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Il gusto dell'anguria - scheda del film

CINEFORUM ARCIFIC OMEGNA


quarantatreesima stagione

in collaborazione con:

CINEMA SOCIALE - S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA - IL CINEMA DIFFUSO
promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

 

Giovedì 26 aprile 2007 – scheda n. 26 (729)

 

Il gusto dell’anguria

 

 

Titolo originale: Tian bian yi duo yun

Regia e sceneggiatura: Tsai Ming-liang

Fotografia: Liao Pen-jung. Montaggio: Chen Sheng-Chang. Scenografia: Yap Kam-Tim.

Interpreti: Lee Kang-sheng (Hsiao-Kang), Chen Shiang-chyi (Shiang-Chyi), Lu Yi-Ching,

Yang Kuei-Mei, Sumomo Yokazura, Hsiao Huan-Wen, Lin Hui-Xuan, Hung Shu-Mei.

Produzione: Arena Films, Homegreen Films, Arte France Cinema. Distribuzione: Bim.

Durata: 114’. Origine: Taiwan, 2005.

 

Il regista

 

Tsai Ming-liang è nato a Kuching, in Malesia, nel 1957, ma si è presto trasferito a Taiwan, dove ha studiato cinema e teatro, ha lavorato come produttore teatrale, poi come regista televisivo e infine è arrivato al cinema, nel 1991, con Boys e quindi con Rebels of the Neon God (1992), il film che l’ha rivelato alla critica internazionale. Tsai nei suoi film miscela mélo, satira, critica sociale e tradizioni culturali, senza mai smettere di provocare, anche perché mette spesso in scena il sesso con verità e sensibilità, senza particolari filtri, semplicemente per quello che è, nudo e crudo. Con Vive l'amour (1994) ha vinto il Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia: famosa la scena di pianto di dieci minuti. Tsai ama molto usare nei suoi film le canzoni pop e servirsi molto poco dei dialoghi. Nel 1997, affronta un argomento scabroso come l’incesto con Il fiume, poi passa all’ossessivo e stranamente divertente. oltre che piovoso (piove sempre molto nei film di Tsai) The Hole - Il buco. Del 2001 è Che ora è laggiù?, film girato tra Europa e Asia. Molto originale è Goodbye Dragon Inn (2004), omaggio al cinema di una volta. Questo Il gusto dell’anguria è certo il suo film più stuzzicante… e lo si capisce fin dalle prime scene: un misto di sesso e musical, con le inquietudini di una generazione allo sbando. Il suo ultimo I Don't Want to Sleep Alone è stato presentato alla Mostra di Venezia del 2006.

 

La critica

 

Una donna con le cosce divaricate a stringere una mezza anguria poggiata sul pube e un giovane stallone che si accanisce sul frutto simulando un violento atto sessuale che poi approderà a un coito consumato fra gemiti incontrollati. Ripresa nel manifesto pubblicitario, la scena indurrebbe a pensare che Il gusto dell’anguria sia una (fantasiosa) pellicola porno. Ma non è così: ne fa fede il fatto che il film, laureato per la migliore sceneggiatura alla scorsa Berlinale, porta la firma di Tsai Ming-Liang, pluripremiato regista di Taiwan. Il quale ha dichiarato che, pur non scartando la possibilità di choc da parte del pubblico, ha inteso fare esattamente l’opposto di un prodotto a luci rosse. Semmai la sua è un’elegia sulla perdita dell’amore innocente in una società dominata dal materialismo. Il tutto emblematizzato attraverso la vicenda di Hsiao Kang, attore di video porno che a causa del suo lavoro rischia di inquinare il puro rapporto sentimentale appena sbocciato con Shiang-Chyi. Si incontrano in una Taipei desolata su cui incombe l’incubo della siccità, in quanto Shiang-Chyi abita al piano di sopra dello studio dove le prodezze di Hsiao Kang con una disinibita partner giapponese vengono riprese. La ragazza raccoglie ossessivamente bottiglie di plastica che riempie di acqua rubata dove può; mentre il giovane si lava di notte nell’acqua un po’ putrida dei cassoni.
Il tema dell’anguria è ambivalente: se può essere un (davvero insolito) strumento di sesso, il suo succo ne fa il dono ideale per una popolazione assetata. Il titolo originale, Una nuvola sull’orlo del cielo, spiega meglio di quello italiano che il film racconta due solitudini venute a contatto al pari di due nuvole. Come nel precedente The Hole (che era a nostro avviso più risolto), Tsai Ming-Liang alterna lunghe sequenze alla Antonioni ad arditi intermezzi erotici e a colorate scene di musical: valga per tutte quella in cui Hsiao Kang, mentre si masturba per prepararsi alla ripresa, si immagina come un grande pene. L’insieme è sconcertante, bizzarro, a volte irritante, a volte poetico. Allo spettatore decidere se fa per lui.

Alessandra Levantesi, La Stampa, 25 novembre 2005

 

Il venditore di orologi di Taipei e la ragazza in trasferta a Parigi di Che ora è laggiù? sono tornati. Di nuovo in patria, lei si aggira per una città vuota, in preda a una siccità senza rimedio, mentre lui ora è un attore di film hard, realizzati nel palazzo in cui vivono entrambi. Ma non s’incontrano né si parlano (quasi) mai, in quest’ultimo, estremo, tableau vivant (e chantant) di Tsai Ming-Liang. Vagabondaggi solitari e solipsistici da nouvelle vague, comunicazione azzerata, sessualità desemantizzata. Come in The Hole, coreografie povere ma geniali e numeri cantati aggiornano la decadenza dei musical di Hong Kong anni ‘50 in stile hollywoodiano. Più che di una commedia sexy - l’anguria non è l’anguilla mariniana, nonostante l’ammiccante campagna stampa – si tratta di un polittico sul senso del corpo. Quello “al lavoro”, e bellissimo, dell’attore feticcio Kang-Sheng Lee. Deprivato, non depravato. Più che di gusto dell’anguria si dovrebbe parlare di gusto del corpo, del rappresentarlo e ascoltarlo piangere. Di humour ce ne vuole molto, per disporsi alla visione dell’autore, capricciosa come la nuvola del titolo originale. Un finale talmente mortuario da essere interpretato come un vive l’amour.

Raffaella Giancristofaro, Film Tv, 13 dicembre 2005

 

Osceno, variopinto, imprevedibile, esilarante. E poetico, concettuoso, pretestuoso, pieno di gemiti e di canzoni ma povero di parole, rutilante, estenuante, quasi hard. Dai tempi di Vive l’amour ogni film di Tsai Ming-liang è una sfida, ma Il gusto dell’anguria è un festival di contraddizioni. I protagonisti vengono da un film casto e rarefatto del 2002, Che ora è laggiù? Qui invece si girano film porno con uso ricorrente e creativo di cocomeri; si allestiscono irriverenti balletti sotto la statua del generale Chiang Kai Shek, “padre” dell’indipendenza di Taiwan; si lotta scalzi contro granchi giganti decisi a non finire in pentola. Insomma si celebrano glorie e miserie del nostro corpo, errabondo e penetrabile come una nuvola (il titolo originale è The Wayward Cloud). Dunque sempre mutevole e insoddisfatto come il desiderio e il suo corollario, la solitudine. Cercare un senso però è un (nostro) vizio, non un obbligo. Per apprezzare il film, che suscita risate irefrenabili o tedio e irritazione, conviene accantonare ogni pretesa di racconto e godersi i numeri erotici e musicali. La sconcia polpa dei frutti, il balletto a sessi invertiti (lui in rosa, lei chapliniana), il numero neo-pop dell’uomo-fallo avvolto da tubi di gomma circondato da ballerine coperte da imbuti (messaggio: l’eros non è una faccenda chimica, ma idraulica). Geniale? Forse. Narciso? Senz’altro. Telefonatissimo comunque il gran finale. Anche senza tutti quei cocomeri, Eros rima comunque con Thanatos.

Fabio Ferzetti, Il Messaggero, 25 novembre 2005

 

Maneggiare con cura, è un capolavoro per chi ama il cinema del silenzio e l’infelicità «made in Taiwan» dove la scena fissa ha tempi emotivi perfetti. Ming-Liang, geniale autore di Vive l’amour!, racconta due destini che si uniscono in un luogo minacciato da siccità, in cui l’anguria si fa bevanda e viene usata in modo improprio e sadico nel sesso. È amore estremo, come sanno i fan del grande Tsai, che qui prova a inserire, indicando la finzione, alcuni numeri da musical di cui uno cult nei cessi. Un film sul corpo, la cosa più bella e più laida: lui è attore porno e il regista fa il voyeur. La fiducia nell’immagine immota, la crudeltà del travolgente finale con il coito conto terzi e il viso affondato nel sesso, la desolazione di questo impero dei sensi in cui il volto è davvero uno specchio di emozioni negate, fanno di questo film una grande esperienza in cui bisogna sintonizzarsi. Voto: 9.

Maurizio Porro, Il Corriere della Sera, 26 novembre 2005

 

Tsai Ming Liang, esteta irriducibile, creatore di un tempo sospeso e unico, affogato in liquidi amniotici più velenosi che vitali, imbastisce e cuce questa volta, con The Wayward Cloud (La nuvola capricciosa), in Italia Il gusto dell’anguria, un poema sull’apocalisse prossima ventura, una love story di fantascienza, divorata, consacrata e purificata dalle acque. La nuova opera (sfiorò l’Orso d’oro alla Berlinale 2005) è di sorprendente, solare ottimismo, anche se racconta la vita di un attore porno, ex venditore di orologi, che rivede un’amica perduta, ignara del suo nuovo lavoro, in un mondo disseccato, meccanico, senza amore e sentimenti, alienato e sul punto di morire di sete. I due ragazzi (l’attore è l’icona del regista, Kang-sheng Lee e Shiang-chyi Chen già protagonista in Che ora è laggiù?) vivono e lavorano, sempre a corpi divaricati, in un condominio quasi disabitato e umidiccio, attraversando le più squallide gallerie della metropolitana, carichi di quegli ingombranti baccelloni verdi e rossi, lei divorata a tempo intero dalla solitudine, lui accoppiato, a tempo intero, e a ritmi animali, alla partner del set soft/hard, mentre la cinepresa non si ferma mai e la finta doccia serve ad aggiungere un tocco di classe, sì, perché l'acqua scarseggia per davvero. (…)

Roberto Silvestri, Il Manifesto, 25 novembre 2005

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