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Locandina del film
A History of Violence - Locandina del film
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A History of Violence - Scheda del film
CINEFORUM ARCIFIC OMEGNA
quarantatreesima stagione

in collaborazione con:

CINEMA SOCIALE - S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna

PIEMONTE AL CINEMA - IL CINEMA DIFFUSO
promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS

Giovedì 2 novembre 2006 – scheda n. 3 (706)

A History of Violence

Regia: David Cronenberg
Sceneggiatura: Josh Olson, dalla graphic novel omonima di John Wagner e Vince Locke
Fotografia: Peter Suchitzky. Montaggio: Ronald Sanders. Musica: Howard Shore.
Scenografia: Carol Spier.
Interpreti: Viggo Mortensen (Tom Stall), Maria Bello (Edie Stall), Ed Harris (Carl Fogarty),
Gilliam Hurt (Richie Cusack), Ashton Holmes (Jack Stall),
Peter McNeill (lo sceriffo Sam Carney).
Produzione: Bender-Spink Inc./New Line. Distribuzione: 01.
Durata: 96’. Origine: Usa, 2005.


Il regista

David Cronenberg, nato a Toronto, in Canada, nel 1943, è una delle massime figure del cinema contemporaneo. Suoi temi ricorrenti di film in film sono quelli della mutazione, della minaccia che viene dall’interno della mente e del corpo, dell’epidemia, del contagio, dell’ossessione. Studi in scienze, poi in lettere. Scrive racconti, dirige cortometraggi, esordisce nel lungometraggio con Il demone sotto la pelle (1976), un horror inquietante (e l’horror resterà per Cronenberg uno dei punti di ispirazione e rielaborazione), prosegue questa sua indagine su una interiorità malata con Rabid, sete di sangue (1976) e con Brood, la covata malefica (1979). Vengono poi Scanners (1981), il decisivo Videodrome, analisi del rapporto tra uomo e macchina televisiva (1983) e La zona morta (1983, da Stephen King, un thriller fantapolitico). Poi: La mosca (1986, remake di un vecchio film degli anni Cinquanta), Inseparabili (1988), Il pasto nudo (1991, da William S. Burroughs), M. Butterfly, sull’identità tra il maschile e il femminile (1993), Crash, tratto da un romanzo di J. Ballard, sull’intreccio ormai inarrestabile tra la carne e il metallo (1996), Spider (2002) e infine questo A History of Violence, presentato in concorso al festival di Cannes, grande esempio di film costruito con intelligenza e secca determinazione. Molti film di Cronenberg sono stati presentati via via dal nostro Cineforum (e speriamo di presentarne ancora molti altri).

La critica

L’uomo David Cronenberg resta di un pessimismo integrale. Cronenberg, il regista, ci fa scoprire di possedere non solo il talento di giocare coi nervi scoperti dello spettatore, ma anche una solida vena di humour. Nero inchiostro, naturalmente. Tratto da una graphic novel di John Wagner e Vince Locke, A History of Violence inizia come un classico “abuse movie”, immarcescibile (e perlopiù reazionaria) formula narrativa dove il buono subisce torti e violenze, poi si ribella ai cattivi che tormentano lui e i suoi cari. Tom Stall gestisce un modesto ristorante in una cittadina della provincia americana. Minacciato da due stranieri, reagisce come un killer: è solo l’inizio di una catena di violenze da cui emergerà il cuore di tenebra di Tom. Se il plot ricorda vecchi western dove l’eroe in ritiro si ritrova faccia a faccia col proprio passato, Cronenberg fa subito piazza pulita di ogni giustificazionismo per mettere in scena una parabola sulla natura ontologica, genetica della violenza. Ogni tipo di violenza – legittima, sessuale, scolastica, mentale – è descritta con un approccio minuzioso, quasi clinico; cui corrisponde l’estrema precisione di ogni dettaglio della messa in scena, dalle singole inquadrature ai movimenti di macchina, dall’illuminazione al montaggio. La famiglia del protagonista appare da subito troppo perfetta, troppo ideale, ai limiti del nauseabondo. Quando l’andamento della vicenda, sapientemente raccontata, si ribalta trasformando il buon marito-padre in una spietata macchina da guerra, il film innesca un’escalation di violenza che infetta uno per uno i serafici personaggi: il teen-ager modello si scopre un massacratore di bulli; mamma e papà si accoppiano sulle scale, con molto più impeto di prima (il regista realizza la scena di sesso come una scena di combattimento); allorché, all'inizio del film, facevano all'amore scherzando e vergognandosi un po’. Cronenberg ci suggerisce che la mostruosità era già insita nella famigliola; solo sonnecchiava, pronta a risvegliarsi all’occasione. Intelligente, spietatamente lucido, bonificato di qualsivoglia elemento romantico, il film pone domande complesse e perfino imbarazzanti.
Roberto Nepoti, La Repubblica , 16 dicembre 2005

Il male e il bene. Distinti, lontani. Comincia così, come in uno schema rassicurante e manicheo, A History of Violence di David Cronenberg. Da una parte, l’esplosione del male: in un motel, una coppia di criminali compie una strage insensata, banale, cruenta. Dall’altra, la tranquilla normalità del bene: la vita di una famiglia qualunque in una cittadina dove non succede mai nulla, la famiglia di Tom Stall, proprietario di una tavola calda, moglie avvocato, un figlio di diciassette anni, una bambina piccola. All’inizio del film di Cronenberg, il confine tra violenza e serenità sembra sia ben definito, chiaro. Non è così: Tom il male l’ha conosciuto, ce l’ha ancora dentro, pronto a saltar fuori. Il titolo gioca su più tavoli: il film racconta una story violenta; oppure il film rifà la history della violenza, storia sempre uguale di una violenza inestirpabile; o ancora: in ogni storia violenta c’è la storia di ogni violenza. Regista che ha fatto della mutazione il tema e il luogo del suo raccontare e del suo pensare, Cronenberg stavolta gioca sulla sorpresa. Il suo tranquillo uomo comune crede di aver cambiato se stesso e di aver chiuso nel fondo del proprio essere l’altro uomo che un tempo è stato. In realtà, la mutazione non è avvenuta. Il Tom Stall di prima è ancora lì tale e quale, i suoi fantasmi non sono stati eliminati, dormono e si risvegliano.
A History of Violence è un film sul doppio, sui due Tom Stall, quello che lui pensa di essere diventato e il se stesso che credeva di avere dimenticato. Ed è un film doppio nel suo modo di essere cinema: ha la precisione formale delle pellicole della vecchia serie B, niente fronzoli stilistici, azione secca, descrizioni puntigliose e immediate; ed è, appena sotto questa superficie così lineare, un film che, come facevano i classici della serie B, pensa e riflette, ragiona su cosa sia la violenza e quanto essa abiti in noi. A History of Violence tiene fede al suo titolo: è una storia violenta raccontata come vanno raccontate le storie, con precisione e consapevolezza, ed è un esempio tra i migliori nel panorama del cinema d’oggi di cosa voglia dire pensare mentre si racconta una storia. Dentro il racconto senza pause, le domande si fanno strada, chi è quest’uomo, qual è la sua storia, che cosa ha dentro. E cosa hanno dentro sua moglie e suo figlio. Niente punti interrogativi, perché Cronenberg non le considera domande ma fatti. Da mostrare nella loro indiscutibile e ingombrante presenza.
Cronenberg sdoppia ogni personaggio: se Tom ha dentro di sé un altro se stesso che non se n’è andato, anche sua moglie Edie e suo figlio Jack scoprono di essere doppi. Tom si sorprende quando ritorna uguale a quello che era stato: tanto più restano stupefatti la moglie e il figlio quando la prima si vede trasformata da ragazzina collegiale in aggressiva macchina sessuale, e il secondo, timido e remissivo, si vede esplodere in una rabbia feroce che non sospettava di possedere. Per tutti, l’affiorare della violenza, fisica e sessuale, non è preannunciato da alcun segnale. Avviene e basta. All’improvviso. Come qualcosa che non ha a che fare con motivazioni psicologiche o giustificazioni emotive. Come se cambiasse la composizione chimica delle cellule preposte al controllo della violenza ed essa superasse d’un colpo tutti gli ostacoli che le scelte morali, i comportamenti sociali o anche soltanto le abitudini possono opporle. È come se, dice Cronenberg, quella fosse la nostra natura, profonda e ancestrale, che ci portiamo dentro senza conoscerla. Natura che confina con il piacere fisico e il desiderio sessuale, come quando, sulle scale, Tom e Edie si accoppiano in un furioso combattimento, travolti dallo scoppio di una fisicità che è passione, forza, spavento, attrazione e lotta.
Tutti e tre i componenti della famiglia, alla fine, si ritraggono da quello che sono stati in questa storia in cui la violenza è apparsa e li ha posseduti. Tom uccide e torna a essere buon padre di famiglia. Edie è stata posseduta da un dèmone e riprende il suo posto di moglie. Jack si è visto capace di punire duramente i compagni che lo umiliavano. Sono stati altri da sé e tornano a essere se stessi. Con dentro la paura che quella oscurità potrebbe riemergere, sanno di averla dentro, nella carne e nella mente, in qualche posto che non conoscono di se stessi.
A History of Violence non sarebbe il grande film che è se non fosse, oltre che secco e asciutto, anche composito e sregolato. Quanto è lineare nella sua costruzione narrativa tanto è costruito su più registri: è drammatico, è quieto e saggio, è apertamente comico. Perché Cronenberg non vuole darci l’impressione di tenere una lezione sulle ragioni profonde e sulle cause biologiche, genetiche, della violenza. Come in quel gioco che si fa con le carte, ne spingi una e cadono tutte in sequenza in una serpentina inarrestabile, il suo film è pura successione logica di avvenimenti che si fanno pensiero senza mai darci l’impressione di diventarlo. A History of Violence è cinema che pensa.
Bruno Fornara, Introduzione a A History of Violence, dvd del film, Feltrinelli

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