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Shortbus - Scheda del film

CINEFORUM ARCIFIC OMEGNA


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in collaborazione con:

CINEMA SOCIALE – S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

PREMIO GRINZANE CINEMA

 

Giovedì  17 aprile 2008 – scheda n. 26 (756)

 

Shortbus

 

Titolo originale: Shortbus

 

Regia e sceneggiatura: John Cameron Mitchell

 

Fotografia: Frank G. De Marco. Montaggio: Brian A. Kates.

Scenografia: Jody Asnes. Musica: Yo La Tengo.

Interpreti: Sook Yin Lee (Sofia), Paul Dawson (James), Justin Bond (la tenutaria),

PJ DeBoy (Jamie), Raphael Barker (Rob), Jay Brannan (Ceth),

Peter Stickles (Caleb), Daniel Sea (Principino).

Produzione: Process Productions, Q Television. Distribuzione: Bim.

Durata: 102’. Origine: Usa, 2006.

 

Il regista

John Cameron Mitchell è un regista teatrale assai noto negli ambienti di Broadway. Lavora anche al cinema come attore, per esempio in Girl 6 di Spike Lee, e come regista. Il suo film, Hedwig, La diva con qualcosa in più (2001), ha ottenuto premi al Sundance Film Festival, al Festival di Deauville e a Berlino. Ecco qualche sua dichiarazione su Shortbus, film “scandaloso” e al tempo stesso umano e puro (perché, come ricordava anche Alessandro Manzoni: omnia munda mundis, cioè, visto che il latino non lo sa più nessuno, tutto è puro per i puri): «Negli anni in cui stavo lavorando a Hedwig, mi sono reso conto che si stavano di nuovo cominciando a fare film che parlavano di sesso, come si facevano negli Anni ’60 e ’70. A quei tempi però, il concetto di sesso sembrava legato a quello di negatività, e io che sono cresciuto in un ambiente cattolico dove il sesso era la cosa più spaventosa in assoluto, ne so qualcosa. Con Shortbus ho pensato di fare una commedia in pure stile newyorkese che parlasse di sesso con franchezza, che fosse provocatoria e possibilmente divertente... Ho sempre pensato che guardando due sconosciuti fare sesso puoi scoprire molte cose su di loro. Allo stesso tempo volevo fare un film in cui i personaggi e la sceneggiatura si sviluppassero attraverso improvvisazioni di gruppo, ispirate alle tecniche di John Cassavetes, Robert Altman e Mike Leigh... Nel film, il sesso è reale. Ho voluto che nulla fosse simulato, sesso compreso. Quando ho iniziato a lavorare al film, già per i provini abbiamo evitato le star, sia perché non hanno sesso e soprattutto perché non avrebbero accettato di fare un workshop della durata di un anno. Allora abbiamo richiesto materiale video nel quale fosse riportata un’esperienza sessuale che per loro era stata particolarmente significativa dal punto di vista emotivo. Sono giunte oltre 500 cassette: molti parlavano davanti alla macchina da presa, altri hanno realizzato dei cortometraggi, altri cantavano, altri facevano sesso. Alla fine abbiamo scelto una quarantina di persone. Volevo che gli attori creassero insieme a noi e che man mano si costruisse un rapporto di fiducia. All’epoca ogni mese facevo una festa (che si chiamava “Shortbus”). Volevo creare un’atmosfera da festa di liceali. Poi, tutti gli attori hanno guardato le loro cassette insieme agli altri. I contenuti delle cassette spesso erano veramente personali e questo ha fatto sì che ognuno di noi capisse che ci trovavamo tutti nella stessa barca. Ho messo lì un’urna dove ognuno doveva dare un voto agli altri. Per le prime improvvisazioni abbiamo messo insieme le persone che si erano date il massimo dei voti. A quel punto è venuto fuori molto velocemente chi fossero gli attori naturali, sia che avessero studiato oppure no... Il nome del locale, “Shortbus”, si riferisce al tradizionale scuolabus giallo americano. I bambini “normali” vanno a scuola sullo scuolabus lungo. Invece i bambini con “esigenze speciali”, i disabili, quelli che soffrono di disturbi emotivi e quelli meno dotati, prendono lo scuolabus corto, short bus appunto, perché non sono così numerosi. Ho l’impressione che molte delle persone che conosco abbiano una certa familiarità con lo short bus in un modo o nell’altro... Il film denuncia una serie di pregiudizi tipici dell’America, e non solo. Perché in un film non si può esplorare il sesso in modo, lo spero almeno, divertente e che faccia riflettere? Perché questi argomenti ci fanno così paura? Naturalmente capisco che possiamo essere spaventati a livello personale, ma un amico una volta mi ha detto: “Il sesso è sicuramente qualcosa di cui aver paura, ma non si può evitare.” Mi rendo anche conto di come la paura del sesso - o di fatto la paura di qualsiasi rapporto reale - nella mia cultura porti direttamente all’infelicità, a degli inutili conflitti e alla violenza».

La critica

 

Il film-scandalo di Cannes 2006, l’americano Shortbus di John Cameron Mitchell, uscirà venerdì nei cinema italiani in sole 60 copie, anziché le 100 previste. Motivo? Il «perbenismo» degli esercenti, secondo Valerio De Paolis, che con la sua società Bim lo ha acquistato per la distribuzione in Italia. Prima ancora che il film passasse alla censura (che l’ha «ovviamente» vietato ai minori di 18 anni, e fra poco vedremo perché), molti cinema l’avevano rifiutato. «Ho trovato difficoltà con molti esercenti, anche di qualità, nel far accettare questo film a causa di un certo loro perbenismo», ha dichiarato ieri De Paolis. «Considerano il film pornografico, una cosa che a me sembra davvero miope e comunque riduttiva. Ma non li giudico, ognuno è libero di pensarla come vuole. Anche io, avessi un figlio di 15 anni, non gli mostrerei il film, ma a 18 non vedo che male ci sia». Pare che le maggiori difficoltà, per Shortbus, siano arrivate dai multiplex. Le grandi multisale di periferia si rivolgono ormai a un pubblico familiare e indistinto, e la sola idea che su 20 schermi (pieni zeppi, magari, di kolossal americani ultra-violenti) uno possa mostrare un film «pornografico» deve sembrare devastante. Anni fa ci siamo riempiti la bocca con gli elogi dei multiplex, sperando che la moltiplicazione di schermi potesse corrispondere a una maggiore ricchezza dell’offerta: non era difficile prevedere, invece, che il «modello multiplex» sarebbe stato sinonimo di omologazione, e ci perdoni Pasolini se per l’ennesima volta gli rubiamo questo termine. Ma non ne troviamo uno migliore, in un paese dove non si può prendere in giro il Vaticano e dove bravi comici come Fiorello, Crozza e la Littizzetto passano per demoni dell’inferno (o, al contrario, per paladini della satira e della libertà d’espressione, che è quasi altrettanto ridicolo). Essendo passati 6 mesi da Cannes, ricordiamo che Shortbus è l’opera seconda di John Cameron Mitchell, 43enne di El Paso, Texas, proveniente da una famiglia super-cattolica e di tradizioni militari (non poteva altro che diventare, da grande, una leggenda della cultura gay americana). Il suo primo film Hedwig, del 2001, lo vedeva anche attore nei panni multicolori e travestiti di una cantante drag-queen. Qui, invece, Mitchell ci trasporta nella New York più underground ed estrema: non solo gay, perché, delle tre storie che si incrociano nel locale Shortbus che dà il titolo al film, due sono di donne etero (una sessuologa che non riesce a raggiungere l’orgasmo e una prostituta sadomaso che non sopporta i propri clienti). Il film contiene numerose scene di sesso autentico, con tanto di membri virili in azione, quindi è tecnicamente «pornografico»: ma colloca tali scene in contesti talmente reali, e spesso sentimentalmente toccanti, da raggiungere una logica narrativa che è l’esatto opposto del vero cinema porno. Che sia vietato ai minori è, come dicevamo, scontato; che possa scandalizzare gli esercenti, è ridicolo. Anni fa i cinema avrebbero chiesto di programmare un simile film con la bava alla bocca e il simbolo del dollaro nelle pupille. Oggi, si atteggiano tutti a boy-scout. È un segno (brutto) dei tempi.

AAlberto Crespi, l'Unità, 21 novembre 2006

 

In Italia esce vietato e con molte difficoltà. Gli esercenti italiani (e non i distributori, visto che la Bim di De Paolis ha deciso una coraggiosa uscita ad alti numeri), per Shortbus hanno alzato le barricate e in tanti hanno chiuso le proprie sale per questo film “pornografico e dissacrante”. Immaginiamo siano queste le riserve, oltre al fatto che un film vietato ai 18 come ha deciso (comprensibilmente) la censura taglia fuori la fetta di mercato più sostanziosa nello staccare i biglietti. Ovviamente, Shortbus non ha nulla di pornografico e nemmeno di erotico. Trasgressivo sì. Per quanto sia tuttora trasgressivo, a trent’anni dai gloriosi tentativi di rivoluzione sessuale, mostrare i comportamenti carnali di uomini e donne senza finte pudicizie. Sofia è una sessuologa che non è riuscita mai a raggiungere l’orgasmo con l’amato marito. Jaimie e James sono una coppia gay che non riesce a praticare la penetrazione, Severine si guadagna da vivere facendo la “padrona” in incontri sadomaso, ma vorrebbe trovarsi un compagno o una compagna da amare senza frusta. Con il termine “Shortbus” il regista John Cameron Mitchell ricorda a tutti gli americani che un tempo sono stati bambini, quei bus gialli che andavano a prenderli a casa per portarli a scuola. Ce n’erano di lunghi, per i bambini normali, e di più corti, per bambini diversi. Quello prescelto da Mitchell è ovviamente il bus “short”, molto molto corto, pieno di uomini e donne che tentano di comunicare l’uno/a con l’altro/a con la musica, il canto, la parola e i corpi in un locale underground newyorchese gestito dalla accoglientissima travestita Justin Bond (reale intrattenitore delle notti di New York). Commedia con tratti melò alla Allen, pronta a seguire i suoi personaggi negli alti e bassi della vita e dell’amore, Shortbus è un piccolo esercizio di civiltà, in cui il suo autore si chiede e ci chiede a voce alta: «perché non possiamo osservare e usare il sesso come strumento di conoscenza umana?». Eppure nella sessualità delle persone si vedono tante cose, si capiscono tante cose… Shortbus non è un capolavoro, inizia alto e poi si perde per via, riportandoci nel giusto clima solo verso il finale. Ma certo, nel suo ripescaggio di temi e istanze tipicamente Settanta, ci restituisce qualcosa che un tempo ci apparteneva e di cui vale la pena riappropriarsi. Sesso, gioia & rock’n’roll.

RRoberta Ronconi, Liberazione, 25 novembre 2006

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