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Mister Universo - Scheda del film

 

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CINEMA SOCIALE  S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Giovedì 7 dicembre 2017 – Scheda n. 9 (1011)

 

 

 

 

 

Mister Universo

 

 

 

Regia: Tizza Covi e Rainer Frimmel

 

Sceneggiatura: Tizza Covi. Fotografia: Rainer Frimmel. Musica: Tizza Covi.

 

Interpreti: Tairo Caroli, Wendy Weber, Arthur Robin, Lilly Robin:

 tutti interpretano loro stessi.

 

Produzione: Rainer Frimmel per Vento Film. Distribuzione: Tycoon Distribution.

Durata: 90’. Origine: Italia, Austria, 2016.

 

 

Tizza Covi e Rainer Frimmel

 

 

Ritorna al Cineforum la coppia italo-austriaca formata da Tizza Covi (Bolzano, 1971) e da Rainer Frimmel (Vienna, 1971). Di loro abbiamo presentato il bel film d’esordio La pivellina (2009, titolo completo: Non è ancora domani – La Pivellina). Tizza Covi ha vissuto a Parigi e a Berlino. A Vienna ha studiato fotografia. A Roma ha lavorato come free-lance. Rainer Frimmel ha studiato psicologia a Vienna e si è diplomato in fotografia alla stessa scuola di Tizza Covi. Dal 1996, i due lavorano insieme. Nel 2002 hanno fondato una casa di produzione, la Vento Film, e hanno prodotto La pivellina che ha avuto una grande fortuna, è stato visto in più di 130 festival e ha ricevuto premi dappertutto. Del 2012 è Der Glanz des Tages. Del 2014 è il doc Der Fotograf Vor Der Kamera. Nel 2016 hanno prodotto Mister Universo, premiato al festival di Locarno.

Sentiamo i registi: «Spigolatura 1: in Mister Universo viene mostrata una cosiddetta “salita in discesa”, una di quelle strade che sembrano andare in discesa ma in realtà sono in salita. Quella che appare nel film si trova ad Ariccia, zona a sud est di Roma, ed è la più famosa in Italia (pare ve ne siano cinque in tutto). Tra il lago di Albano e quello di Nepi, statale 218 in direzione Rocca di Papa, si raggiunge un dosso segnalato da un pilastro; da qui inizia una discesa davvero particolare, in cui il campo gravitazionale sembra invertito. Qualsiasi oggetto sferico o cilindrico risale spontaneamente la pendenza e anche i mezzi su ruote accelerano in salita e rallentano in discesa. L’intera area è annoverata tra le zone più anomale dal punto di vista magnetico rispetto all’andamento naturale del magnetismo terrestre, e ogni anno centinaia di curiosi tentano con ogni mezzo (bottiglie, auto…) di verificare questi eventi straordinari. Tante sono le teorie più o meno fantasiose su questo fenomeno, nate anche sulla natura vulcanica del luogo, e alla sacralità attribuita al sovrastante Monte Cavo, attraversato dall’antica via Sacra. Gli esperti però liquidano il tutto parlando di una complessa illusione ottica: è stato dimostrato da numerosi studi scientifici che quella che a noi appare come una salita è in realtà una leggera discesa, che non si riesce a percepire come tale perché preceduta e seguita da una forte salita, oltre che per via della mancanza di un riferimento all’orizzonte (che eliminerebbe questa visione distorta).

Spigolatura 2: Mister Universo è il quinto film che noi due, Covi e Frimmel, giriamo in analogico, cioè in pellicola. Abbiamo comprato un sacco di pellicola Fuji. Ora, però Fuji non produce più pellicole. Il loro prossimo film sarà su Kodak. La pellicola è semplicemente il mezzo che si adatta meglio al nostro modo di lavorare.

Spigolatura 3: Il film è il simbolo di un mondo che sta scomparendo e che volevamo assolutamente raccontare. Il tempo che non torna è incarnato da personaggi che rappresentano chiaramente la fine di un’epoca, come lo zio di Tairo, cantante di balera che rinnega il suo passato, o la scimmia che ha lavorato con Adriano Celentano, in La dolce vita, in Phenomena, ecc. E gli animali simboleggiano un tipo di vita, quella del circo, che tra qualche anno non esisterà più. E il circo, come si sa, stretto tra crisi economica, polemiche animaliste e bambini sempre più attratti da altri divertimenti, si trova in grandissima difficoltà con spettatori e incassi in netto calo. È di qualche mese fa l’annuncio che il Circo Barnum chiude dopo 146 anni. Il rischio è che vada perduta una tradizione straordinaria che ha plasmato l’immaginario di intere generazioni e ispirato il genio di artisti come Federico Fellini».

 

 

La critica

 

 

Dove potrebbero nascondersi con più efficacia il fantastico e il favoloso, se non nel fluire del mondo ordinario? Lì, per vederli e riconoscerli servono occhi disposti a stupirsi, al pari di quelli con cui Tizza Covi e Rainer Frimmel hanno realizzato “Mister Universo (Italia e Austria, 2016, 90’). Scritto come se fosse un documentario - e girato nella materialità della pellicola, per amore del cinema del passato -, il loro film inventa una settimana nella vita di Tairo Caroli (lui stesso), domatore di belve. Per la verità, il giovane Tairo non ‘doma’ i suoi due leoni e le sue due tigri. Piuttosto, ci vive insieme, le accudisce, ci parla con tenerezza, e poi, giorno dopo giorno, si esibisce con loro davanti al pubblico di un piccolo circo. Il suo è un mestiere destinato a morire, residuale e marginale. Anche lui si direbbe residuale e marginale, al pari della roulotte che gli serve da casa, e al pari dei pochi altri che con lui si ostinano a far sopravvivere uno spettacolo antico, quasi si illudessero di invertire la direzione del tempo. C’è una strada in salita che invece è in discesa, dice il domatore a Wendy Weber (lei stessa), contorsionista ventitreenne con il mal di schiena. E le promette che ce la condurrà, perché i suoi occhi si stupiscano. Da tempo immemorabile, su quella strada che passa fra i colli Albani accade davvero - o davvero sembra accadere - che l’acqua versata al suolo scorra verso l’alto. Basta andarci, perché il fantastico e il favoloso si mostrino. Non importa che si tratti di un’anomalia nel magnetismo terrestre, come qualcuno immagina, o che si tratti di un’illusione prospettica. Importa che in quel luogo il fluire del mondo ordinario venga capovolto. Da bambino, Tairo ha avuto in dono un oggetto cui ancora affida la propria buona sorte, prima di lavorare con le sue bestie. Si tratta di una piccola barra d’acciaio, a forma di u. Ora qualcuno gliel’ha sottratta, forse per invidia. A piegarla e a regalargliela è stato Arthur Robin, il Mister Universo del 1957, il primo dalla pelle scura. Per decenni Arthur Robin è stato l’Uomo Forte nel circo di Orlando Orfei, e ora si dice stia da qualche parte in Piemonte. A Tairo non resta che cercarlo di circo in circo, per averne un altro portafortuna d’acciaio a forma di u. Inizia così il suo viaggio in direzione del Nord. Mentre Tairo sale (o scende) verso il luogo dove incontrerà Mister Universo, Wendy lo aiuta a ritrovare la sua buona sorte affidando a un ruscello una ciotola di vetro in cui brucia una candela, simbolo e somma di ogni suo male possibile. Così le ha detto di fare una veggente, una strega buona. E così lei fa, senza avvedersi che la ciotola non segue il fluire dell’acqua, ma lo risale. Quanto a noi, ancora non sappiamo se il cammino del giovane domatore sarà in salita o in discesa. Certo, non ha nulla a che vedere con le povere ovvietà, con le misere vicende già tutte sapute di cui sono colmi troppi film, quelli italiani in primo luogo. La macchina da presa di Covi e Frimmel ci mostra invece uomini e donne che, uno per uno, hanno una originalità sorprendente, e una freschezza così antica da essere del tutto nuova e inaspettata. Come Tairo, anche loro sono residuali e marginali. Forse per questo hanno visi che non si possono confondere con centinaia o migliaia di altri visi? Certo, esclusi dal fluire trionfante del presente, appartengono al passato, dal cui fondo riemergono. Ma il piacere di guardarli è tale, che quasi diremmo di trovarci anche noi sulla strada che attraversa i colli Albani, là dove il su e il giù giocano e si confondono. Alla fine, il viaggio di Tairo conduce a Varallo Pombia, in un parco safari. Lì vive Arthur Robin (lui stesso) con la moglie Lilly (lei stessa). Non piega più barre d'acciaio, Mister Universo, ma è ancora l’Uomo Forte di un tempo. E Tairo ha la prova che il favoloso e il fantastico non obbediscono al fluire del mondo ordinario. Come lo sanno Covi e Frimmel, che nel passato cercano una strada verso il futuro.

RRoberto Escobar, Il Sole 24 Ore, 19 marzo 2017

 

Unico. Un’idea di cinema che lambisce i limiti cerebrali della cosiddetta ‘docufiction’ e se ne libera in un radioso ‘presente’. Chissà quanti felici pochi riusciranno a vederlo, tra le uscite armate dei titoli potenti. Ma è un gioiellino. Ancora la vita dietro le quinte del circo per gli autori del bellissimo “La pivellina”. Una storia semplice: un giovane domatore di leoni, deluso dall’incertezza dell’amata contorsionista, viaggia dalla periferia di Roma alla periferia di Milano alla ricerca di Mister Universo, che un giorno piegò un ferro e glielo regalò come portafortuna. Un cuore pieno: senza parerlo, tra pochi indizi e tanti incontri (amici, parenti, la mamma) cresce una condizione umana di rara incondizionata onestà. Ogni attore fa se stesso. E quel ferro vale un fiore di Charlot.

SSilvio Danese, Il Giorno, 9 marzo 2017

 

Avevamo lasciato Tairo tredicenne nella famiglia di circensi di San Basilio a Roma nel film “La Pivellina”, dove insegnava alla piccolina lasciata dalla mamma che prima o poi sarebbe tornata a riprenderla, i primi insegnamenti fondamentali (‘di’ forza Juve’ ‘No’). Tairo Caroli, il giovane domatore, ritorna ora appena ventenne in “Mister Universo” il nuovo lungometraggio diretto da Tizza Covi e Rainer Frimmel. Nel nuovo film affrontano ancora il mondo del circo, racconta il fuori scena, incanta anche senza spettacolo, il fango da attraversare e le impeccabili ‘mises’ da indossare, il forte tessuto familiare. E anche i drammi, come il furto del ferro portafortuna donato a Tairo quando aveva cinque anni dal famoso Mister Universo del 1957. Nel film si avverte la grande distanza tra i valori contemporanei e quelli espressi dalla società del Circo, chiusa come un eccentrico paese.

SSilvana Silvestri, Il Manifesto, 9 marzo 2017

 

 

 

 

 

 

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Ritratto di famiglia

 

con tempesta

 

di Kore-Eda Hirokazu

 

 

Di Hirokazu Kore-eda abbiamo visto al cineforum Father and Son e il bellissimo Litlle Sister. Questo suo nuovo film, presentato al festival di Cannes, parla ancora di una famiglia che, come dice il titolo, deve attraversare una notte tempestosa.

Gesti quotidiani, scontri e incontri di caratteri, relazione padre-figlio, un padre assente e alla deriva, la delusione del figlio. Non si diventa padri da soli, c’è sempre un bambino a insegnare l’amore, è sempre lo sguardo di un bambino a fare di un uomo un padre...

Durata: 117’.

 

 

Mercoledì 13 dicembre, ore 21

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