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Il cittadino illustre - Scheda del film

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALE  S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Giovedì 15 febbraio 2018 – Scheda n. 17 (1019)

 

 

 

 

Il cittadino illustre

 

 

 

 

Titolo originale: El ciudadano ilustre

 

Regia: Gastón Duprat, Mariano Cohn

 

Sceneggiatura: Andrés Duprat. Fotografia: Gastón Duprat, Mariano Cohn.

Musica: Toni M. Mir.

 

Interpreti: Oscar Martínez (Daniel Mantovani), Dady Brieva (Antonio),

Andrea Frigerio (Irene), Nora Navas (Nuria),

Manuel Vicente (Intendente).

 

Produzione: Arco Libre, Aleph Media. Distribuzione: Movies Inspired.

Durata: 118’. Origine: Argentina, 2016.

 

 

Gastón Duprat e Mariano Cohn

 

 

Duprat è nato nel 1969, a Bahia Blanca. Cohn nel 1975, a Villa Balester. In Argentina. Cominciano a lavorare in tv nel 1999, creano il primo reality al mondo, Televisión Abierta, dove gli spettatori possono chiamare un cameraman a casa. Al cinema fanno videoarte e film sperimentali, molto premiati, come El hombre que murió dos veces (1991), Un día más en la tierra (1993), Circuito (1996), Venimos llenos de tierra (1998), Soy Francisco López (2000), Veinte Doce (2001) e Hágalo usted mismo (2002). Fondano e dirigono due reti televisive: Ciudad Abierta (2003), la rete statale della città di Buenos Aires, e Digo (2012), la rete pubblica della provincia di Buenos Aires. Girano lungometraggi: Enciclopedia (1998), doc sperimentale; Yo Presidente (2003), con interviste ai presidenti Alfonsín, Menem, Duhalde e Kirchner; El Artista (2006), sull’arte contemporanea; El hombre de al lado (2008), film girato in una casa progettata da Le Corbusier; Querida voy a comprar cigarrillos y vuelvo (2011), di genere fantastico; Living Stars (2014), film che riprende il concetto di Televisión Abierta; e questo Il cittadino illustre (2016), presentato con successo a Venezia 2016 e Coppa Volpi all’attore Oscar Martinez.

Sentiamo i due registi: «Nella fama e nell’idolatria c’è qualcosa di oscuro e perverso che ci affascina. Mettere su un piedistallo un essere umano è qualcosa che ha a che fare con la codardia: immediatamente ti poni in una situazione di inferiorità di fronte al tuo idolo e questo ti serve per esimerti dalla tua responsabilità. Tu pensi che il tuo idolo incarni una serie di valori come la solidarietà o il lavoro duro, e quindi decidi che non c’è bisogno che tu lo difenda. Per questo passiamo con leggerezza dall’amare qualcuno all’odiarlo. Noi crediamo che il nostro film parli di miserie che sono universali. Dappertutto ci sono degli stupidi che ammirano più la fama che il merito e dei mediocri che invidiano i risultati ottenuti dagli altri. Cerchiamo anche di mostrare alcuni modi di pensare molto argentini: siamo molto sciovinisti, però nello stesso tempo critichiamo tutto e tutti e ci vantiamo di dire quello che pensiamo...

Il cittadino illustre è esattamente il film che volevamo fare. Crediamo che non sia necessario abbassare il livello artistico del film per far sì che la gente vada a vederlo. Se abbiamo girato il film con in mente il pubblico, non abbiamo per questo cambiato i nostri intendimenti...

Il villaggio di Salas è immaginario ma ha molte caratteristiche dei paesini argentini. Non è una parodia: diciamo che è piuttosto la fotografia di una realtà. Tutti i personaggi del paese corrispondono a degli stereotipi che abbiamo costruito sulla base delle idiosincrasie degli argentini, ma sappiamo benissimo che queste stesse caratteristiche le possiamo trovare in qualunque altro posto in giro per il mondo, in posti tanto diversi come il Brasile, l’Italia, la Spagna o gli Stati Uniti...

E questo succede anche nelle città e nei quartieri cittadini. La nostra idea era raccontare tutti questi fatti senza essere indulgenti, cosa che non succede da molto tempo nel cinema argentino che di solito rivisita il passato di 30 o 40 anni fa ma non fa quasi mai un ritratto ravvicinato e vero della situazione attuale...

I nostri film devono essere completati dallo spettatore. Non cerchiamo un pubblico passivo. Non proponiamo una linea compatta o delle sicurezze. Proponiamo piuttosto degli interrogativi e apriamo discussioni. Sono film che obbligano a entrare in una identificazione con i personaggi, ma una volta sei d’accordo con loro e un’altra non lo sei più...

Dirigiamo in coppia, ci chiedono come facciamo. Un regista si occupa di molte cose. In due va meglio, possiamo dividerci compiti e responsabilità. In più non ci piace quella specie di gerarchia militare che vige sul set. Noi siamo più leggeri e sciolti, abbiamo uno spirito collaborativo con tutti quelli della troupe. Siamo come una rock band».

 

 

La critica

 

 

La presenza del genere, anche della commedia, in competizione è ormai tabù sdoganato da tempo nei festival di cinema e il concorso di Venezia 73 lo conferma più che mai: musical, mélo, western, thriller e, con il film argentino, anche la commedia. El ciudadano ilustre è infatti una solidissima commedia grottesca che racconta la storia di Daniel Mantovani, premio Nobel per la letteratura, trasferitosi da decenni in Europa ma nativo di un paesino della provincia argentina a settecento km dalla capitale. Daniel deve il suo successo proprio al racconto di quella realtà provinciale dalla quale ha sempre e soltanto sognato di fuggire ma nella quale, almeno con la sua arte, è sempre rimasto intrappolato. Quando riceve una lettera del sindaco del paese che gli annuncia la volontà di insignirlo della cittadinanza d’onore, Daniel, da cinque anni in uno stato di crisi creativa e di insofferenza verso il mondo della cultura che lo osanna, decide inaspettatamente di affrontare il viaggio verso quel posto in cui lui, dice, non è mai riuscito a tornare e dal quale, continua, i suoi personaggi non sono mai riusciti ad uscire.

El ciudadano ilustre è un film intelligente, scritto benissimo e recitato con grande mestiere, ma è, soprattutto, un oggetto molto più complesso di quanto possa sembrare. Leggendo del background dei registi, in origine videoartisiti poi lungamente e con grande successo impegnati come autori di format televisivi e, infine, con una curiosa e multiforme filmografia alle spalle, si capiscono meglio alcuni degli aspetti più enigmatici del film. Come quello formale, per esempio, che opta per una fotografia apparentemente “sciatta”, almeno inizialmente, misteriosa. Questa veste assume però un senso proprio nel momento in cui a Daniel appaiono in sogno alcuni personaggi minori che lo fissano impugnando un’arma; essi vengono significativamente messi in scena - al contrario del resto - con una precisione quasi pittorica, un’esaltazione cromatica quasi da cybachrome, ritratti come statue ma installati come fossero dentro un’opera dal vivo. Anche la cura estetico/scenografica di alcune delle scene più comiche dei film, come il video che omaggia lo scrittore ricostruendone la vita tra sovrimpressioni ultra cheap, di bassa lega, arcobaleni vintage e fotomontaggi deliranti che scivolano da un’immagine all’altra in un PowerPoint rudimentale, o come, ancora, la scena dell’intervista nello studio televisivo del paese, tra scenografie miserrime, presunti giornalisti con occhiali da sole sempre in testa e televendite improvvisate.

Tutto in El ciudadano ilustre è costruzione del dettaglio. La descrizione dei personaggi di contorno che gli compaiono nel sogno, per esempio, quelli incontrati solo per pochi istanti eppure indispensabili nella progressione della sceneggiatura, ma anche la precisione estrema con cui sono caratterizzati gli ambienti, le case, l’albergo (che, dice Daniel, lo fa sentire in un film rumeno). El ciudadano ilustre è, d’altronde, proprio un film su quello che sta intorno, sui dettagli, sui particolari, che quanto più sono specifici e descrivono il paesaggio umano e ambientale di contorno, tanto più delineano la solitudine del personaggio principale. Daniel è solo, ovunque alieno. Uno straniero in Europa, un gringo in Argentina. Sempre fedele a se stesso, sempre estraneo alla situazione, che si tratti della cerimonia di attribuzione dei premi Nobel oppure della premiazione del concorso per pittori dilettanti del pueblo. Daniel è l’artista che osserva criticamente la realtà e la rielabora attraverso la narrazione tentando un esorcismo personale ma anche imponendo la propria posizione di intellettuale, quella che lo costringe alla solitudine, al conflitto, alla rinuncia di un’appartenenza confortevole perché di quella e da quella si alimenta. Così l’artista, il narratore, vive la condizione di apolide, creatore sospeso tra l’immaginazione e la verità, sempre intento a costruire una storia dietro ogni segno, ogni ferita, ogni cicatrice; che poi la storia sia vera o immaginata in fondo non conta nulla.

CChiara Borroni, cineforum.it, 14 novembre 2016

 

Forse perché una commedia in concorso a metà festival solleva sempre gli animi, ma l’accoglienza alla proiezione stampa del Ciudadano ilustre è stata ottima.

Fresco premio Nobel, lo scrittore Daniel (il bravo Oscar Martinez) vive in Europa amministrando tra gli agi il proprio successo. Un giorno, tra i tanti inviti che declina annoiato, accetta senza un vero perché di tornare qualche giorno nel paesino natale in Argentina, dove lo faranno cittadino onorario. Pur essendo andato via decenni prima, quel luogo ha nutrito le sue opere, e l’incontro sarà più complicato del previsto. L’umorismo del film è efficace proprio perché poco sottolineato, anche se a tratti la descrizione dell’umanità di provincia, molesta e deprimente, può risultare bozzettistica e certe situazioni o caratteri sono quasi obbligati (la donna un tempo amata, il sindaco). Ma colpisce la finezza con cui è ritratto il protagonista, impasto di lucidità, malafede, intelligenza, disincanto, raccontato in una sceneggiatura bilanciata tra empatia e ferocia, come in certe tarde commedie all’italiana. Ne risulta uno dei ritratti di artista e intellettuale più convincenti che si siano visti di recente al cinema, che cresce man mano, fino ad un finale che ne accentua le ambiguità.

EEmiliano Morreale, La Repubblica, 6 settembre 2016

 

 

 

 

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Jackie

 

di Pablo Larraín

 

 

Del cileno Pablo Larraín abbiamo presentato al cineforum parecchi film: quest’anno Neruda e, in passato, Toni Manero, Post mortem, Il club, No, i giorni dell’arcobaleno. Praticamente abbiamo mostrato tutti i film di Larraín meno il primo, La fuga, mai uscito in Italia.

Jackie è un ritratto molto personale di Jacqueline Lee Bouvier Kennedy, seguita nei giorni dell’uccisione del marito John, il 22 novembre 1963. La politica e la violenza. L’ambizione e la sofferenza. I mezzi di comunicazione e il dolore privato. I funerali e lei che segue la bara a piedi con i bambini per mano senza accettare misure di sicurezza...

Durata: 100’.

 

 

Giovedì 22 febbraio, ore 21

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