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CINEMA SOCIALE – S.O.M.S. Società Operaia di Mutuo Soccorso Omegna
PIEMONTE AL CINEMA – IL CINEMA DIFFUSO
Promosso da Regione Piemonte, AIACE, AGIS
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Giovedì 20 ottobre 2011 – Scheda n. 2 (841)
Tournée
Titolo originale: Tournée.
Regia: Mathieu Amalric.
Sceneggiatura: Mathieu Amalric, Philippe De Folco, Marcelo Novais Teles, Raphaëlle Valbrune.
Fotografia: Christophe Beaucarne. Montaggio: Annette Dutertre.
Musica: Elise Luguern.
Interpreti: Mathieu Amalric (Joachim Zand),
Miranda Clocasure (Mimi Le Meaux),
Suzanne Ramsey (Kitten on the Keys), Linda Marracini (Dirty Martini),
Angela de Lorenzo (Evie Lovele), Julie Ann Muz (Julie Atlas Muz),
Alexander Craven (Roky Roulette), Damien Odoul (François),
André S. Labarthe (l’impresario del cabaret).
Produzione: Les Films du Poisson, Arte France. Distribuzione: Nomad.
Durata: 111’. Origine: Francia, 2010.
Mathieu Amalric
Nato nel 1965 a Neully sur Seine, vicino a Parigi, Mathieu Amalric è un personaggio importante del cinema francese. Figlio di giornalisti, padre francese, madre polacca ebrea nativa dello stesso villaggio in cui è cresciuto Roman Polanski. Spirito da ragazzo selvaggio. Attore: l’abbiamo visto l’anno scorso nella parte del poliziotto nel magnifico, brillante e pirotecnico Gli amori folli di Alain Resnais. Vince, nel 1997, il Premio César, l’Oscar francese, come attore più promettente. Si fa le ossa come aiuto regista, montatore e sceneggiatore. Debutta dietro la macchina da presa con Mange ta soupe (1997). Dirige altri film: Le stade de Wimbledon (2002), dal romanzo di Del Giudice e La chose publique (2003). Infine, tocca a questo Tournée. Il film è ambientato nel mondo del New Burlesque, una forma di spettacolo che gode di un buon seguito negli Usa e in Francia, con spogliarelli, numeri musicali e attrazioni, con artiste famose come Dirty Martini, una delle più celebri e amate artiste burlesque che si vede nel film, come la californiana Mimi Le Meaux, fondatrice del duo Dis Dress (anche lei nel film!).
Dice Amalric: «Ero totalmente digiuno di burlesque. Però conoscevo un testo della grande Colette, L’altra faccia del Music Hall. Da qui è venuta la spinta per il film, storia di un uomo che lotta contro la sua melanconia, un vecchio produttore televisivo di successo che, grazie a queste ragazze che vuole “mostrare” nel suo paese, vuole dare prova della sua orgogliosa ricostruzione e del suo ritorno. Un uomo che vuole restare un Principe con le sue maniere spiacevoli, ma senza regno e senza potere, solo con la sua inutile libertà. Un uomo senza fissa dimora che non sa se resistere significa saper partire (cosa che ha fatto) o saper restare (cosa che hanno fatto i suoi amici)... La vita di queste persone è dura, volevo mettere in scena questa durezza filtrandola attraverso l’ironia di queste splendide donne e della loro arte. Abbiamo avuto l’intuizione che per preservare l’energia della spontaneità, e della vitalità dello show, bisognava organizzare una vera tournée. La cinepresa non era sufficiente per le ragazze: a loro servivano le sale piene di gente e dormire negli hotel di passaggio! Da Le Havre a Rochefort, a Nantes, abbiamo messo su uno spettacolo gratuito per tutti coloro che hanno firmato una liberatoria. Non avremmo mai potuto permetterci tutte quelle comparse! Abbiamo avuto solo due ore e mezzo per girare ogni sequenza, compresi i dialoghi, ma questo ha creato una situazione di emergenza, una precisione che paradossalmente ha rafforzato tutta la storia. La veridicità dei personaggi è la forza centrale del film... Il film è una commedia, ma dipende dal momento. Joachim è così teso. Certo le ragazze hanno un gran talento nel trasformare qualsiasi luogo in una festa. Io amo gli ham actors, persone che amano far ridere la gente, che si spingono lontano, ma della cui vicinanza abbiamo bisogno. Ho sempre paura che sprofondino nella disperazione. Con le ragazze della troupe, è lo stesso. Non c’era bisogno di raccontare il loro passato: i loro volti e i loro corpi raccontano le loro storie. E possono realmente trasformare una monotona catena di hotel in un luogo del desiderio».
La critica
Il tempo di Tournée è il presente. Un flusso disordinato e aleatorio di movimenti, incontri, delusioni, viaggi, brutalità quotidiane, sotterfugi, accensioni carnali, coiti occasionali, accuse, che durano fino a un insperato appagamento. Un presente sporco e vitale che a intervalli culmina nella magia comica e maliziosa degli spettacoli di New Burlesque, ma che soprattutto aderisce all’attesa e alla frenesia del dietro le quinte di una troupe straniera in terra straniera, guidata da un francese che non vuole ammettere il desiderio di ritornare a casa, dopo un enigmatico e presumibilmente fallimentare autoesilio negli Stati Uniti. L’impresario, Joachim Zand, è interpretato dall’autore del film, che in Italia (colonia satellite periferica del cinema a stelle e strisce) è conosciuto poco e male, ma rappresenta uno dei protagonisti di maggior talento del cinema francese di oggi. Volto e corpo da gatto o furetto, occhi nerissimi e profondi, magrezza eternamente adolescenziale, il quarantaseienne Mathieu Amalric incarna un mélange di ironia e irrequietudine, suadenza seduttiva e nevrosi. (...) Quest’ultimo film, vincitore a Cannes del premio per la miglior regia, ha definitivamente imposto Amalric come regista.
Tournée è nato da un racconto di Colette, L’envers du music-hall (1913), dove, su commissione di un giornale, raccontava in forma di diario la sua vita d’attrice. A quell’epoca, Colette eseguiva pantomime nude fra numeri di giocolieri tedeschi e piccoli cani. Ma Amalric non voleva realizzare un film in costume. Quando ha scoperto un articolo di Élisabeth Lebovici, pubblicato su «Libération», che raccontava di uno spettacolo di New Burlesque al cabaret parigino Zèbre, ha deciso di ambientare la sua storia nell’universo di questo spettacolo, originale e liberatorio. Il New Burlesque, all’origine movimento lesbico gotico, il Velvet Hammer, nato nel 1995, i cui numeri si ispiravano al burlesque degli anni Trenta e alle riviste francesi del XIX secolo, con una accentuazione delle componenti kitsch e umoristiche, è uno spettacolo dove il cromatismo sfavillante dei costumi si accompagna a una mimica stilizzata e beffarda, con l’ausilio di accessori di scena che assumono una funzione grafica, mentre la nudità è sempre ironica e maliziosamente ammiccante. Le protagoniste del film – tutte di una naturalezza ammirevole – sono autentiche artiste del genere: la fantasia e l’ironia delle loro performances trascorre dal fantastico (la falsa mano mozzata e libidinosa con cui gioca Julie Ann Muz) alla satira (il capitalismo statunitense irriso da Linda Marracini), alla rivisitazione poetica del music-hall (i ventagli di piume di Miranda Clocasure) al virtuosismo musicale (Suzanne Ramsey). Sono corpi che, con le loro forme opulente ed eccessive, non hanno nulla a che vedere con la “perfezione” delle bambole plastificate dell’immaginario televisivo e pubblicitario di oggi: Amalric vuole sotterraneamente contrapporre una concezione dello spettacolo che affonda le sue radici nel passato e dove il corpo diviene un’arma espressiva e di irriverente, disobbediente spregiudicatezza, anche per le sue irregolarità, per la sua natura bigger than life. Per il personaggio dell’impresario – di cui si sa soltanto che ha avuto un periodo di folgorante successo televisivo in Francia, seguito da misteriosi rovesci che gli hanno inimicato lo show-business e l’hanno indotto a fuggire negli Stati Uniti, abbandonando la moglie e i figli – Amalric si è ispirato alle figure di produttori spericolati e audaci che, parafrasando una frase di Jean-Pierre Rassam, si assumevano l’irresponsabilità altrui. (...)
Sulla linea di una gloriosa tradizione di agenti, impresari e tuttofare che organizzano parassitariamente la vita altrui, anche Zand (cognome che deriva da quello della madre del regista, celebre critico letterario di «Le Monde») vampirizza la sua troupe, succhiando dalle sue estrose e prosperose donne quelle risorse di cui ha bisogno per vivere e costringendole a viaggiare in treni di seconda classe e ad alloggiare in alberghi mediocri (dove si ripete la gag esilarante della sua richiesta di spegnere la musica d’ambiente). Nel film i rapporti di reciproca dipendenza fra l’uomo e le donne sono suggeriti nel ventaglio di dinamiche contraddittorie (a un certo punto frenano le sue ingerenze dicendogli che lo spettacolo è loro e che lui deve occuparsi solo delle questioni pratiche). Antitesi fisica di quasi tutte le donne della sua troupe, Zand condivide con loro un carattere essenziale: il nomadismo, lo sradicamento da vincoli affettivi e domestici (non ha nemmeno una casa), la precarietà come regola di vita e l’inconfessata nostalgia di una stabilità subito tradita. Ma Tournée racconta anche il suo anomalo e ambiguo ritorno a casa, nella Francia che aveva lasciato o che era stato costretto a lasciare (alle domande del padrone del primo locale, interpretato dal grande critico André S. Labarthe, Zand risponde con una serie di misteriose negazioni). Ambiguo perché sembra prendere a pretesto l’itinerario obbligato delle tappe dello show sulla costa Atlantica per cercare le tessere sparpagliate del proprio naufragio personale (...). L’approdo, in quell’albergo abbandonato dell’Atlantico dove Zand e Mimi fanno l’amore dopo aver perduto la strada, mostra l’impresario finalmente pacificato e accolto e protetto da una delle donne anche in nome delle altre (che infatti li raggiungono di lì a poco in quella serena terra di nessuno). Mentre Mimi veglia sul sonno di Zand, non resiste alla tentazione di tirargli i baffi da una parte e dall’altra, per smentire il sospetto che siano posticci. È un gioco che aggiunge la giusta nota di affettuosa diffidenza a una scena che lo stesso Amalric definisce di “adozione”: l’enorme, sensuale Mimi infatti adotta definitivamente il piccolo gatto randagio e lo salva dalla strada.
Roberto Chiesi, Cineforum, n. 502, marzo 2011
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