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CINEMA SOCIALE  S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Giovedì 12 aprile 2018 – Scheda n. 25 (1027)

 

 

 

 

Film sorpresa

 

 

The Big Sick

 

 

 

Titolo originale: The Big Sick

 

Regia: Michael Showalter

 

Sceneggiatura: Emily V. Gordon, Kumail Nanjiani. Fotografia: Brian Burgoyne.

Musiche: Michael Andrews.

 

Interpreti: Kumail Nanjiani (Kumail), Zoe Kazan (Emily),

Holly Hunter (Beth), Ray Romano (Terry), Anupam Kher (Azmat).

 

 Produzione: Apatow Company. Distribuzione: Cinema di Valerio De Paolis.

Durata: 120’. Origine: Usa, 2017.

 

 

Michael Showalter

 

 

Ecco qua una bella commedia. Da qualche anno in qua, nel cinema statunitense, è rifiorita la commedia romantica grazie a Judd Apatow, regista e produttore che ha offerto a tanti registi, tra i quali anche il regista di stasera, la possibilità di raccontare la società americana con i toni della commedia. Judd Apatow, come regista, ha diretto un gran bel film, Funny People (2009). Veniamo a Michael Showalter. Nato nel 1970, a Princeton, New Jersey, Usa, è figlio di una critica letteraria docente all’università e di un insegnante di francese, ha lavorato molto in televisione come sceneggiatore e come regista, ha studiato a New York, ha fatto parte di un gruppo di attori comici, The State, ha cominciato a scrivere sketch per le tv, ha recitato in serie televisive, ha anche fatto il cantante in una band, nel 2005 ha diretto il suo primo film, The Baxter, ha fatto il presentatore in uno show di successo, è diventato un comico ben conosciuto negli Usa, ha fatto un cd con i suoi testi intitolato Sandwiches & Cats, insegna sceneggiatura alla New York University Graduate Film School, ha scritto un libro nel 2011 intitolato Mr. Funny Pants... Insomma ha continuato a lavorare per teatro, tv e cinema. Nel 2015 ha diretto Hello, My Name Is Doris, molto apprezzato dalla critica. Del 2017 è questo The Big Sick il cui attore principale è Kumail Nanjiani e l’attrice principale è Zoe Kazan, nipote del grande regista Elia Kazan. Showalter è sposato, ha due figli gemelli, fa parte di una compagnia teatrale alternativa che si chiama Stella, ha una sorella che si chiama Vittoria e un gatto che si chiama Lester. The Big Sick è stato scritto e sceneggiato da Kumail Nanjani che ne è l’attore principale e da sua moglie Emily V. Gordon.

Il regista dev’essere un tipo silenzioso: non si trova nessuna sua intervista. Mentre invece parlano allegramente i due simpatici sceneggiatori. Sentiamoli. Lui: «Sono pakistano, immigrato negli Stati Uniti a 18 anni, mia moglie è americana, ci siamo conosciuti e innamorati ma ci siamo lasciati come raccontiamo nel film perché la mia famiglia voleva per me una moglie mussulmana, poi ci siamo ritrovati dopo molte altre turbolenze, che stanno anch’esse nel film». Lei: «Io a fare l’attrice non ci penso proprio. Sono andata poche volte sul set durante le riprese. Soprattutto ho chiesto di non esserci quando giravano le scene dove si baciano. Poi, una volta, hanno dovuto rifare la scena con me presente e mi sono tranquillizzata: non era sexy e romantica come nei film, anzi». Lui: «Le riprese sono state un incubo. Giravamo in un appartamento di New York senza aria condizionata, era estate ma avevamo vestiti pesanti perché nel film è inverno, c’erano almeno 36 gradi, sudavamo troppo... Abbiamo cambiato delle cose nella nostra storia ma una è rimasta identica: il nostro incontro. Stavo facendo uno show di stand-up, cioè da solo in palcoscenico, e ho chiesto al pubblico se c’era in sala qualche pakistano. Sento un forte: “Uh-Uh!”» Lei: «Ero io. Lui aveva chiesto se c’era un pakistano e nessuno rispondeva. Pensavo che sarebbe stato simpatico rispondere, anche se non era vero. Comunque ha funzionato». Lui: «Finito lo spettacolo, ho raggiunto la ragazza al bar e ho sfoderato la mia mossa segreta: ho scritto il suo nome in urdu». Lei e lui: «Non crediamo nell’amore a prima vista». Lei: «Quella sera ho pensato che lui era simpatico e carino, ci piaceva stare insieme, ma l’amore è nato conoscendoci. Dopo tutto quello che è poi successo, ci siamo sposati in municipio di lì a tre mesi. Eravamo innamorati e abbiamo pensato: “Facciamolo”. Adesso, guardandoci indietro, ci rendiamo conto che volevamo solo andare là fuori e vivere la nostra vita». Lui: «Il giorno delle nozze ho fatto proiettare Quattro matrimoni e un funerale. Scelta curiosa? Non scherziamo. L’ho visto almeno 40 volte, ho deciso di fare il comico perché Hugh Grant era il mio mito fin da bambino. Ho cominciato facendo le sue imitazioni». Lei: «L’idea di The Big Sick è arrivata cinque anni dopo. Scrivevamo le scene e ce le scambiavamo, alcuni momenti erano più vividi nella mente di Kumail, altri nella mia. È stato doloroso ma catartico, lo consiglierei a ogni coppia: scrivere insieme la propria storia aiuta a concentrarsi sul punto di vista dell’altro». Lui: «Litighiamo come ogni coppia, è normale». Lei: «Litigavamo perché per anni non abbiamo potuto fare piani. Lui aveva in testa solo il lavoro». Lui: «Tu riesci a staccare, io no. Quando facevo il comico in teatro, lavoravo tutto il tempo: emergere è dura, soprattutto per noi immigrati». Lei: «Questo è vero. Ci sono tanti di quei bravi attori in giro che da anni si fanno il mazzo e ci mettono una vita a farsi notare». Lui: «Cosa amo di lei? È in gamba e divertente, poi se ne esce con frasi così profonde che mi viene voglia di passare con lei il resto della mia vita. Adesso di’ tu la tua». Lei, ridendo: «Per me la cosa più bella è che vediamo il mondo con gli stessi occhi, anche se veniamo da parti opposte del pianeta».

 

 

La critica

 

 

Ci sono dei film che ti riconciliano con il cinema. Cinema come piacere, come leggerezza, come sorpresa. Forse non saranno capolavori (ma quanti ne vediamo davvero?) eppure sanno restituirti quel gusto e quella soddisfazione per una ‘pratica’ - andare al cinema – che troppe volte è stata umiliata e offesa. E proprio da altri film, pronti a promettere cose che poi non sapevano mantenere. The Big Sick, invece, non delude, anzi finisce per regalare anche qualche piacevole spunto di riflessione (sull’identità, sulla determinazione, anche sull’amore) e soprattutto la sensazione di non aver sprecato il proprio tempo in un cinema. Come rivelano le fotografie che accompagnano i titoli di coda lo spunto del film, diretto con spirito di servizio da Michael Showalter, è parzialmente autobiografico: se il protagonista Kumail è interpretato dal vero Kumail Nanjiani (comico di origini pachistane arrivato a Chicago con la sua famiglia), la coprotagonista Emily sullo schermo ha il volto di Zoe Kazan, nipote del grande Elia, ma interpreta il ruolo di Emily V. Gordon, aspirante psicologa la cui vita ha incrociato quella di Kumail nei modi e nelle disavventure che il film racconta. Che naturalmente i due hanno sceneggiato a quattro mani, perché nessuno avrebbe potuto raccontare meglio quello che era loro capitato davvero. E che comincia in un club di Chicago, dove Kumail si esibisce e dove Emily commenta troppo ad alta voce una battuta. È l’occasione nel dopo spettacolo per incontrarsi, piacersi e finire a letto, anche se tutti e due mettono subito le mani avanti perché sembrano intenzionati a non dar seguito a quella nottata. Un incipit non particolarmente originale che però prende subito i toni di una favoletta stralunata e sorprendente: le battute di Kumail non sono mai da sbellicarsi dalle risate ma hanno un retrogusto amarognolo e vagamente surreale, dove la sua condizione di immigrato funziona come miccia ma anche come una palla al piede. Vuole far ridere e però sembra quasi scusarsi di farlo con quegli argomenti, mettendo in gioco una specie di timidezza che risalta nel confronto con la sicurezza (e la sfrontatezza) di Emily, visto che quasi non esiste differenza tra il Kumail sul palco e quello nella vita quotidiana. La spiegazione di questo avanzare come in punta di piedi, protetto (ma non troppo) dall’ironia e dal sottotono del suo umorismo, lo spiegano i pranzi domenicali che Kumail fa con la propria famiglia, dove si ripete puntualmente la stesso copione: la visita ‘casuale’ di una giovane pachistana, possibile candidata a diventare la moglie di Kumail, perché la loro tradizione non può prendere in considerazione che possa esistere un matrimonio se non con una compatriota. Pena la messa al bando dalla famiglia. Ecco allora che battute e umorismo diventano qualcosa di più di una scelta professionale (che la madre non approva: lei lo vorrebbe avvocato). Sono i soli strumenti con cui sembra possibile andare avanti in un mondo scisso e contraddittorio, dove tutti sorridono ma nessuno sembra disposto a cedere sulle proprie convinzioni. Nemmeno Emily quando scopre che Kumail non ha il coraggio di raccontare in famiglia la loro relazione. Lasciando il povero protagonista a fare i conti con la propria condizione di straniero in cerca di un’identità, che la pratica del comico può mascherare, forse addolcire, ma sicuramente non cancellare. Temi seri, che però il film affronta con una leggerezza e un’autoironia che conquistano. La storia del film prosegue sfiorando anche la tragedia (permettendo così l’entrata in scena dei due genitori di Emily, interpretati da Holly Hunter e Ray Romano) ma conservando sempre un tono come sospeso, di chi non vuole cedere alle ipotesi più pessimiste e usa il sorriso per smontare il dramma. Che è la chiave della comicità del personaggio Kumail e che in certi momenti sembra una specie di Forrest Gump: non per la mancanza di dubbi e l’ingenuità del personaggio reso celebre da Tom Hanks, ma piuttosto per la testarda fiducia in un ottimismo capace di lenire le ferite e dare ogni volta l’energia per ricominciare. Possibilmente con la voglia di trovare anche una piccola ragione per sorridere.

PPaolo Mereghetti, Il Corriere della Sera, 15 novembre 2017

 

 

 

 

 

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Il cliente

 

di Asghar Farhadi

 

 

Abbiamo già conosciuto al cineforum il regista iraniano Asghar Faradi, un nome importante nel panorama mondiale del cinema. Di Faradi abbiamo presentato About Elly (2009), Una separazione (2011) e Il passato (2013). Adesso tocca a Il cliente (2016). Film tutti molto apprezzati dalla critica e dal pubblico (anche del cineforum) che ama il buon cinema.

I due protagonisti sono attori di teatro. Lei viene aggredita nel nuovo appartamento. Lui indaga sul violentatore. Lo trova e lo interroga. Come andrà a finire?

Una specie di giallo particolare ed esistenziale, una spirale che risucchia tutti, un po’ alla Dostoievskij, su un delitto e sul castigo. Sulla realtà e sulla dimensione etica della giustizia.

Durata: 125’.

 

 

Giovedì 19 aprile, ore 21

Cinema Sociale - Omegna

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