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L'amico di famiglia - Scheda del film

CINEFORUM ARCIFIC OMEGNA

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in collaborazione con:

CINEMA SOCIALE – S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

PREMIO GRINZANE CINEMA

Giovedì 11 ottobre 2007 – scheda n. 2 (732)

 

L’amico di famiglia

 

Regia e sceneggiatura: Paolo Sorrentino. Fotografia: Luca Bigazzi. Montaggio: Giogiò Franchini.

Musica: Pasquale Catalano. Scenografia: Lino Fiorito.

Interpreti: Giacomo Rizzo (Geremia de' Geremei), Fabrizio Bentivoglio (Gino),

Laura Chiatti (Rossana), Gigi Angelillo (Saverio), Clara Bindi (la madre di Geremia),

Nicola e Francesco Grittani (i gemelli Contessa).

Produzione: Fandango. Distribuzione: Medusa.

Durata: 110’. Origine: Italia, 2006.

 

Il regista

 

Terzo film di Paolo Sorrentino: e al Cineforum abbiamo presentato anche i suoi primi due. Sorrentino è uno dei nuovi autori italiani più stimati e più seguiti. È napoletano purosangue, nato nel 1970, ha sceneggiato i suoi tre film, ha uno stile molto personale, a volte rigoroso, a volte elettrico ed espressionista, come in questo film. È arrivato al cinema vincendo il premio Solinas per la sceneggiatura nel 1997, ha esordito con L’uomo in più (2001), storia di due uomini, un ex calciatore e un ex cantante, con lo stesso nome e cognome, Antonio Pisapia, tutti e due perdenti. Secondo film: Le conseguenze dell’amore, con un misterioso signore, interpretato dal grande Toni Servillo, che passa la vita in un albergo svizzero (per conto della mafia). L’amico di famiglia, presentato in concorso a Cannes, è di nuovo centrato su un personaggio fuori schema, quasi un freak, l’usuraio Geremia de’ Geremei, sgraziato, brutto e cattivo. Il prossimo film di Sorrentino, in preparazione, è (guarda che caso…) su Giulio Andreotti.

Sentiamo Sorrentino: «Non ho mai pensato a un filo conduttore per questi miei tre primi film. C’è, semmai, un trait d'union tra i temi e le storie che mi interessa raccontare. Personalmente sono interessato a esplorare le storie di certi personaggi, un po' asociali, o, perlomeno, tenuti ai margini dalla società. Se nel primo film c'erano un cantante e un calciatore in declino se non addirittura dimenticati, nel secondo c'era un uomo confinato in un albergo. In L'amico di famiglia, invece, c'è un usuraio: un individuo socialmente spregevole e destinato a essere tenuto fuori dalla cosiddetta società civile… Dal punto di vista stilistico, L'amico di famiglia è un film molto differente da Le conseguenze dell'amore: in un certo senso ne è agli antipodi. Se quello era in sottrazione, questo è in eccedenza dal punto di vista delle immagini, della trama, di storia e di parole. È un film 'barocco'… Credo che in qualche maniera il personaggio principale sia un concentrato molto forte di tutto quello che siamo noi. Geremia rappresenta un'estremizzazione dei nostri difetti. L'aspetto buono e rassicurante che tutti cerchiamo di emanare è solo apparenza e la figura di un usuraio si prestava bene a scardinare questa apparenza. Uno strozzino è destinato a rivelarsi in tutto il suo orrore… Il mio è un cinema decisamente poco consolatorio, popolato da personaggi estremi, dove si respira una certa complicità con gli attori. Io volevo rappresentare in maniera bella lo squallore, perché trovo – alle volte – che lo squallore sia bello. Mi piacciono i momenti scomposti e sbilenchi: li trovo altrettanto attraenti come vedere una modella che sfila perfetta su una passerella. Lo squallore tout court non mi interessa: non mi piace il cinema ultrarealista che mette in scena situazioni malinconiche. Mi piace, invece, trovare la bellezza nello squallore. In questo senso mi sono ispirato in maniera irriverente a Fellini che in un film come Roma non fa altro che presentare sullo schermo una galleria di mostri, rendendoli affascinanti... In tutti gli individui si annida, in agguato, il rischio della perdita del proprio equilibrio. Si può arrivare a scantonare facilmente nella morbosità e nell'ossessione. L’amico di famiglia è stato pensato per Giacomo Rizzo. Un grandissimo attore napoletano che stimo molto. Ho sempre creduto di dover fare un film incentrato su di lui, perché se sia bello o brutto è difficile dirlo, ma ha sicuramente una faccia anomala. Il cinema italiano soffre della mancanza di volti del genere che abbondano nel cinema americano, mentre da noi si preferisce un certo tipo di medietà. Abbiamo bisogno di volti estremi… Qualcuno ha detto che i miei primi tre film possono essere considerati come una trilogia sul tema della solitudine. Ma io non li vedo come una trilogia. La solitudine è un tema troppo ampio per essere esaurito in tre film, è una condizione imprescindibile dell'individuo. E non credo neanche che sia il tema principale di questo film. Forse è il tipo di personaggio che scelgo che porta a questo tema, dal momento che si tratta sempre di qualcuno che vive ai margini della società, e che non è benvoluto dagli altri… Per me questa è una commedia: volevo mettere insieme la figura dell'usuraio, che tutti quanti consideriamo negativa, con un genere come la commedia: far ridere con ciò che di solito non può far ridere. Le prime volte che vedevo il film, ridevo. Il protagonista ha una notevole dote di ironia e autoironia. Certo, siamo abituati a un altro tipo di commedia, ma a me non interessa né quella sofisticata, né altre sfumature di commedie tradizionali… La scelta del luogo e dell’architettura fascista e razionalista non è certo casuale. L'immagine caotica è ormai appannaggio della tv. Il cinema deve scegliersi dei luoghi particolari, con una loro forza che sia più forte di quella della tv (che non ha forza). Ma non credo che il luogo sia più importante rispetto ai personaggi. Gli usurai si trovano ovunque. C'è invece la necessità di girare film in posti che diano forza alle immagini. I luoghi di questo film li conoscevo già, li avevo fotografati e li ho sentiti idonei per questa storia. Odio i motorini e le macchine parcheggiate, vado dove non ce ne sono…».

 

La critica

 

Secondo film italiano in concorso: L'amico di famiglia, di Paolo Sorrentino. È arrivato sulla Croisette appena sfornato (una sequenza, quella della ragazza che prende il sole nuda sotto le palme, è stata girata pochi giorni fa) e potremmo scoprire, quando uscirà dopo l'estate, di aver visto qui a Cannes un work in progress (ci sono precedenti illustri: Apocalypse Now di Coppola e Underground di Kusturica, in copie-lavoro, vinsero la Palma d'oro). Così o come (eventualmente) diventerà, è un film notevole. Paolo Sorrentino - napoletano, classe 1970 - è un talento autentico. Probabilmente è il più bravo regista italiano under 40. L'uomo in più e Le conseguenze dell'amore sono stati due dei migliori film italiani del terzo millennio, ma a noi piace ricordare anche la registrazione di uno spettacolo teatrale di Toni Servillo, Sabato domenica e lunedì di Eduardo: un allestimento magnifico. L'amico di famiglia è la sua opera più oscura ed enigmatica: forse è un film fin troppo cupo per un giovanotto di 36 anni, ma conferma il fiuto di Sorrentino nel rintracciare personaggi che sfuggono alla vista dei più, e che forse vorrebbero rifugiarsi nei loro anfratti esistenziali e rimanere ignoti. In Le conseguenze dell'amore Sorrentino era andato a «pizzicare» un oscuro travet della mafia [...]; qui ci porta invece nell'Agro Pontino per farci conoscere due singolari casi umani. Geremia è un usuraio. Avrà una sessantina d'anni, vive con la madre inferma in una casa-antro, gestisce a mo' di copertura una sartoria e «aiuta», a sentir lui, i bisognosi. Gino è un cowboy. O meglio, è un italiano apparentemente un po' scemo che si veste come John Wayne e vorrebbe vivere nel Tennessee. Geremia è ossessionato dalle donne. È un orrendo lumacone che spia le ragazze con intenti lubrichi. Una di loro, bellissima (si chiama Rosalba ed è miss Agro Pontino), gli si concede il giorno delle nozze [...]. Gino sembra un buono. Ma quando si offre di dare una mano a Geremia per un “affare” più lucroso del solito (un industriale chiede 1 milione di euro, che raddoppierebbero in una settimana), il vecchio Shylock di provincia dovrebbe subodorare la fregatura... [...] Lo sceneggiatore Sorrentino non ama le storie lineari. L'amico di famiglia parte in modo impressionistico (la sequenza dei titoli è un'ouverture che annuncia, per flash misteriosi, tutti i temi del film) e procede per frammenti che spesso sembrano puro surrealismo, salvo poi rivelarsi funzionali alla trama - ma a volte tocca aspettare minuti, e stare molto attenti. È un film balenante, che sorprende di continuo e scoperchia buchi fetidi della realtà in cui non vorremmo curiosare. È un film sul Male, e del resto è dai tempi di Shakespeare (Shylock, appunto) che gli strozzini incarnano efficacemente la parte peggiore dell'uomo. Geremia ci fa balenare davanti agli occhi tutto l'orrore che si può nascondere dietro il tran-tran della vita di provincia. È il secondo usuraio schifoso in questa stagione del cinema italiano (il primo era il tremendo Rubini della Terra), e qualcosa vorrà pur dire. Ma è anche una vittima, perché è circondato da gente che può essere persino peggiore di lui. Giacomo Rizzo, caratterista e attore teatrale che esordì in Operazione San Gennaro, lo interpreta in modo a dir poco eroico: è una performance perfida e meravigliosa come quella di Ernesto Mahieux nell'Imbalsamatore di Garrone, film del quale L'amico di famiglia ricorda certe atmosfere quasi «alla Lynch». Fabrizio Bentivoglio fa il cowboy: ma lui, con quella faccia e quei riccioli grigi, può fare ciò che vuole.

Alberto Crespi, L'Unità, 26 maggio 2006

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