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Il vento fa il suo giro - Scheda del film

CINEFORUM ARCIFIC OMEGNA

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in collaborazione con:

CINEMA SOCIALE – S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

PREMIO GRINZANE CINEMA

Giovedì 13 marzo 2008 – scheda n. 21 (751)

Il vento fa il suo giro

 

Titolo originale: E l’aura fai son vir

 

Regia: Giorgio Diritti

 

Sceneggiatura: Giorgio Diritti, Fredo Valla. Fotografia: Roberto Cimatti.

Montaggio: Edu Crespo, Giorgio Diritti. Musica: Marco Biscarini, Daniele Furlati.

Interpreti: Thierry Toscan (Philippe Héraud), Alessandra Agosti (Chris Héraud),

Dario Anghilante (Costanzo, il sindaco), Giovanni Foresti (Fausto).

Produzione: Arancia Film. Distribuzione: Lab80 Film.

Durata: 110’. Origine: Italia, 2006.

 

Il regista

 

Giorgio Diritti ha lavorato sul set di molti film italiani con registi come Fellini, Olmi e Avati, ma si è soprattutto formato alla scuola di cinema, Ipotesi Cinema, di Ermanno Olmi a Bassano del Grappa. Ha girato molti documentari e cortometraggi, anche per la televisione, prima di arrivare a questo esordio nel lungometraggio. Il vento fa il suo giro è il caso dell’anno, per il cinema italiano: premiato al Bergamo Film Meeting e in molti altri festival all’estero, non è riuscito in Italia a trovare una distribuzione regolare ed è uscito in sordina, non avendo alle spalle nessuna grande casa di distribuzione. Eppure, a Milano, è in programmazione ininterrotta dal giugno scorso, al cinema Mexico.

Il film è stato girato in Alta Val Maira, nel Piemonte sud-occidentale, dove si parla ancora la lingua occitana. Ecco, appunto in lingua occitana, una dichiarazione del regista: «E l’aura fai son vir es o premier film en Itália, per lo cinema, parlat en lenga occitana; lhi actors principals son Thierry Toscan, Alessandra Agosti, Giovanni Foresti e Dario Anghilante. Es un projèct esperimental realizat sensa aver agut de financiaments ministerials, mercés na particulara proposta de produccion: las personas de la tropa e lhi actors principals intron en coproducion en se garantent abo lo lor trabalh na quota dal film. Aquò es estat posible mercés l’adesion a un project que salh da las manieras tradicionals del cinema italian e siern de contar encà estorias veras. Lhi abitants de las valadas an recitat e an sotengut e rendut possible lo film en butant a disposicion mejans, bestias, objects de scena e maisons onte virar lo film. Experimental e inovatiu es decò per l’usatge de las lengas di personatges: lo francés per la familha Hèraud, l’occitan per lhi valisans e l’italian per aqueli de fòra. L’entencion d’utilizar lhi sot-titles, mantenent parelh l’usatge de la lenga, sença lo doblage, fausa ren lo contiar e laissa al film son ama e son originalitat. Dins lo mesme temp renfòrça lhi estudis recents sus l’intercomprension lenguistica dins l’ensem da las lengas romanas. A travèrs l’usatge de la lenga mairalha, lhi òmes e las fremas de las valadas se son identifiats dins l’èstoria e, parelh come din un vielh rite collectiu, son redevenguts conscients de loro identitat culturala, dins una dinamica e generosa abo la tropa».

 

La critica

 

L’occitano - la lingua d’oc - è una lingua neolatina parlata in Europa da tredici milioni di persone di cui circa 180.000 vivono in Italia in 120 comuni di 14 valli alpine del Piemonte, della Liguria e, stranamente, in una zona della Calabria. Il vento fa il suo giro diventa in occitano E l’aura fai son vir e ha un seguito: ‘... e prima o poi ritorna’. Nel panorama del cinema italiano è un film anomalo per molti motivi: 1) non ha usufruito di finanziamenti ministeriali né televisivi; 2) è stato prodotto con una formula cooperativa: le persone della ‘troupe’ e gli interpreti principali sono entrati in coproduzione, condividendo criteri e modalità di realizzazione, garantendosi così col lavoro una quota del film; 3) girato nella Valle Maira (Cuneo) che a nord confina con la Francia, è parlato in tre lingue: il francese dalla famiglia Héraud al centro della vicenda; l’occitano per i valligiani; l’italiano per gli abitanti di Dronero e del fondovalle; 4) è, perciò, un film italiano con i sottotitoli; 5) oltre a coprire tutti i ruoli comprimari, gli abitanti della Valle Maira e di quelle vicine hanno messo a disposizione mezzi, animali, oggetti di scena e ambienti, persino cibo, per effettuare le riprese: eppure nel film non sono tutti simpatici, anzi; 6) è stato girato nel 2004 in tre stagioni (inverno, estate, autunno) che corrispondono al tempo della narrazione; 7) pronto alla fine del 2005, ha fatto nel 2006 il giro di una ventina di festival italiani e stranieri (tra cui Londra, Bradford, New York, San Francisco, Lisbona, Bruxelles, Monaco di Baviera, Bastia, Copenhagen, Annecy), vincendo una mezza dozzina di  premi e menzioni tra cui la Rosa d’oro Camuna del 24° Bergamo Film Meeting. L’ultima anomalia: tutti gli interpreti sono non attori, compreso il protagonista Thierry Toscan, una faccia magnifica, che nella vita è un artista multimediale (scenografo, pittore, musicista) e se la cava bene anche in italiano. Al cinema, per ragioni soltanto in parte spiegabili, si sottolinea il fatto dell’opera prima, cioè del primo lungometraggio, quasi sempre di ‘fiction’. In altre parti si dice più semplicemente esordio o debutto, parola in passato rimproverata dai puristi come francesismo di origine teatrale. L’esperienza insegna che, specialmente in Italia, è più difficile fare un secondo film riuscito che il primo. Anche Il vento fa il suo giro è un’opera prima prodotta, scritta e diretta dal bolognese Giorgio Diritti (1959) che ha fatto il suo apprendistato con tre corti, un documentario e un film tv, Quasi un anno, (1993) e andando a bottega di Olmi e Pupi Avati. Se mi avessero chiesto di partecipare al giochino di fine d’anno, chiedendomi di indicare i dieci migliori film italiani visti nel 2006, ci avrei messo tra i primi cinque Il vento fa il suo giro. Eppure non ha trovato una distribuzione, il che, come tutti sappiamo, non è un’anomalia come non è una novità il fatto che nel 2007, seguendo altri esempi, Diritti e i suoi soci siano ricorsi a un sistema di autodistribuzione. C’è da dire, intanto, che è un insolito film di montagna, grazie anche alla fotografia digitale di Roberto Cimatti. È difficile filmare la montagna senza cadere nell’oleografia, nelle bellezze da cartolina, nell’ovvio fascino delle alte cime, delle albe e dei tramonti: la storia del cinema insegna che, tolte poche eccezioni, i migliori film di montagna sono in bianconero. Diritti e Cimatti l’hanno filmata nella sua realtà più fisica e atmosferica attraverso il variare delle stagioni come raramente sullo schermo si era visto, filtrando spesso i paesaggi attraverso le nubi o la pioggia e tenendo il livello cromatico sui toni gravi, verde smorzato e grigio o metallico. I pochi momenti di luce radiosa acquistano così uno splendore quasi surreale. È un film di complessità espressiva e tematica rara. Più che quello dell’immigrazione, ribaltato in modo originale, conta il tema del rapporto con la diversità, analizzato come disagio o arricchimento a seconda dei punti di vista e dei vari personaggi. La diversità scatena il conflitto, mette in dubbio certezze e convenzioni, condiziona eventi e scelte, modifica le persone o ne rovescia il ruolo. Come dice Diritti in una dichiarazione d’intenti, «senza contatto, scambio di valori e accoglienza non può esserci sviluppo umano e qualità dell’esistere; sembra inevitabile che vi si giunga solo col travaglio, che solo la dimensione tragica può risvegliare nell’uomo una coscienza cui possa germogliare una dimensione di speranza e di fiducia». Il vento fa il suo giro è, alla fine, la storia di una sconfitta, ma non si chiude nel pessimismo. C’è sicuramente amarezza nella conclusione, ma non compiaciuta né sottolineata. La cinepresa, cioè l’occhio del narratore, si tiene lontana dalla famiglia Héraud che se ne va, e si libra nel cielo, sopra il campanile, le case, la gente. Dopo aver raccontato la differenza tra tolleranza e accoglienza, è la storia di esseri umani che cercano una identità, convinti di poter costruirla e gestirla, magari cercandola con un coraggio e una fantasia misti alla disperazione. E anche la storia di altri che non la cercano più, ormai rattrappiti nel ruolo in cui le convenzioni sociali, le condizioni ambientali o le amarezze della vita li hanno rinchiusi. Non vivono più, sopravvivono. Nel film e nella sua sapiente costruzione drammaturgica, però, alita qualcosa di sospeso che è, insieme, già definito e aperto al futuro, alla possibilità di cambiarlo. Affiora il tema del destino, come suggerisce un vecchio detto popolare, citato da uno dei personaggi: ‘Le cose sono come il vento, prima o poi ritornano’. Come ha scritto Alceste Rigodon dal settimo Festival Internazionale di Arras, «... è ammirevole, in questo film pregnante, il modo di portarci a poco a poco con tocchi realistici alle connessioni necessarie alla trama, nel cuore dei fermenti di un dramma immaginabile: a poco a poco siamo immersi nella comunità rurale di questo sito di montagna che sfida il tempo e la nuova economia... Come se nulla dovesse cambiare per questa gente, in apparenza solida, che ha finito per dimenticare che lo straniero di cui diffidano (ostilità nata dalla rimozione di un subconscio collettivo?) ha recuperato la pastorizia defunta dei loro antenati». Sapete come hanno giustificato il loro rifiuto i distributori italiani cui Diritti si era rivolto, scegliendoli tra quelli che passano per ‘aperti alle novità’? I più stolti: è un film di pastori, contadini, capre e vacche, non interessa a nessuno. I più furbi: è un film con i sottotitoli, e agli spettatori italiani non piace leggere al cinema. Alcuni di quei distributori sono stati invitati ad assistere alle proiezioni pubbliche del film nelle principali città italiane per vedere le reazioni del pubblico. Non è mai venuto nessuno.

MMorando Morandini, Cineforum, n. 465, giugno 2007

 

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