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Guida per riconoscere i tuoi santi - Scheda del film

CINEFORUM ARCIFIC OMEGNA

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in collaborazione con:

CINEMA SOCIALE – S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

PREMIO GRINZANE CINEMA

Giovedì 10 gennaio 2008 – scheda n. 12 (742)

 

Guida per riconoscere i tuoi santi

 

 

Titolo originale: A Guide to Recognizing Your Saints.

Regia e sceneggiatura: Dito Montiel. Fotografia: Eric Guatier.

Montaggio: Jake Pushinsky. Musica: Jonathan Elias. Scenografia: Jody Asnes.

Interpreti: Robert Downey jr (Dito), Rosario Dawson (Laurie), Shia LaBoeuf (Dito adolescente),

Chazz Palminteri (Monty, il padre di Dito), Dianne West (Flori, la madre di Dito),

Channing Tatum (Antonio adolescente).

Produzione: Trudie Styler, Belladonna Productions. Distribuzione: Mikado.

Durata: 98’. Origine: Usa, 2006.

 

 

Il regista

 

Un nome nuovo: Dito Montiel. E il suo film d'esordio: Guida per riconoscere i tuoi santi. Dito Montiel è nato a New York nel 1970, è regista, sceneggiatore e musicista. Suonava in una band punk, i Major Conflict, e prima ancora nei Gutterboy. Nel 2003 ha pubblicato un libro con lo stesso titolo del film che poi ne ha tratto, storie di vita sua e dei suoi amici. Di libro ne ha recentemente  pubblicato un altro, Eddie Krumble Is the Clapper, nel 2007. Questo suo film d'esordio vede tra i produttori anche il cantante Sting. Il film è stato presentato alla Settimana della Critica alla Mostra di Venezia, dove è stato premiato come miglior esordio. Attualmente Montiel sta finendo il suo secondo film, Fighting. Ecco qualche dichiarazione sul film: «Questo film è una delle cose più strane che abbia mai fatto, si tratta di un lavoro originale, fuori dagli schemi. Le scene riguardanti “il branco” dei ragazzi della periferia violenta di Astoria, nel Queens, sono più che realistiche: soprattutto i dialoghi, fatti di brevi e semplici frasi, trascinano lo spettatore in quell’ambiente che è sempre stato il mio e dal quale il protagonista fugge, per paura della violenza di cui è vittima. La mia storia personale è simile a quella del protagonista del film, ma leggermente diversa. Quando ho abbandonato quel quartiere, ho provato la sensazione di tradire i miei amici. Le loro storie sono state raccontate nel film, ma quella di Antonio, il mio miglior amico, è ancora più complicata. È stato effettivamente in prigione, ha tentato di scappare e ha trascorso lì dentro sei anni. I santi a cui fa riferimento il titolo sono, appunto, i vecchi amici del Queens. Al termine dei lunghi anni in cui sono stato lontano dalla mia casa ho cercato e poi riconosciuto i miei santi. Come ha detto Woody Allen, cerchiamo di rendere le cose perfette nei film, perché nella realtà non lo sono. E io mi sono impegnato molto a fare questo film, perché lo volevo fare, ma non perché volessi intraprendere la carriera di regista. Così, quando ho scritto il libro, non volevo diventare uno scrittore, avevo soltanto voglia di scrivere quel libro. Io prendo le cose così come vengono, non sono bravo a fare progetti. Da poco ho finito di scrivere il mio secondo libro e farò di nuovo il regista del film tratto da questo libro».

 

La critica

 

Tutto l'amore e la violenza della giovinezza in un film che ci riporta al cinema libero e folle dell'America anni '70 con una storia di memoria e tradimento, di fuga e riconciliazione. Tutti i salti, gli strappi, le incoerenze, le improvvisazioni, le cose già fatte mille altre volte ma sempre così belle ed emozionanti che sembrano nascere sotto i nostri occhi, in un esordio che non può non far pensare al primo Scorsese e a Spike Lee. Anche se Dito Montiel, ex-musicista punk, ex-modello per Bruce Weber, ex-galoppino dei gangster greci e italiani di Queens, scrittore acclamato per un libro ancora non tradotto che porta lo stesso bellissimo titolo del film, Guida per riconoscere i tuoi santi, ha una voce tutta sua; così come appartengono solo a lui questa storia divagante come un brano free jazz e i tanti personaggi che la popolano, a cui il film accenna appena ma che danno ampiezza e profondità a questa rievocazione appesa al filo della memoria. Due epoche, due mondi. Pochi flash condensano il dopo: la fuga dalle "mean streets" di Astoria, inferno e paradiso insieme, l'approdo in California, la rinascita come scrittore di successo, nutrita dai ricordi cui attinge anche il film. Il resto, cioè quasi tutto, è l'adolescenza di Dito. Dito come il regista (ma «il film non è al 100% autobiografia», giura Montiel), che da grande avrà il volto dolente di Robert Downey Jr. nell'interpretazione meno esteriore della sua vita, ma da ragazzo ha la faccia tosta e il passo svagato di Shia LaBoeuf, il più riflessivo, si fa per dire, di un gruppetto di amici a geometria variabile. C'è il bruto incontrollabile che metterà tutti nei guai, il fratello pazzo destinato a una fine atroce, il gregario che tiene duro, il compagno di scuola scozzese che vuole fondare una band con Dito (la nascita della loro amicizia ispira una scena magnifica e fatta di niente, una gita verso Coney Island che è quasi un condensato del film), un pugno di cattive ragazze irresistibili su cui svetta la seducente ragazza di Dito (Melonie Diaz, poi Rosario Dawson). Ma soprattutto ci sono i genitori di Dito, il "latino" Chazz Palminteri e l'irlandese Dianne Wiest, coppia granitica quanto mal assortita che condensa i rimpianti e i sensi di colpa del Dito adulto, di ritorno dopo decenni per vedere il padre malato, ritrovare i luoghi, le voci, i fantasmi di quel mondo sparito ovunque fuorché dentro di lui. E forse, chissà, riconciliarsi con quella figura paterna così amata e così soffocante, celebrata nei libri ed evitata nella vita. Il tutto assemblato con logica musicale più che narrativa, con una capacità di far parlare i corpi e gli ambienti che lascia senza fiato, con una sensualità che traduce in immagini quello che i personaggi "sanno benissimo ma non diranno mai", per usare la formula di Montiel, o diranno solo per sbaglio (la dichiarazione sul balcone, altro pezzo di bravura). In un film non privo di errori, autoindulgenza, ripetizioni. Ma ricco, emozionante, motivato e inventivo come se ne vedono di rado.

Fabio Ferzetti, Il Messaggero, 9 marzo 2007

 

Musicista, autore di una autobiografia, Dito Montiel si è lasciato convincere a trasformarla in film da Robert Downey che è nel cast e da Sting e signora che l'hanno prodotto. Guida per riconoscere i tuoi santi è una classica storia di degrado metropolitano, dove i Santi del titolo sono i protettori del quartiere, lungo la via sociologica del cinema americano anni '70 percorsa più volte dai grandi come Scorsese e poi da tutti gli allievi. Nel ruolo centrale di chi sa, ricorda, rimpiange è proprio Downey jr. che ritorna nel quartiere natìo del Queens, New York, avendo lasciato da anni i ragazzacci dell'infanzia, il padre ora malato e la madre che lo accudisce, una bella coppia di attori con Chazz Palmintieri e Dianne Wiest, impegnati, prima e dopo, in scontri morali a fuoco col figliol prodigo che fa una sua recherche. Ed eccolo giovane che ci spiega, giorno dopo giorno, perché ha lasciato quei posti e la sua fidanzatina, immersi in una violenza totale di rapporti. Eppure, come tutte le autobiografie, anche la descrizione di questo inferno porta con sé i germi di una nostalgia che la regia fa ben intuire, esplodendo nelle parti all'interno della famiglia quando esplodono le contraddizioni e anche le illusioni e le speranze, che sono sempre quelle del vecchio commesso viaggiatore di Miller. Mentre nei film dei '70 c'era alla fine la partenza verso una meta diversa e forse migliore, qui è tutto già accaduto e la cultura della strada e le tragedie caratteriali hanno dato i loro frutti, mentre la cultura del domani si attinge solo scappando lontano, fuori dalla povertà violenta e dal legame viscerale. A commento di tutto, oltre che la bella Rosario Dawson, ci sono tutti i manierismi del caso, le gang e il metrò nell'adolescenza estiva del 1986, ma il film, premiato alla Settimana della critica veneziana, è da apprezzare per la sincerità con cui si racconta un ritorno a casa, doloroso come la partenza, forse di più.

Maurizio Porro, Il Corriere della Sera, 9 marzo 2007

 

Se gli italiani parlano di piccoli amori e ragazzi benestanti, racconta di adolescenti disperati del Queens l'americano Guida per riconoscere i tuoi santi, primo film di Dito Montiel figlio di un pugile nicaraguense, tratto da un suo libro, prodotto con pochissimi soldi anche da Sting e da sua moglie Trudie Styler, collocato alla metà degli Anni Ottanta, interpretato da un cast importante, premiato al Sundance e alla Settimana della critica a Venezia. II titolo chiama «santi» gli amici d'infanzia e adolescenza, quelli con i quali s'è cominciato a vivere e ad esplorare il mondo. Davvero un buon film. Uno scrittore torna dopo quindici anni al quartiere dov'è cresciuto perché suo padre è molto malato. Il ritorno ravviva le memorie: desideri, risse, liti in famiglia, amari, amici morti oppure spariti, piccola delinquenza, e piccoli lavori, crisi epilettiche, frasette sentenziose («Io ho lasciato tutto, ma nulla ha lasciato me»). Niente di originale: in Mean Streets di Scorsese o Bronx diretto da De Niro cinquantenne anche a Queens, ambiente e personaggi erano simili. Mentre però in quei film le ragazze erano impeccabili, qui sono sguaiate, aggressive e belle quanto i ragazzi; agli adolescenti delinquenziali si sostituiscono adolescenti che non sanno cosa fare né dove andare; e nel quartiere malavita e mafia sembrano non esistere affatto.

Lietta Tornabuoni, La Stampa, 9 marzo 2007


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