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Scheda pdf (169 KB)
Cosmonauta - Scheda del film

 

in collaborazione con:

 

CINEMA SOCIALES.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

 

Giovedì 13 gennaio 2011 – Scheda n. 11 (823)

 

 

 

Cosmonauta

 

 

Regia: Susanna Nicchiarelli

 

Sceneggiatura: Susanna Nicchiarelli, Teresa Ciabatti. Fotografia: Gherardo Gossi.

Montaggio: Stefano Cravero. Musica: Gatto Ciliegia vs. il Grande Freddo, Max Casacci (supervisore).

 

Interpreti: Marianna Raschillà (Luciana), Pietro Del Giudice (Arturo),

Susanna Nicchiarelli (Marisa), Claudia Pandolfi (Rosalba), Sergio Rubini (Armando).

 

Produzione: Domenico Procacci per Fandango/Rai Cinema. Distribuzione: Fandango.

Durata: 85’. Origine: Italia, 2009.

 

 

 

Susanna Nicchiarelli

 

Nata a Roma nel 1975, Susanna Nicchiarelli è regista, attrice e sceneggiatrice. Laurea in filosofia, poi studi alla Scuola Normale di Pisa e diploma di regia al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Ha vissuto per un periodo a Los Angeles dove ha studiato cinema alla UCLA. Cortometraggi: La Madonna nel frigorifero (2002), Il linguaggio dell’amore (2004) e Giovanna Z. Una storia d’amore (2005). L’ultimo corto è di animazione, Sputnik 5 (2009), cronaca delle imprese spaziali di un gruppo di animali, cavie da laboratorio sovietiche. Nel 2004 ha girato il mediometraggio Uomini e zanzare. Tre i documentari: Ca Cri Do Bo (2001), Il terzo occhio (2003) e L’ultima sentinella (2009). Questo suo lungometraggio d’esordio, Cosmonauta, è stato presentato alla Mostra di Venezia, dove ha vinto il premio Controcampo. Nel film, Susanna Nicchiarelli è anche attrice nella parte della compagna Marisa. I fatti si svolgono nel 1957, nel quartiere romano del Trullo.

Sentiamo la regista: «Forse è solo questione di mettersi d’accordo sul significato delle parole, ma io non direi mai che il mio film è nostalgico. Anzi! Non rimpiango quei tempi, che comunque non ho vissuto, e non penso che fossero migliori di questi, tuttavia non nascondo una certa fascinazione per quei sentimentalismi e quelle ingenuità date dall’ideologismo. Ho voluto realizzare un film ambientato in quegli anni perché per me era interessante usare l’ambientazione in costume, così vicina e così lontana, per creare una cornice ironica. In questo senso ho voluto che le canzoni d’epoca fossero rifatte da un gruppo moderno... Non volevo neppure prendere in giro i personaggi, non volevo che fossero grotteschi: volevo stare con loro ed identificarmi. Alla fine li giustifico e sono dalla loro parte perché sono adolescenti umani e goffi. Sono molto ottimisti ma poi in realtà si sbagliano e nel film si capisce. Li giustifico perché sono pasticcioni... Nel film c’è anche la diatriba tra comunisti e socialisti e relativi scontri, perché volevo affrontare con leggerezza e ironia un pezzo di storia del paese. Alla fine mi andava di essere veramente leggera e che il film potesse avere più livelli di lettura. Può essere visto da chi quelle cose le ha vissute come da chi non c’era... Importantissimo è il ruolo che ho dato alla corsa allo spazio. Tutti ricordiamo che gli americani hanno mandato il primo uomo sulla Luna ma per molti, come per me, è una sorpresa scoprire che per tutto il decennio la Russia dominava quel campo e i giornali anti comunisti si lamentavano che l’America stesse a guardare... Ho messo una frase specifica: “La tecnologia semplifica e sconfigge la forza di gravità”. Ero al museo della cosmonautica di Amburgo e c’era una bacheca con i titoli delle prime pagine dei giornali francesi e italiani. La prima pagina dell’Unità nel giorno del lancio del primo sputnik diceva in un titolo “La tecnologia sovietica sconfigge la forza di gravità” e ho trovato così poetico che la posta in gioco fosse la sconfitta della forza di gravità, la conquista del cosmo. Una battaglia sicuramente dimenticata che ho pensato di far diventare una commedia perché è secondo me il contesto perfetto... Ho voluto una colonna sonora originale, non volevo riprendere le canzoni del passato. Volevo che fosse una favola ambientata in un’epoca indefinita senza nessuna nostalgia. Volevo che, anziché distanza, comunicasse una sensazione di leggerezza. La decisione di non utilizzare musica originale di allora ci ha consentito di evitare il rischio nostalgico e, anzi, l’anacronismo di usare delle musiche riarrangiate da Max Casacci, secondo me ci ha permesso un distacco maggiore e se si vuole fare un lavoro ironico, il distacco è fondamentale. Volevo fare un ‘musicarello’ sui comunisti, avevo dei riferimenti stilistici ben precisi: i film dei primi anni sessanta, molto allegri, molto colorati, volevo lavorare con la musica, con le ambientazioni, in modo che ci fosse un contrasto tra quest’ambientazione, questo linguaggio che è un contenuto più serio che però viene presentato in contrasto con una veste molto allegra, molto leggera. C’era spazio per l’invenzione, per la metafora, per l’esagerazione».

 

La critica

 

Laddove avevano osato proiettarsi soltanto Astolfo per recuperare il senno dell’Orlando ormai furioso, i soci del Gun Club di Baltimora di Jules Verne («Dalla Terra alla Luna»), Mister Bedford insieme allo stralunato (è il caso di dirlo) dottor Cavor di H.G. Wells («I primi uomini sulla luna») e gli ipercinetici astronomi imbarcati su un proiettile da Georges Méliès (Le voyage dans la Lune), là, nel tentativo di raggiungere quella scabra e misteriosa superficie, si era trasferita, ad un certo punto, la più grande e stridente rivalità tra opposte ideologie di tutto il Ventesimo Secolo. Sfioratisi più volte sulla Terra, arrischiatisi lungo paralleli da solcare vicendevolmente per tornare agli auspicabili equilibri di una coesistenza pacifica, Stati Uniti e Unione Sovietica avevano spostato l’asticella delle proprie performance al di là dell’atmosfera, lungo ellissi orbitali che avrebbero esaltato l’immaginario fino allora soltanto terracqueo di molti comuni mortali e sollecitato domande più ampie e vertiginose sull’origine umana e su un nuovo cammino possibile. Era il 4 ottobre 1957 quando iniziò ufficialmente il programma spaziale sovietico con il lancio del primo satellite artificiale Sputnik: impiegò poco più di un’ora e mezza per compiere la sua orbita intorno alla Terra, ma l’eco dell’impresa si propagò ad ogni latitudine. (...) Il Cosmonauta (contrapposto al capitalista Astronauta, più consono forse alle stelle che adornano la sua bandiera) come l’Eroe che si erge per un breve istante dal Popolo, di cui è diretta emanazione, ed esalta la grandezza dell’incessante opera di ricerca tecnologica del socialismo. (...)

L’altezza dell’aspirazione cosmica sovrapposta alla vacillante gravitazione quotidiana di due fratelli, uno astolfesco per inclinazione congenita, l’altra intrappolata nel bel mezzo di una bufera puberale. La vita privata riflessa nella lotta politica, l’individualità rispecchiata nei mutamenti vorticosi della Storia e la fragilità delle persone confrontata con l’infallibilità dell’ideologia. È su questi contrasti che Cosmonauta imposta il suo piccolo e garbato racconto di educazione sentimentale ed individuale ai tempi del comunismo, o perlomeno, tanto per non incorrere nella stessa vulgata revisionista che ci ha caratterizzato negli ultimi tre lustri, ai tempi in cui il comunismo era una forza di opposizione granitica in grado di mobilitare più di sette milioni di elettori (così come testimoniano i risultati della consultazione elettorale del 28 aprile 1963, visti nel film attraverso una mal sintonizzata televisione all’interno della sezione del Partito). Quello allestito dalla Nicchiarelli è un gradevole teatro delle emozioni in cui la piccola Luciana, dapprima impegnata in una fuga dalla Prima Comunione, poi quindicenne preda dei primi furori amorosi, è il fulcro di una rappresentazione progettata intorno a pochi scenari privilegiati, ognuno dei quali dotato di una connotazione definita, ciascuno presente in qualità di sfondo che fornisce il sintomatico contesto e gli adeguati personaggi di una recita formativa capace di travalicare gli ambiti di riferimento e generare le necessarie contraddizioni di un’esperienza adolescenziale. Negli spazi di una sottosezione dei giovani comunisti del quartiere romano del Trullo e in quelli di un rispettabile alloggio borghese, si definisce il percorso tortuoso, ellittico (nel senso geometrico, orbitale del termine), di Luciana, giovane comunista che si affaccia alla vita tramite i dubbi della sua incipiente femminilità, credendo contemporaneamente in una ben definita utopia. (...) Cosmonauta è uno spaccato indicativo del contrasto possibile tra dogmi inviolabili e sensazioni individuali, tra prassi collettiva e dilemmi esclusivi, con la scansione del programma spaziale sovietico a punteggiare l’illusione di una crescita proporzionata ai successi ideologici (con il disincanto dell’ultima inquadratura del film, in cui si vedono Armstrong e Aldrin danzare sul suolo lunare e in qualche modo “liberare” Luciana da uno sviluppo esclusivamente politico) e con il corredo espressivo delle canzoni anni Sessanta (attualizzate secondo la versione di Gatto Ciliegia vs. il Grande Freddo) a fornire, con la plasticità di un fumetto, la trasparenza dell’anima tumultuosa e sbarazzina di Luciana.

Uno sguardo su un passato che pare preistoria, superato non solo dalla fine del sogno spaziale, ma anche da un presente spesso indirettamente evocato (Marisa che fa riflettere Luciana sulle conseguenze della sua discutibile condotta individuale) che origina, latente, un impulso nostalgico per la schiettezza del dibattito politico e per la candida impulsività delle scelte personali mostrate. Sembra che da allora sia trascorsa una vita ed invece è bastato il tempo di un lungo ed inesauribile spot.

GGiampiero Frasca, Cineforum, n. 488, ottobre 2009

 

 

 

 

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