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Locandina del film
La guerra di Mario - Locandina
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Scheda pdf (188 KB)
La guerra di Mario - Scheda del film

CINEFORUM ARCIFIC OMEGNA


quarantatreesima stagione

in collaborazione con:

CINEMA SOCIALE - S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA - IL CINEMA DIFFUSO
promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

 

Giovedì 1 marzo 2007 – scheda n. 18 (721)


 

La guerra di Mario



 

Regia e sceneggiatura: Antonio Capuano

Fotografia: Luca Bigazzi. Montaggio: Giogiò Franchini.

Musica: Pasquale Catalano. Scenografia: Lino Fiorito.

Interpreti: Valeria Golino (Giulia), Marco Grieco (Mario), Andrea Renzi (Sandro),

Anita Capriolo (Adriana Cutolo), Rosaria De Cicco (Nunzia),

Valeria Sabel (Olga, madre di Giulia), Lucia Ragni (giudice), Nunzio Gallo (il nonno).

Produzione: Fandango, Indigo Film. Distribuzione: Medusa.

Durata:100’. Origine: Italia, 2006.

 

Il regista


Antonio Capuano (Napoli, 1940) esordisce nel 1991 con Vito e gli altri, premio della critica a Venezia. Nel 1994 partecipa al film collettivo L’unico paese al mondo. Del 1996 è Pianese Nunzio: 14 anni a maggio. Ancora un film collettivo, I Vesuviani, suo l’episodio Sophialoren (1997). Nel 1998 gira Polvere di Napoli. Nel 2001 arriva Luna rossa. La guerra di Mario è il suo film più recente.

Ospitiamo tra le critiche, insieme ai nomi conosciuti di Kezick del Corriere e di Lietta Tornabuoni della Stampa, anche la recensione di una alunna dell’ITC di Omegna, Silvia Cazzoni. L’ITC svolge da anni un lavoro sul cinema e partecipa a un progetto, sostenuto dall’Unione Europea, di scambi con scuole di altri paesi. Quest’anno, un gruppo di alunni ha lavorato su La guerra di Mario e scritto delle recensioni. Alcune molto belle, come questa di Silvia: che con altri studenti ha partecipato poi, come premio, a un laboratorio di cinema a Hilversum, in Olanda.

 

La critica


Non è vero, come si legge sui giornali, che La guerra di Mario ha “trionfato” nell’agosto scorso al Festival di Locarno. In realtà il film scritto e diretto da Antonio Capuano è piaciuto agli addetti ai lavori, ma la giuria l’ha snobbato limitandosi a un’inutile menzione per il piccolo protagonista Marco Grieco. Andava evidenziata piuttosto l’interpretazione di Valeria Golino, una vera attrice che sta facendo da anni un suo percorso ambizioso e importante. (…) Il tema della vicenda non è l’adozione, ma l’affidamento temporaneo. Ovvero la facoltà legale di sottrarre un minore da una precaria situazione familiare parcheggiandolo presso qualche anima buona sotto la sorveglianza del giudice. Sorretta dalla nevrotica dedizione tipica della madre mancata, l’insegnante di storia dell’arte Giulia si è accollata la cura del piccolo Mario. Tra il ragazzino di nove anni e la figura semipaterna di Sandro (Andrea Renzi), il compagno della protagonista, si sviluppa una forma di gelosia reciproca, che induce Mario a provocare continui incidenti comportandosi da irresponsabile. Sandro rinuncia presto all’illusione di fare amicizia e Giulia, dal canto suo, non sa a che santo votarsi. Mario non perde occasione per respingerla (“Mica è mamma mia, non la conosco, non mi appartiene...”), lei lo bacia di continuo stampandogli il rossetto sulle guance. Refrattario alla scuola, a casa il ragazzino non apprezza i vantaggi della sua nuova condizione di privilegiato. (…) A momenti sembra perfino rimpiangere la madre vera, Nunzia, una prostituta convivente con un poco di buono che azzarda uno spudorato approccio con Giulia. L’assillo educativo mette la professoressa in collusione con l’ambiente delinquenziale della periferia, che invece esercita un’irrazionale attrazione su Mario. Il quale non trova da ridire quando di fronte a Giulia inorridita un branco di teppistelli le butta allegramente in faccia lo slogan: “La scuola è un brutto carcere, il carcere è una bella scuola”. La caratteristica di La guerra di Mario è di non presentare una realtà divisa fra buoni e cattivi. Ciascuno svolge fino in fondo il ruolo che il destino gli ha inflitto all’interno di una società fondata su una frattura incolmabile fra il mondo rispettoso delle regole e l’impudente realtà del sottomondo. Avanzando tuttavia il sospetto che le leggi e chi le rappresenta (una psicologa, la tutrice del tribunale) non siano all’altezza di interpretare un caso come quello di Mario e salvarlo da un avvenire disastroso. Nei sei film che è riuscito a fare in quindici anni, Antonio Capuano non si è mai allontanato da Napoli, che anche qui rappresenta la cornice non occasionale di questo dilacerarsi di anime in pena: un paradossale incanto di mediterranea luminosità nella nitida fotografia di Luca Bigazzi. Ancora una volta il riferimento ovvio è a De Sica, di cui Capuano si può considerare una sorta di erede naturale, che tuttavia si nega lo spasso occasionale del folklore e le consolazioni del patetico, aggiornato com’è alle asprezze della cronaca circumvesuviana. Se la materia palpita di verità dolorosa, lo stile di questo cinema della crudeltà è asettico e la sfilata dei personaggi si snoda come una commedia umana. Ma il campo di battaglia della “guerra di Mario” resta soprattutto il volto di Valeria Golino, espressivo al di là delle parole.

Tullio Kezich, Il Corriere della Sera, 3 marzo 2006

 

(…) Dopo Vittorio De Sica e Luigi Comencini, Antonio Capuano, 61 anni, napoletano, è il regista d’Italia che sa meglio capire e far recitare i bambini, i ragazzini: i suoi primi film Vito e gli altri, Pianese Nunzio 14 anni a maggio, storie di itinerari criminali e d’infanzia rubata, mix «tra Brecht e il barocco napoletano» (Morando Morandini), sono di grande efficacia e passione raffreddata, mentre Luna rossa racconta con spietata bravura attraverso la vicenda della famiglia di un capo camorra, l’ambiente napoletano in cui bambini e ragazzi possono dover crescere. La Guerra di Mario sembra meno duro soltanto in apparenza: in realtà racconta un destino impossibile da modificare, due sconfitte, con attori bravissimi. Il bambino Mario Grieco, nove anni, è difficile, scorbutico, laconico, fuggiasco, aggressivo. La possibile mamma Valeria Golino, una colta insegnante di storia dell’arte legata a un quarantenne distratto, è paziente, amorosa, generosa. Lui, sottratto alla propria famiglia nella speranza d’un futuro migliore, non vuole prendere ordini da nessuno, soffre sentendosi estraneo al nuovo ambiente, si esprime con monellerie o sparizioni allarmanti. Lei resiste, non lo rimprovera mai, lo circonda di regali e tenerezza. Il contrasto, benché il bambino sia piccolo, è pure venato di incipiente maschilismo: e li lascerà tutti e due infelici. Il film formalmente semplice è bello, commovente e a volte divertente, riscaldato dai due personaggi raccontati e diretti benissimo.

Lietta Tornabuoni, La Stampa, 3 marzo 2006

 

Un bambino cammina da solo su uno spartitraffico nella caotica città di Napoli. Dà un calcio ad una lattina, attende il rosso per attraversare la strada, assume, in ogni suo atteggiamento, un tono di sfida verso il mondo. Non ha problemi, Mario, ad arrangiarsi e adattarsi alle diverse situazioni; del resto è la sua natura: è stata la difficile realtà di Ponticelli a insegnarglielo. Anche se strappato al nativo quartiere e alla madre naturale che «gli faceva mangiare solo chipster e coca-cola e lo faceva dormire sul balcone perché lei doveva dormire con gli altri uomini», Mario è ancora assai attratto da questo mondo, è come se i suoi geni fossero stati marchiati per sempre. Ce ne porta esempio l’espressione entusiasta del suo viso quando sente da alcuni ragazzini: «A scola è ‘nu brutto carcere e ‘o carcere è ‘na bella scola!». A poco servono gli sforzi di Giulia, la sua madre affidataria che desidera disperatamente esserne madre, ma che, come dice Mario, «deve imparare ancora un sacco di cose». L’inesperienza, forse l’impulsività, il voler affiancare la vita all’arte, dipingerla d’irrazionale, di una vena dadaista, la portano a sfociare in un eccessivo permissivismo e a diventare ciò che lui vuole che lei sia (gli compra il serpente, si mette il rossetto). Ciononostante egli non perde occasione per ricordarci che «lei non gli appartiene». Con Sandro – suo pseudo-padre – non ha rapporti. Quest’ultimo «confuso, offeso, incazzato», non riesce a capirlo, si sente destabilizzato. È proprio questo il tema principale del film: l’instabilità. Da un lato Giulia e la sua angosciante lotta per costruire un rapporto con Mario, che fa di tutto per non scombinare gli sporadici e fragili equilibri raggiunti a fatica e, dall’altro, un difficile bambino dall’infanzia bruciata senza certezze, che non sa chi è, né dove andrà. Onore al regista abile a trasmettere, da subito, il senso della confusione: su sfondo bianco e nero una mano traccia un disegno dapprima contenuto, poi sempre più ampio, pieno e contorto; i colori spenti, cupi  diventano toni di rosso vivo, simbolo del sangue, della morte, e ci trasmettono un senso profondo di ansia, paura e pericolo. Una voce extradiegetica narra di riti di iniziazione di bambini-soldato impegnati in una delle tante guerre di qualche Paese esotico. Può darsi che Mario sia in relazione con il racconto, in fondo anche lui è in guerra con sé stesso e con gli altri e sta lottando per accettarsi e farsi accettare così com’è. Per ora si rifugia dietro una vita fittizia fatta di fumetti e videogiochi.

Proiettato al festival di Locarno, La guerra di Mario è un film reso grande dalle interpretazioni dei suoi attori, in particolare da Valeria Golino, davvero sublime, istintiva, profonda, e dal regista Antonio Capuano che, attraverso l’uso di scene brevi, espressioni dialettali e fili rossi, instaura un contatto diretto con lo spettatore e lo tiene con gli occhi incollati allo schermo fino alla fine.

Silvia Cazzoni, V B Periti, Istituto Tecnico Commerciale di Omegna, dicembre 2006.



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