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La strada di Levi - Scheda del film

CINEFORUM ARCIFIC OMEGNA

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in collaborazione con:

CINEMA SOCIALE – S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

PREMIO GRINZANE CINEMA

Giovedì 29 novembre 2007 – scheda n. 8 (738)

 

Le luci della sera

 

Titolo originale: Laitakaupungin valot.

Regia, sceneggiatura e montaggio: Aki Kaurismäki.

Fotografia: Timo Salminen. Musica: Melrose. Scenografia: Markku Pätilä.

Interpreti: Janne Hyytiäinen (Koistinen), Maria Heiskanen (Aila), Maria Järvenhelmi (Mirja),

Ilkka Koivula (Lindström), Juhani Niemelä (il capo del personale), Sulevi Peltola (il supervisore).

Produzione: Sputnik Oy. Distribuzione: Bim.

Durata: 78’. Origine: Finlandia, 2006.

 

Il regista

 

Nome ben conosciuto dai frequentatori del Cineforum. Regista di cui  i soci aspettano i film con ansia. Il grande Aki Kaurismäki è rispettabilissimo autore di fama internazionale. Questo suo film, Le luci della sera, è stato presentato in concorso a Cannes. Nato a Orimattila, in Finlandia, nel 1957, è diventato regista per caso e per sfida: per vedere chi fosse più bravo tra lui (autodidatta, quanto al cinema) e il fratello Mika (allievo di una scuola di cinema). Il più bravo è senza alcun dubbio Aki. Esordio con un documentario su un concerto rock nel 1981, poi Delitto e castigo (1983) e tanti titoli a ritmo accelerato, tra i quali Amleto si dà agli affari (1987), Leningrad Cowboys Go America (1989), La fiammiferaia (1989), Ho affittato un killer (1990), Vita da Bohème (1991), Tatjana (1994), Nuvole in viaggio (1996), Juha (1999), L’uomo senza passato (2004).

 

La critica

 

Basta guardare una sua inquadratura per dire «Quello è un Kaurismäki!». È come riconoscere un Mondrian o un Cézanne. Le luci della sera conferma in Aki Kaurismäki un artista inconfondibile per tocco e personalità. Conferma anche la sensazione che in lui conti più l’insieme dell’opera, che non il singolo film: sembra che ad Aki manchi sempre qualcosa per realizzare il capolavoro, ma forse dovremo rassegnarci al fatto che il capolavoro è iniziato tanti anni fa, almeno ai tempi della Fiammiferaia, ed è ancora «in progress». Il film chiude una trilogia che rappresenta «a rovescio» la verità ironicamente enunciata da Kaurismäki in conferenza stampa: «Le statistiche affermano che la Finlandia è il paese più ricco del mondo e che i finlandesi sono i più felici degli uomini. Io racconto questa felicità». Infatti nel mondo di Kaurismäki i poveri sono dei reietti della società, vivono negli anfratti di Helsinki (quasi sempre la zona del porto) e non si strappano quell’espressione malinconica e attonita dal volto nemmeno sotto tortura. Dei precedenti titoli della trilogia, Nuvole in viaggio era il ritratto di un uomo senza lavoro, L’uomo senza passato era il ritratto di un uomo senza memoria. Le luci della sera è il ritratto di un uomo che ha un lavoro (fa il guardiano notturno di un centro commerciale), ha una memoria ma è come non avesse nulla. Soprattutto, non ha una donna, e quando una bella bionda lo abborda le chiede subito: «Ci sposiamo?». «Magari dopo, prima andiamo al cinema e conosciamoci meglio», risponde lei. In realtà la ragazza vuole solo carpirgli il codice per entrare nel centro senza far scattare gli allarmi; poi, con i suoi complici, compie una rapina e il nostro uomo va in galera, dove almeno starà in compagnia. Tutto ciò, raccontato alla Kaurismäki: personaggi che attraversano il mondo come sonnambuli, dialoghi lunari, sigarette e alcool ovunque, cani che recitano più degli attori, fortissimo senso dell’ellissi e musica a go-go («La uso per coprire i dialoghi», dice). Il film si apre con la famosa canzone Volver (quella che dà il titolo al film di Almodovar) eseguita da Carlos Gardel e propone numerosi pezzi dell’autore finlandese di tango Olavi Virta: «Ho fatto questo film - dice Kaurismäki - per provare un’inoppugnabile verità storica, ovvero che il tango è stato inventato dai finlandesi ed è stato esportato in Argentina da alcuni emigranti che, non avendo soldi, si sono pagati il viaggio da Helsinki a Buenos Aires suonando sulla nave. In quanto a Volver, so bene che Almodovar mi ha rubato il titolo: è tutta la vita che Pedro tenta di imitarmi, ma è talmente simpatico che glielo perdono». Tutto vero? Tutto falso? No, tutto Kaurismäki.

Alberto Crespi, L’Unità, 23 maggio 2006

 

Contro ogni evidenza, è ricco d’ottimismo paradossale il taciturno Koistinen, protagonista di Le luci della sera. La sua esistenza scorre tutta ai margini del mondo, in solitudine. Ma c’è in lui una forza sorprendente, una sorprendente capacità di sperare. Forse sono, la sua forza e la sua speranza, quelle stesse che fanno di ogni film di Aki Kaurismäki un’inaspettata e anch’essa paradossale affermazione di vita. Le giornate di Koistinen sono ognuna vuota e fredda come ogni altra: giunta la sera, indossa la sua divisa e compie gli stessi gesti del giorno prima e di quello prima ancora. Sul volto la macchina da presa quasi non gli scorge emozioni, non un cenno di sorriso, e nemmeno di vera tristezza. Nel suoi occhi, piuttosto, qualcosa ricorda la malinconia: una vaga inquietudine, una nostalgia indefinita. Per i compagni di lavoro Koistinen è solo una comoda vittima, un debole in balia della loro violenza di gruppo, un fallito incapace d’avere una donna. Infatti non ne ha, di donne, per quanto ogni notte l’attenda Aila, silenziosa nel suo piccolo bar perso in uno spiazzo desolato, in un niente “abbandonato” dalle case. I loro incontri si riducono a frasi distratte, eppure si ripetono puntuali, ogni volta promettendo parole che non verranno. Ma non c’è disperazione, nella solitudine di Koistinen. Anzi, in lui vive una certezza di futuro. Subito la si direbbe ingenua e assurda, non più che un sogno a occhi aperti. Si metterà in proprio, molti dei suoi compagni lavoreranno con lui: così fantastica, contro ogni evidenza. E però, mentre lo ripete ad Aila, sul volto ha una trasparenza morale che ci è difficile ridurre a follia. Al contrario, sequenza dopo sequenza, siamo sempre più spinti a credergli, come gli crede Kaurismäki. Quanto al freddo in cui minaccia di gelarsi la sua esistenza, già riescono a contraddirlo le tonalità intense delle immagini E ai loro colori caldi s’aggiunge la cura con cui la macchina da presa posa lo sguardo sulle case e le strade, sugli interni, sugli oggetti. Così, il rosso d’un fiore che spicca sopra una tovaglia candida basta a vincere la miseria del mondo. E ancora è vinta, quella miseria, dalla bellezza segreta dei minimi dettagli di un muro o di un autobus. Anche Koistinen è un dettaglio minimo, un niente esposto al rischio di perdersi nell’indifferenza del mondo. Per questo Kaurismäki lo racconta. Per questo lo “ruba” a quell’indifferenza, e lo mostra nella sua bellezza insospettata. Non è un debole, il protagonista di Le luci della sera. Così lo giudicano la volgarità e la violenza trionfanti, per le quali è forte chi prevarica. La sua capacità di sognare il futuro non è folle, e nemmeno ingenua. Così la giudica il cinismo di chi vive solo nel presente, riducendo ogni sogno a incubo. Quanto a lui, ben sa che la volgarità, la violenza e il cinismo trionfano, ma non ci si adatta, non rinuncia a se stesso. Al contrario, la sua malinconia si fa sempre più piena di coraggio. Coraggioso, appunto, è l’atto con cui decide di opporsi alla violenza di chi infierisce su un cane. È sicuro della sconfitta, ma è anche sicuro della necessità morale di scegliere, di prender partito rispetto alla crudeltà che i suoi occhi gli scoprono (e la sceneggiatura affianca al suo lo sguardo estraneo ed esterno di un ragazzino dalla pelle scura, testimone di quella necessità). Lo stesso farà più tardi, quando si opporrà con un coltello alla prepotenza organizzata di Lindström e del bandito che lo protegge. E ancora con lo stesso coraggio Koistinen affronta la crudeltà maggiore, quella di Mirja che inganna il suo amore. Potrebbe fermarla, prima che alle sue bugie seguisse il peggio. Ma se lo facesse, in qualche modo gli parrebbe d’averne accettato e condiviso l’orrore morale. Mirja è così volgare, che solo lasciandola arrivare sino in fondo a lui sembra possibile levarsene di dosso lo sporco. Insomma, stare al gioco dei suoi ingannatori e persecutori, lasciarli essere del tutto quel che sono, è per lui la difesa più netta - la più certa, e anche la più pulita - dalla loro miseria trionfante. In tutto questo è decisiva la simpatia con cui Kaurismäki osserva e racconta il suo personaggio: cioè, tanto la sua benevolenza nei suoi confronti, quanto la sua capacità di sentire con lui, e di vedere il mondo con i suoi occhi. Poi, nell’ultima e splendida inquadratura - le mani intrecciate di Koistinen e Aila in diagonale nello schermo - questa simpatia diventa un giudizio sul mondo. Ed è, secondo ogni evidenza, un giudizio pieno di speranza.

Roberto Escobar, ll Sole-24 Ore, 28 gennaio 2007

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