiono in un’altra scena, e del loro significato simbolico. Il regista ha cortesemente glissato: «Non so, quei due vecchi cani erano lì, sul set... ci sono anche due pesci rossi nell’acquasantiera, in chiesa.:. ma non posso spiegarvi simili immagini. In questi casi aspetto che vengano i critici a darmi una mano», ha chiuso, sorridendo. Chiamati in causa (come categoria), stiamo volentieri al gioco, e ci proviamo. Il regista di matrimoni è un film in cui molte cose sono doppie. I cani, i pesci, i «picciotti», le donne provinate da Elica per il film ispirato ai Promessi sposi (una è Lucia, l’altra la Monaca di Monza), i sogni di Elica in cui il matrimonio di Bona va a rotoli.., e due sono sempre, in ogni matrimonio (anche nei Pacs), gli sposi. Però sono tre i registi. Uno è Elica stesso. L’altro, dal buffo nome di Orazio Smamma, si finge morto per vincere, alla memoria, i premi che non ha mai avuto in vita. Il terzo, Enzo Balocco, è il «regista di matrimoni» del titolo, che campa filmando la vita altrui e sogna, invano, il cinema vero. Ecco, dunque, che tre registi (e ciascuno di loro sembra essere un 33% di alter-ego di Bellocchio medesimo) osservano un mondo duale, in cui tutto sembra doppio e le coppie dialettiche si moltiplicano. Il regista di matrimoni è fatto di contraddizioni: ateismo/fede, bellezza/bruttezza, famiglia/individuo, finzione/documentario, immagine filmica/immagine digitale (quindi, cinema/tv), matrimonio/funerale (il padre di Bona, con lapsus fin troppo chiaro, li confonde), Roma/Sicilia, Lucia/Monaca di Monza... e soprattutto sogno/realtà, che le riassume tutte, perché questo è il film più onirico che Marco Bellocchio abbia girato in vita sua. I dualismi che i tre registi contemplano sono quelli del mondo sociale: le figure del potere (i cani, i piccioni, i pesci che simboleggiano la fede) vanno in coppia, come i carabinieri che arrestano Pinocchio, come le due vecchie zie che perseguitavano un altro artista in crisi, il pittore dell’Ora di religione. Una realtà così, tutta simmetrica, è dialettica, ma non ha profondità. A dargliela è lo sguardo dei tre registi - che poi diventano quattro aggiungendo la loro sintesi, lo stesso Bellocchio. Solo lo sguardo di questo incredibile artista, che dall’Ora di religione in poi sta vivendo un periodo di aurea maturità, giunge alla quarta dimensione: il tempo - perché questo è anche un film sul tempo, sui sogni che irrompono nella quotidianità e le danno nuovi significati, sugli orologi fermi di una Sicilia immota che all’improvviso si rimettono a camminare. E qui sorge, forte, la tentazione di legare il film a cose che non lo riguardano; di dire che la Sicilia si rimette in moto appena sa dell’arresto di Bernardo Provenzano; che quella realtà doppia, divisa in due metà speculari, è la famosa «Italia spaccata» di cui parlano gli analisti del voto senza sapere bene cosa dicono. Lo stesso Bellocchio, che alle elezioni era candidato in un partito fatto della somma di due ex partiti (la Rosa nel Pugno), ha parlato di una metà del paese «in catalessi», insensibile ad ogni stimolo, adagiata nella virtualità televisiva in cui le balle di Berlusconi sembrano vere. Ebbene, Il regista di matrimoni è un film su questa Italia, e sulla necessità, per un artista, di confrontarsi con le sue sonnacchiose abitudini (del resto che fa, un regista di matrimoni? Dà dignità artistica a un rito, opera variazioni su ciò che è eternamente uguale a se stesso). Qualcuno dirà che un film così permeato di sogni riguarda solo il suo artefice. È facile ribattere che i sogni parlano di noi. Il regista di matrimoni è profondamente buñueliano, lo ha confessato Sergio Castellitto ammettendo di essersi ispirato a Fernando Rey, l’attore feticcio di Luis Bunuel. E pochi film francesi raccontano la Francia (e l’Europa) anni ‘70 meglio di Il fascino discreto della borghesia, Il fantasma della libertà e Quell’oscuro oggetto del desiderio, girati dallo spagnolo Buñuel a Parigi fra il ‘70 e il ‘77. Bellocchio ha girato un film sull’Italia di oggi degno di quei tre capolavori: decifrarlo, se ne siamo capaci, sta a noi.
Alberto Crespi, l’Unità, 19 aprile 2006
Bellocchio ha fatto con Il regista di matrimoni un film molto bello di invenzione e realtà, avventure e sogno, ricco di ironia e autoironia. Divertente, di grande stile. Su un tema patetico fisso del cinema italiano, il regista in crisi, ha costruito un labirinto di passioni, viaggi, principesse bellissime, sicari in agguato, scontri, fughe, dove il matrimonio simboleggia la convenzione e costrizione, l’evitarlo rappresenta amore e libertà. Il regista protagonista è in crisi d’età (Bellocchio ha 66 anni); è in crisi perché sua figlia ha sposato un cattolico fervente, uno di quella massa di giovani neoreligiosi che non può non angosciare un agnostico; è in crisi perché costretto a dirigere una ennesima inutile versione dei Promessi sposi e a compiere la cerimonia mortificante dei provini. La notizia di un incidente giudiziario (agenti della Finanza si aggirano muti negli uffici della produzione come in un acquario) lo induce a fuggire. Si ritrova in una Sicilia immaginaria e vera, bellissima: mare d’azzurro perfetto, paesi come presepi, piccole spiagge nascoste, chiese vecchie arrampicate sui dirupi, palazzi decadenti e stupendi, un condensato naturale e spettacolare ideato con assoluto talento. In Sicilia incontra un regista di matrimoni, incontra un altro regista che si finge morto per ottenere il successo che gli è mancato in vita (due figure estreme della sua professione), conosce un principe che gli chiede di realizzare un capolavoro sull’imminente matrimonio di convenienza della propria figlia, la principessa Bona di cui lui si innamora. Dalla Sicilia, schivando i killer, fuggono insieme. Svegliarsi in treno (da un sogno, da una stanchezza amorosa) è un momento d’estasi: forse è la fuga l’unica felicità vera della vita.
Lietta Tornabuoni, L'Espresso, 27 aprile 2006
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