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Belle toujours - Scheda del film

CINEFORUM ARCIFIC OMEGNA

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in collaborazione con:

CINEMA SOCIALE – S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

PREMIO GRINZANE CINEMA

 

Giovedì  24 aprile 2008 – scheda n. 27 (757)

 

 

Belle toujours

 

Titolo originale: Belle toujours

 

Regia: Manoel de Oliveira

 

Sceneggiatura: Manoel de Oliveira, dal romanzo di Joseph Kessel.

Fotografia: Sabine Lancelin. Montaggio: Valérie Loiseleux.

Scenografia: Christian Marti. Costumi: Milena Canonero.

Musica: Kyle Eastwood, Michael Stevens.

Interpreti: Michel Piccoli (Henri Husson), Bulle Ogier (Séverine Serizy),

Ricardo Trêpa (il barman), Leonor Baldaque (giovane prostituta),

Júlia Buisel (vecchia prostituta), Lawrence Foster (lui stesso, direttore d’orchestra).

Produzione: Les Films d’Ici. Distribuzione: Mikado.

Durata: 78’. Origine: Francia, Portogallo, 2006.

 

Il regista

 

Manoel de Oliveira compie cent’anni! Auguri di tutto cuore e che gli dei ce lo conservino: anche perché continua a fare film. Ne gira uno, ne scrive un altro e ne pensa altri sette o otto. Oliveira è nato a Porto, in Portogallo, nel 1908. È uno dei più grandi registi oggi in attività, fa un cinema del tutto suo, vedere un suo film è un’esperienza diversa, è come leggere un gran libro, andare a teatro o un concerto (lo diciamo a ragion veduta: stasera, andremo a un concerto, nona sinfonia di Antonín Dvořák...). Il suo primo film è del 1929, Douro faina fluvial. Del 1941 è Aniki-Bobò. Sotto la dittatura di Salazar, molti progetti sono bocciati. Gira documentari magnifici, come A caça (La caccia, 1963). Del 1964, è O acto da primavera, rievocazione popolare della passione di Cristo. Il passato e il presente (1972, visto allora al Cineforum), è una satira antiborghese. Seguono tanti altri film, molti presentati al Cineforum: Benilde o la vergine madre (1978), Francisca (1981), Amor de perdicão, Le soulier de satin (La scarpetta di raso, 1985, da Claudel, lungo sette ore), Il mio caso (1985, dal libro di Giobbe), No o la folle gloria del comando (1988), La divina commedia, La cassetta (1993), La valle del peccato (1994), Il convento (1995), Party (1996), Inquietudine (1997), La lettera (1999), Parole e utopia (2000), Ritorno a casa (2002), Un film parlato (2005), fino a Belle toujours, presentato a Venezia.

 

La critica

 

[...] Il film passa oggi al Lido in una collocazione inadeguata, ma per fortuna esce in contemporanea sugli schermi mettendo tutti in grado di verificare se esagero nel parlare di capolavoro. Firmato dall’atletico vegliardo Manoel de Oliveira (97 anni, quasi 98), Belle toujours - Bella sempre è un elegante paralipomeno a Bella di giorno (1967) di Luis Buñuel, Leone d’oro di 39 anni fa. Molti ricorderanno la vicenda imbastita dal regista spagnolo in collaborazione con Jean-Claude Carrière sulla falsariga dell’omonimo romanzo di Joseph Kessel. Séverine, moglie innamoratissima del bravo Pierre, si prostituisce nei pomeriggi in una casa d’appuntamenti per il gusto perverso di farlo; l’anima nera della situazione si chiama Husson, tortuosamente interessato a Séverine, un amico di famiglia che forse fa a Pierre la tragica spiata. Nella donna è sempre rimasto il dubbio su ciò che ha effettivamente rivelato il novello Jago; e così li ritroviamo, molti anni dopo, nel film di de Oliveira: lui più che mai dilettante di sensazioni morbose, lei tentata di cogliere l’occasione per scoprire finalmente la verità. A un concerto parigino, durante l’esecuzione di una sinfonia di Dvořák, Husson intravede Séverine fra il pubblico e non resiste alla smania di avvicinarla. Dopo vari tentativi a vuoto, fra un doppio whisky e l’altro chiacchierando con un barman filosofo (Ricardo Trêpa), l’anziano riesce a bloccare la donna per la strada. Seguiamo da lontano il loro incontro, movimentato dai ripetuti dinieghi di lei, finché lui le dice qualcosa che la convince ad accettare un invito a cena fatto nello spirito con cui il Commendatore invita don Giovanni. Sapremo poi che il falsone ha promesso di rivelare il vero contenuto del colloquio fatale fra lui e Pierre. A questo punto il film approda alla scena madre, la cena a lume di candela servita impeccabilmente da camerieri in frac. Imbarazzo, lunghi silenzi, tensione; e quando Séverine rivela il suo progetto di farsi monaca, Husson da alcolista convinto dichiara: «Il whisky è il mio convento personale». Il tutto finisce, come ovvio, a pesci in faccia sotto lo sguardo impassibile della servitù. Il tono sinceramente devoto dell’omaggio a Buñuel e a Carrière non impedisce a de Oliveira di siglare un’opera del tutto originale. La sua ambizione era di avere i creatori dei rispettivi personaggi, ma solo Piccoli ha acconsentito. Catherine Deneuve si è negata e sarebbe interessante conoscere i motivi del rifiuto: se è stato per forza maggiore, va assolta; ma se è stato per sfiducia nella qualità della proposta, sarebbe un pessimo connotato per l’attuale presidente della giuria di una mostra d’arte cinematografica. Poco male: spiace che la Deneuve abbia perso il veicolo della consacrazione, ma Bulle Ogier la sostituisce tanto bene da non lasciare rimpianti. Bella ancora, come vuole il titolo, Bulle ha qualche anno più di Catherine, ma non li dimostra e vanta un’esperienza teatrale che l’altra non ha. Assume la dolorosa compostezza di un’icona risentita mentre siede davanti a Piccoli, agitato e sornione, masochista e pericoloso. Uno straordinario duetto di anime dannate, ritmato dal maestro de Oliveira con i tempi di un ispirato «metteur en scène» per il quale il cinema non esisterebbe se non ci fosse il teatro.

TTullio Kezich, Il Corriere della Sera , 8 settembre 2006

 

Che cosa c’era nella scatolina che un fantasioso cliente orientale mostrava a Séverine Serizy, nel segreto della casa di madame Anaïs? Il grande Luis Buñuel non dava risposta, in Belle de jour (1967). D’altra parte, se la sua macchina da presa si fosse spinta fin dentro la scatola misteriosa, ci avrebbe trovato solo il desiderio di Séverine, la sua curiosità. A questo desiderio, a questa curiosità torna Belle toujours. È Henri Husson il narratore del film di Manoel de Oliveira, che nel 1967 aveva già quasi 59 anni. Era il più ironico fra i personaggi del film di Buñuel, monsieur Husson. Ora lo ritroviamo invecchiato, ma non meno ironico. Anzi, il suo sorriso è più olimpico di un tempo. E certo il merito è anche dell’ottantunenne Michel Piccoli, che gli ridà vita con la saggezza della sua magnifica vecchiaia. Accanto a lui c’è la brava Bulle Ogier, e non Catherine Deneuve, che ha rifiutato il ruolo di Séverine rediviva. Non tutti invecchiano con la stessa saggezza. Senza timore di mostrarsi per quel che lo scorrere del tempo lo ha fatto diventare, Piccoli/Husson ci prende dunque per mano e ci porta indietro di 40 anni, a quelle emozioni antiche. E poiché è ironico, oltre che saggio, ci avverte che niente di quel che racconta è accaduto. Per quanto, rivolto a un giovane barman (Ricardo Trêpa), gli lasci intendere d’essere lo stesso Henri Husson che aveva scoperto Séverine nella casa di madame Anaïs, tuttavia nega che quei fatti abbiano mai avuto realtà. In platea, i più cinefili immaginano che, attraverso di lui, De Oliveira rivendichi l’autonomia creatrice del cinema rispetto alla banalità di quel che appunto accade. Altri, meno fantasiosi o solo meno propensi alla metafisica, suppongono invece che la storia di Séverine sia tanto lontana nel tempo, tanto legata a un immaginario erotico d’epoca, che oggi è come se non fosse mai accaduta. E c’è persino chi, nelle parole di Husson, avverte un sospetto, un dubbio sulla consistenza, sull’affidabilità umana della stessa Séverine. In ogni caso, a vantaggio dei curiosi, la sceneggiatura di De Oliveira si addentra nell'analisi della “perversione” di Séverine: sadismo, masochismo, angosce (tutto è sottolineato da un nudo di donna, in un quadro appeso dietro il bancone del bar). È tanto efficace, Husson, da convincere il suo interlocutore che, davvero, i fantasmi erotici del gran mondo siano densi di ombre, infernali. A confronto, dice, sono angeli le due prostitute che, con lui, ascoltano il racconto del vecchio signore. Quanto agli angeli, le parole di Husson non le impressionano. Per loro, strette da una complicità professionale che niente sa di angosce e perversioni, la sessualità è una questione più legata al mestiere e all’efficacia che all’inferno o al paradiso. Attraverso Husson, tutto questo racconta De Oliveira, ironico e olimpico quanto il suo personaggio. La sua macchina da presa non ha bisogno di muoversi, per attirare il nostro desiderio e la nostra curiosità. Questa e quello sono catturati dalla leggerezza delle inquadrature, dall’intelligenza allusiva dei dialoghi, dal sorriso antico di Piccoli. Poi, nella seconda parte del film, al racconto di quel che fu segue l’incontro fra Husson e Séverine. E qui De Oliveira non ha più bisogno nemmeno di dialoghi. Gli basta inquadrare i due seduti in un ristorante raffinato, alla luce di candele che, come il tempo della vita, pian piano si consumano: lui sorridente come un gatto di fronte al topo, lei è chiusa e impaurita. Fra loro, sul tavolo, campeggia la scatolina di tanti anni prima. Intanto, un gallo compare da dietro una porta, a ricordarci il genio surreale di Luis Buñuel. La aprirà, Husson, quella scatolina. La aprirà a beneficio della curiosità e del desiderio di Séverine. Ma scoprirà che si sono avvizziti, vinti dalla colpa. La Séverine di un tempo non c'è più, e forse non c’è mai stata. Al suo posto c’è una vecchia signora che soffre la memoria di sé, e che vive in un’ipocrisia bigotta. La libertà interiore che legge negli occhi di Husson vale per lei solo come vergogna e scandalo. E nei suoi, di occhi, non c’è più nemmeno il riflesso della luce che pure li aveva accesi, quando il fantasioso cliente orientale le aveva mostrato quello che si nascondeva nel segreto della scatolina. Non tutti attraversano la vita con saggezza e con rispetto di sé, appunto. Anche di questo è consapevole il vecchio Husson, che però non se ne cruccia. Anzi, il suo sorriso si fa ancor più saggio, ancor più felino. E quando ormai Séverine se n’è andata, fuggendo via da se stessa, lui si accende un sigaro ed esce di scena, olimpico e quieto.

RRoberto Escobar, Il Sole – 24 Ore, 24 settembre 2006

 

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