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L'eccezione alla regola - Scheda del film

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE  S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Giovedì 19 ottobre 2017 – Scheda n. 2 (1004)

 

 

 

 

 

L’eccezione alla regola

 

 

 

 

 

Titolo originale: Rules Don’t Apply

 

Regia e sceneggiatura: Warren Beatty

 

Fotografia: Caleb Deschanel.

Musica: Christine Bergren, Andrew M. Chukerman.

 

Interpreti: Warren Beatty (Howard Hughes), Lily Collins (Marla Mabrey),

Alden Ehrenreich (Frank Forbes), Annette Bening (Lucy Mabrey),

Matthew Broderick  (Levar Mathis), Candice Bergen (Nadine Henly),

Martin Sheen (Noah Dietrich), Paul Sorvino (Vernon Scott).

 

Produzione: New Regency Pictures. Distribuzione: 20th Century Fox.

Durata: 126’. Origine: Usa, 2016.

 

 

Warren Beatty

 

 

Nato nel 1937 (80 anni) a Richmond in Virginia, Usa, Warren Beatty, attore, regista, sceneggiatore e produttore, è fratello dell’attrice Shirley McLaine. Studia teatro. Debutta in televisione nella serie The Many Loves of Dobie Gillis. Nel 1959 arriva a Broadway. Nel 1961 Elias Kazan gli offre il ruolo del protagonista di Splendore nell’erba e il film, un meraviglioso film, ottiene un grande successo, anche grazie a Beatty e a Nathalie Wood. Vengono poi La primavera romana della signora Stone (1961) con Vivien Leigh, E il vento disperse la nebbia di  John Frankenheimer (1962), Mickey One di Arthur Penn (1965) e un altro successo, Gangster Story (1967) ancora di Arthur Penn. Sempre come attore recita in L’unico gioco in città (1968) di George Stevens, con Elizabeth Taylor, nel gran western I compari (1971) di Robert Altman, in Perché un assassinio (1974) di Alan J. Pakula e in Due uomini e una dote (1974) di Mike Nichols, accanto a Jack Nicholson. Comincia a interessarsi alla regia e alterna film come attore ad altri, non molti, come regista. Debutta dietro la macchina da presa con Il paradiso può attendere (1978), seguito da Reds (1981), Dick Tracy (1990), Bulworth - Il senatore (1998) fino a questo L’eccezione alla regola (2016).

Per il film Reds, sulla Rivoluzione d’Ottobre e sulla figura dello scrittore americano John Reed, sostenitore della rivoluzione sovietica, Beatty ottenne le più importanti candidature all’Oscar: miglior attore, miglior produttore, miglior regista e miglior sceneggiatura (solo Orson Welles aveva raggiunto lo stesso risultato con Quarto potere; Reds di Oscar ne vinse tre: miglior regia, miglior attrice non protagonista - Maureen Stapleton - e miglior fotografia - Vittorio Storaro). Nel 1998 ha ricevuto a Venezia il Leone d’oro alla carriera.

Annette Benning, che quest’anno era a Venezia come presidente di giuria, è la moglie di Warren Beatty dal 1992: hanno quattro figli. Sono innumerevoli le relazioni sentimentali attribuite a Beatty (prima di Annette Benning): Joan Collins, Natalie Wood e la sorella di lei Lana Wood, Leslie Caron, Julie Christie, Goldie Hawn, Cher, Michelle Phillips, cantante dei Mamas & Papas, Diane Keaton, Isabelle Adjani, fino a Madonna. 

 

 

La critica

 

 

Naturalmente si useranno confronti e similitudini fra personaggio e autore. Benissimo, e corretto. La cosa più scontata sarebbe però la comparazione fra l’Howard Hughes di Beatty e quello di The Aviator di Martin Scorsese: scontata perché banale e prevedibile, tanto che potrebbe venire liquidata con l’ammettere che L’eccezione alla regola è il film che Scorsese non è più in grado di fare. Ma più dell’imbastardimento hollywoodiano dell’innocenza, argomento-ombrello valido un po’ per tutte le stagioni, e diventato ormai cliché (si veda di recente Café Society), qui c’è un esercizio della parola che non è riuscito neppure all’ultimo Allen. La parola quale difesa estrema contro l’oblio (e la sordità), arma imprenditoriale e individuale, sublimazione di una tensione alla sfida (e all’annullamento di sé). La parola come identità prima e ultima.

Allora più del “classico” ritratto, in questo straordinario castello di carte destinato a non cadere conta veramente la “retorica” del verbo, con la quale ci si dà e si comunica, si commercia e ci si vende. In L’eccezione alla regola la parola è la sola immagine che forma la realtà: rappresentazione e lusinga, verità e menzogna, impressione e prodotto di consumo, all’altro capo del telefono, dietro una tenda, nell’ombra, praticata con un documento o con una firma, la parola di Howard Hughes (due “h”), dell’attrice di belle speranze Marla Mabrey (due “m”, come Marilyn Monroe) e dell’autista Frank Forbes (due “f”) è il disegno progettuale di un’industria ma soprattutto di un’epoca, quella del film e quella odierna. Giorni di passione, giorni di gloria: quando si inventano aerei, si mangia «bistecca, purè e pisellini» in monoporzione («Just about every single one of my favourites», i favoriti d’America), e la parola stessa sceglie di diventare uno strumento di meraviglia.

Straordinario Beatty, che a ottant’anni produce, scrive e gira un film modernissimo sulla persona come riproduzione di un mondo (e come lo gira! Occhio al montaggio, per cui sono accreditati in quattro: roba da non crederci), sull’icona quale sembianza, moltiplicazione indomabile e incalcolabile, voce che c’è e non c’è, esiste ma non si vede, ordina ma si ritrae. Un suono che detta le regole e però anche le sue eccezioni, il tutto e il niente; un suono che travolge ed è travolto, che crea e disfa, a cui è irresistibile concedersi e inevitabile prima o poi sottrarsi. La società dello spettacolo e dell’oro: quella dove la parola è una promessa mantenuta e insieme il suo tradimento, la promessa di una vita e la sua infedeltà. E in quel passaggio di testimone conclusivo, vecchio e bambino, padre e figlio, passato e futuro, racchiuso in un dialogo e in uno sguardo brevi e di un’intensità commovente, in quell’incontro predestinato che azzera ogni distanza e alza il sipario, giace la culla del nostro presente, cioè l’uditore esclusivo di una parola più grande del suo medesimo “architetto”, parola di dio e di uomo che fabbrica un sogno e l’illusione di farne parte, corpo e fantasma, idea e ideologia. È il presente che ci riguarda, del quale siamo inutilmente e fatalmente innamorati.

PPier Maria Bocchi, filmtv, n. 17, 2017

 

A tratti sgangherato ma indubbiamente accattivante, il ritorno alla regia di Warren Beatty ripercorre la vita dell’eccentrico milionario Howard Hughes a cavallo tra gli anni ’50 e ’60. L’eccezione alla regola guarda all’ultimo Woody Allen di Café society nei suoi istinti da commedia romantica, salvo poi diventare un tour de force attoriale per lo stesso regista, calatosi proprio nei panni del geniale miliardario americano dipingendone con taglienti sferzate ironiche la sua crescente follia. Tanto che la love-story in divenire tra Lily Collins e Alden Ehrenreich, incipit centrale d’inizio visione, diventa l’ennesimo elemento di contorno di una figura egotica e annullante che rischia in più occasioni di mangiarsi tutto il film, fortunatamente salvato dalle ottime interpretazioni e da scelte stilistiche pregne di un catalizzante fascino. Non è certo il primo, e non sarà neanche l’ultimo, film incentrato sulla vita di Howard Hughes, figura a tutto tondo della scena hollywoodiana e finanziaria statunitense, leggendario imprenditore, regista, aviatore e produttore cinematografico. E così dopo il The Aviator (2004) di Martin Scorsese, in cui il miliardario era interpretato da Leonardo DiCaprio, è ora il turno di Warren Beatty, che vuole dire la sua su un personaggio così eccentrico e controverso che ha segnato decenni della storia americana con L’eccezione alla regola. Il sex simbol della New Hollywood alla soglia degli ottant’anni, e a diciotto dalla sua ultima regia, torna dietro e davanti la macchina da presa per dar vita ad una sua sceneggiatura basata su un periodo complesso del magnate, che è sì protagonista ma divide la scena con un’aspirante attrice e un autista della sua compagnia. È proprio tra i due giovani che nasce una platonica relazione, malvista dallo stesso Hughes che vietava categoricamente complicazioni sentimentali tra coloro che erano nel suo libro paga e che porterà ad inaspettate conseguenze, coincidenti con la possibile demenza senile di cui lo stesso miliardario comincia a soffrire.

Assimilabile per molti versi al di poco precedente e già ricordato Café Society (2016), L’eccezione alla regola ha in comune sia spunti narrativi che le atmosfere da commedia vintage rintracciabili nella suddetta pellicola alleniana, trovando comunque una sua personale strada nelle due ore di visione. Beatty dà vita ad una creatura fortemente imperfetta ma in più di un’occasione dannatamente irresistibile, colmata anche nei passaggi più imprecisi da una gaudente ironia inerente proprio la progressiva “pazzia” di Hughes, al centro di dialoghi e sequenze in cui è difficile trattenere le risate. Proprio il miliardario, interpretato con sardonico istrionismo dallo stesso regista, acquista progressivamente il ruolo di star assoluta diventando elemento determinante e di disturbo nella nascente love-story tra i personaggi di una splendida e intensa Lily Collins e di un ligio ma efficace Alden Ehrenreich: la devozione verso Hughes infatti richiede un annullamento totale delle proprie priorità in favore delle eccentriche follie del miliardario. E così nella narrazione si muovono tonalità leggere e amare in un costante balletto delle parti, messo in scena con un’eleganza raffinata nelle ricostruzioni scenografiche e ambientali e calcato da un cast delle grandissime occasioni in ruoli più o meno secondari (Ed Harris, Matthew Broderick, Michael Sheen, Alec Baldwin, Candice Bergen, Annette Benning tra i tanti nomi di rilievo) la cui parzialmente sbavata coesione è abilmente nascosta da scelte registiche ispirate capaci di appassionare alla bizzarra piega del racconto fino ai titoli di coda.

MMaurizio Encari, everyeye.it, 30 aprile 2017

 

 

 

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La mia vita da zucchina

 

di Claude Barras

 

 

Icaro, un bambino solitario che passa il tempo in soffitta a disegnare, viene soprannominato Zucchina. Il papà se n’è andato. La mamma vive tra la tv e il frigo dove si rifornisce di birra.

Poi succede una cosa incredibile: terribile ma anche bellissima. E Zucchina finisce in un posto che tutti crediamo orribile ma che può essere bellissimo. Dove comincia a  vivere in santa pace, dove le persone che lo circondano, grandi e piccoli (Camille!), lo trattano bene.

Un meraviglioso film svizzero-francese che ci fa piangere lacrime di gioia. Un perfetto esempio di romanzo di formazione. Esordio di un giovane regista, Claude Barra. Sceneggiatura di una affermata regista francese, Céline Sciamma.

Durata: 66 minuti.

 

 

Giovedì 26 ottobre, ore 21

Cinema Sociale - Omegna

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